I presupposti dell'azione del Consiglio di sicurezza Stampa E-mail

Raffaele Cadin

I presupposti dell'azione del Consiglio di sicurezza
nelll'articolo 39 della Carta delle Nazioni Unite


Giuffré Francis Lefebvre Editore, pagg.593, € 62,00

 

cadin presupposti  Raffaele Cadin (Professore associato di Diritto Internazionale presso il Dipartimento di Scienze Politiche della Sapienza) ricostruisce, in questo ampio e documentato volume, il sistema onusiano di sicurezza collettiva con particolare attenzione al ruolo esercitato dal Consiglio di sicurezza nel mantenimento della pace.

  Il volume è diviso in due parti. Nella prima, dopo un necessario inquadramento storico-giuridico della tematica, viene esaminata la "prassi sui presupposti dell'azione consigliare ex art. 39 della Carta dell'ONU".

  Nella seconda parte, invece, l'analisi è focalizzata sui profili teorici della materia. In primo luogo, "viene affrontato il problema di determinare la definizione di minaccia alla pace quale minimo comune denominatore dei presupposti dell'azione del Consiglio ex cap. VII della Carta, quindi la questione della titolarità del potere di accertamento ed in fine le complesse tematiche dei limiti giuridici ai poteri del Consiglio e del loro sindacato".

  Secondo quanto prevede il citato cap. VII della Carta delle Nazioni Unite, "l'adozione da parte del Consiglio di sicurezza di misure coercitive implicanti o meno l'uso della forza, nonché delle altre misure aventi natura "raccomandatoria" [...], deve essere preceduta dall'accertamento dell'esistenza di una minaccia alla pace, di una violazione della pace o di un atto di aggressione (art. 39). Tale determinazione "is the gateway to action under Chapter VII", ovvero un "jugement préalable et déterminant" all'utilizzo degli ampi poteri discrezionali conferiti al Consiglio dal suddetto capitolo. Di conseguenza, l'art. 39 è stato considerato "the single most important provision of the Charter"".

  L'accertamento dell'esistenza di una minaccia alla pace – spiega l'Autore – "deve essere contenuto in una risoluzione adottata dal Consiglio di sicurezza ai sensi dell'art. 27 della Carta, che stabilisce la procedura di voto in seno all'organo. Dato che non sussistono dubbi sulla natura sostanziale della determinazione in oggetto, trova applicazione il par. 3 del suddetto articolo che, per le questioni non procedurali, richiede il voto favorevole di nove membri del Consiglio su quindici, inclusi i cinque membri permanenti (che quindi godono del potere di veto).

  L'Autore dimostra che il Consiglio di sicurezza dell'ONU "può utilizzare i poteri conferitigli dal cap. VII della Carta, anche con finalità preventive, soltanto con riferimento a situazioni specifiche e non rispetto ai fenomeni che le hanno originate (le "minacce globali alla pace"). Il Consiglio, infatti, non ha il potere di legiferare né quello di decretazione d'urgenza e in supplenza, come sostengono i fautori di questa prassi ultronea diretta ad affiancare al potere egemonico degli Stati Uniti quello dittatoriale del Consiglio. Questa osservazione deriva non soltanto dall'analisi delle disposizioni rilevanti del cap. VII della Carta, ma anche dal modo di essere del diritto onusiano e del diritto internazionale generale che ne costituisce il quadro giuridico di riferimento".

  Dall'analisi è emerso anche che "l'unico modo di ricondurre, in una prospettiva teorica sostenibile, la prassi "legislativa" del Consiglio nei confini statutari pare essere quello di considerarla come espressione di un potere generale di adottare "Dichiarazioni di principi sulla sicurezza collettiva" che [...] potrebbe desumersi dall'art. 25 della Carta e non essere in contraddizione con le competenze assembleari".

  La definizione accolta di minaccia alla pace assume "una dimensione principalmente politica, che del resto riflette la prassi di riferimento dominata da un approccio empirico e selettivo, ma non manca di elementi giustiziabili a pieno titolo (l'accertamento esplicito e specifico) o solo in casi eccezionali che tuttavia diventano meno rari di quanto si possa ipotizzare a causa del condizionamento operato dalla spinta egemonica degli Stati Uniti (l'accertamento fantasioso di una situazione che non presenta alcun profilo di pericolosità sociale). Detta definizione è poi in linea con la funzione di "poliziotto internazionale", attribuita dalla Carta al Consiglio di sicurezza, che esclude in maniera assoluta che esso possa espletare funzioni a carattere legislativo o giurisprudenziale".

  Dopo aver escluso "la tendenza del Consiglio di sicurezza a conformarsi ad una nozione prettamente giuridica di minaccia alla pace, anche soltanto come presupposto dell'adozione di misure coercitive ai sensi dell'art. 41 della Carta", l'Autore sottopone a esame, nella seconda parte del volume, alcune "questioni teoriche utili a delimitare il potere di accertamento del Consiglio e a precisare meglio il concetto di "pericolosità sociale" che già affiora quale chiave di volta dell'azione del Consiglio di sicurezza per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale".

  Viene anche "sottoposta a vaglio critico la pretesa del Consiglio di qualificare come minacce alla pace fenomeni astratti (in particolare il terrorismo internazionale) quale presupposto per l'esercizio di poteri legislativi diretti, che rappresenta l'aspetto di maggiore criticità emergente dalla prassi più recente".

  Il quarto (e ultimo) capitolo è infine dedicato "all'individuazione e alla classificazione dei limiti giuridici che circoscrivono il potere discrezionale del Consiglio, nel quadro del cap. VII della Carta e nello specifico dell'accertamento ex art. 39, e alla vexata quaestio del loro controllo tra sindacato giurisdizionale e meccanismi di contestazione sociale".