L'Umbria in camicia nera (1922-1943) Stampa E-mail

Leonardo Varasano

L'Umbria in camicia nera (1922-1943)

Rubbettino, pagg.XV-588, Euro 32,00

 

varasano_umbria  IL LIBRO – Ai suoi esordi il fascismo umbro si caratterizza come reazione ai timori suscitati dal "biennio rosso". Perugia è il centro da cui s'irradia l'azione squadrista. In pochi mesi il quadro politico regionale si capovolge: crollano i socialisti, si affermano le camicie nere. Per tutto il 1921 i rapporti del Pnf umbro con la centrale milanese sono conflittuali. La situazione migliora nel 1922, quando la leadership di Misuri viene soppiantata dalla diarchia di Bastianini e Felicioni. Anche in virtù di questo avvicendamento, l'Umbria dà un significativo contributo alla marcia su Roma. Per tutti gli anni Venti, il Pnf locale è lacerato da lotte intestine. Malgrado le divisioni, il fascismo umbro prospera e ottiene successi elettorali. Attraverso il dinamismo delle sue organizzazioni, l'iniziativa fascista penetra efficacemente nella società locale. Sorretto da un fomite di modernità, il fascismo accompagna i mutamenti dei costumi e dell'economia umbra. Fino alla guerra e al crollo del regime.

  DAL TESTO – “Partito da Perugia, il fascismo si propaga in tutta l'Umbria quasi per osmosi. Tale processo è indotto e favorito dalle spedizioni squadriste e da una sonora vittoria elettorale, maturata in un clima di diffuso antisocialismo. Incuneatisi con la violenza, i fascisti si avvalgono frequentemente dei cosiddetti sindacati nazionali, proponendo - pur con una iniziale, sottile patina di apoliticità - la riorganizzazione delle masse rurali sotto l'egida del movimento mussoliniano. Il sindacalismo «collaborazionista», auspice l'ex anarchico Pighetti, costituisce, soprattutto nelle campagne, uno dei mezzi privilegiati per scardinare le posizioni del PSI attraverso un'azione disgregatrice, piuttosto che positiva, tesa a sfruttare situazioni di malcontento e di sfiducia. In molte zone dell'Umbria, così come nella pianura Padana o in Toscana, si assiste ad un graduale passaggio dalle organizzazioni contadine socialiste a quelle fasciste. «Squadre e sindacati - scrive De Felice – costituivano un nesso inestricabile, dominato da considerazioni politiche e da interessi locali che non erano certo di natura sindacale». Lo slogan «la terra a chi lavora» costituisce un'aspettativa demagogica e suadente, ma in breve il sindacalismo contadino fascista, ricco di contraddizioni, si svuota di ogni prospettiva autonoma per essere fagocitato e strumentalizzato dagli interessi agrari più retrivi. Le rivendicazioni dei lavoratori, inizialmente intercettate, interpretate e accolte, vengono poi completamente respinte una volta guadagnato il controllo delle masse sindacalizzate. In un primo tempo, per incrementare lo sviluppo dei sindacati nazionali, agrari e industriali largheggiano nei confronti dei fascisti e si mostrano malleabili davanti alle loro richieste. Raggiunto però lo scopo prefissato, il loro atteggiamento muterà sostanzialmente: non solo non si dimostreranno più disposti a venire incontro alle esigenze delle masse, ma approfitteranno fino in fondo dei vantaggi conseguiti con la scomparsa del leghismo socialista.”

  L’AUTORE – Leonardo Varasano, giornalista e pubblicista, collabora con la cattedra di Storia delle dottrine politiche dell'Università di Perugia. Ha conseguito il dottorato in Storia politica contemporanea presso l'Università di Bologna (2007). Autore di saggi su Giuseppe Bastianini ed Elia Rossi Passavanti - due tra i più importanti esponenti del fascismo umbro -, ha curato con Alessandro Campi la ripubblicazione del Corso di sociologia politica di Roberto Michels (Rubbettino, 2009). Ha contribuito alla realizzazione di un numero della rivista «Ricerche di Storia Politica» (il Mulino, 2010) dedicato ai fascismi locali. È membro del Comitato di redazione della «Rivista di Politica».

  INDICE DELL’OPERA - Prefazione, di Alessandro Campi – Introduzione - 1. L'affermazione del fascismo perugino: la centralità della violenza (1. Agitazioni ed elezioni: i successi socialisti - 2. La reazione antisocialista, legale ed illegale - 3. Il ferimento di Pietro Romeo - 4. Maggio 1921, il crollo socialista - 5. La «tendenzialità repubblicana», il «patto di pacificazione» e la nascita del PNF: il ruolo del fascismo umbro nello scontro tra centro e periferia) - 2. Il «caso Misuri» - 3. Il fascismo umbro dallo squadrismo alla marcia su Roma (1. L'«intesa cordiale» tra fascisti, forze dell'ordine e magistratura - 2. Nasce il mito della «capitale della rivoluzione» - 3. Marciatori e sostenitori) – 4. Classe dirigente e lotta politica (1. Amministratori locali e quadri dirigenti del PNF - 2. Il beghismo, l'elemento caratterizzante del fascismo umbro – 3. Aprile 1924: il perfezionamento dell'egemonia fascista sull'Umbria – 4. Vae victis! La repressione delle opposizioni – 5. Un caso di conflitto d'interessi scatena la lotta fazionaria e favorisce la creazione della seconda provincia - 6. Perugia: il connubio oligarchico tra vecchio e nuovo. Un establishment di rilevanza nazionale – 7. Terni: instabilità amministrativa e prevalenza di dirigenti forestieri. Il controverso rapporto con la società TERNI) – 5. Partito e parapartito: la penetrazione delle strutture del regime nella «prima regione fascista d'Italia» (1. Il Partito nazionale fascista - 2. L'Opera nazionale balilla – 3. L'Opera nazionale maternità e infanzia – 4. I sindacati fascisti – 5. L'Opera nazionale dopolavoro - 6. I Guf – 7. L'Istituto fascista di cultura - 8. Altre organizzazioni) - 6. Società ed economia in trasformazione (1. «Lavorare con gioia; ecco un segreto per la felicità». Le campagne umbre fra conservazione, propaganda e impulsi modernizzatori - 2. Condizioni di vita e nuovi costumi – 3. L'istruzione – 4. Trasporti e turismo, le aspettative deluse – 5. L'industria e il fascismo: i casi TERNI, PERUGINA e SPAGNOLI - 6. Perugia e l'«industria della cultura») - 7. La guerra e il declino del regime - Abbreviazioni archivistiche - Appendice biografica