L'ultimo aereo da Kabul Stampa E-mail

Stefano Pontecorvo

L'ultimo aereo da Kabul
Cronaca di una missione impossibile


Piemme, pagg.310, € 18,50

 

pontecorvo kabul  L'ambasciatore Stefano Pontecorvo è stato Alto Rappresentante civile della Nato in Afghanistan e, in tale veste, ha assistito alla fine della ventennale presenza militare dell'Alleanza atlantica a Kabul, ricostruita in questo volume, che Andrea Margelletti, nella Prefazione, definisce "un monito a non lasciare che la polvere si depositi sull'Afghanistan".

  "La traumatica chiusura della crisi afghana – scrive l'Autore -, culminata con l'epilogo dell'agosto dell'anno scorso, non è un evento circoscritto al solo Afghanistan ma ha una portata che va ben al di là del fatto in sé. Le vicende del "nuovo" Afghanistan interessano soprattutto gli afghani e i paesi della regione, ma le sue ripercussioni sulla scena mondiale interessano tutti, che piaccia o no. Il ritiro da quel paese segna un punto di svolta nella politica internazionale e non solo per il suo profondo impatto sulla credibilità occidentale e sulla nostra immagine di partners affidabili, messe in dubbio dall'andamento del ventennio di presenza occidentale e dagli eventi di agosto. Lasciando il paese in mano ai talebani abbiamo dato a coloro che nella regione e nel mondo non amano l'Occidente e i suoi valori una comoda esemplificazione della sua irresponsabilità e della mancanza di determinazione a perseguire gli obiettivi; ne usciamo più deboli, specie in una regione che sta assumendo un rilievo economico e politico crescente con il passare degli anni. È forse anche questa percepita debolezza che ha convinto il Presidente russo che egli avrebbe potuto invadere l'Ucraina con relativa impunità".

  La fine della missione dell'Alleanza atlantica a Kabul, secondo Pontecorvo, non va vista come "una sconfitta episodica", ma "si aggiunge a una serie di insuccessi americani, dal Libano alle primavere arabe, all'Iraq, alla Somalia, alla Siria; tutte avventure finite male e in cui la situazione che abbiamo lasciato è peggiore – sul piano della stabilità e della sicurezza – rispetto a quella che abbiamo trovato intervenendo militarmente e/o politicamente".

  L'Afghanistan, dunque, rappresenta l'ultimo capitolo della "politica estera americana – che gli alleati europei hanno spesso sostenuto e solo a tratti subito – vista e condotta principalmente attraverso il prisma della "lotta al terrore" i cui risultati, pur non trascurabili, non sono stati né decisivi né duraturi e i cui danni in termini di rapporti con il mondo emergente sono netti e difficilmente recuperabili. Ci ritroviamo oggi, in pratica, con gli stessi problemi securitari (leggasi principalmente lotta al terrorismo) che avevamo vent'anni fa".

  L'analisi della vicenda afghana offre anche degli spunti utili per affrontare le prossime sfide geopolitiche. Innanzi tutto, "non si batte il terrorismo solo con i militari e senza una strategia politica definita e determinata, né in splendida solitudine e senza la collaborazione di metà del mondo che conta".

  Inoltre, il nostro modello di democrazia non è esportabile "quando i suoi istituti sono estranei al paese ricevente; si accompagna piuttosto il risanamento e il rafforzamento delle istituzioni proprie del paese che si vuole assistere, usando l'accortezza di non consentire alle élites abusi, corruzione e peggio ma assicurandosi che lo sviluppo economico vada a beneficio della popolazione. I personaggi che si sceglie di appoggiare per un'opera di ricostruzione e "normalizzazione" del paese vanno espressi dalla società di quel paese piuttosto che imposti dal di fuori in base a valutazioni che non reggono alla prova dei fatti".