Il giorno in cui l'euro morì Stampa E-mail

Stefano Feltri

Il giorno in cui l'euro morì

Aliberti Editore, pagg.142, Euro 13,00

 

feltri_euro  IL LIBRO – L’illusione dell’euro è finita: una moneta sola non è più adatta a economie troppo diverse. O cambia la moneta o cambiano le economie. Tra il 2010 e il 2011 la crisi del debito pubblico ha travolto prima la Grecia, poi l’Irlanda, il Portogallo e infine l’Italia. Lo scudo dell’euro non protegge più Paesi con troppo debito e bassa crescita. E nessuna via d’uscita è indolore: rinunciare all’euro significa far fallire le banche, isolarsi dal mondo per alcuni anni, niente credito e poche importazioni. Fare sacrifici per rispettare le richieste dell’Europa condannerà Stati già fragili alla recessione. In entrambi i casi saremo tutti più poveri. Ma questo è un problema di domani. L’emergenza è un’altra: la crisi del debito ha dimostrato che gli Stati possono fallire. Anche l’Italia.

  DAL TESTO – “Da quando c'è l'euro la politica monetaria, cioè le decisioni su quanti euro ci devono essere in circolazione, e quindi quanto costoso è indebitarsi, viene fatta a Francoforte, dalla Banca centrale europea. Modellata sulla Bundesbank, la banca centrale tedesca, la Bce ha uno scopo molto preciso: assicurare la stabilità dei prezzi nell'eurozona, evitando che aumentino più del 2 per cento all'anno, e tutelare il sistema dei pagamenti, cioè evitare che qualche banca fallisca anche se solida soltanto perché al momento di pagare un creditore non ha abbastanza soldi in cassa (cioè ha un problema di liquidità ma non di solvibilità), Tra i suoi compiti, almeno in teoria, non c'è quello di favorire la crescita o evitare il fallimento di uno Stato. Risultato: da quando i mercati hanno deciso che i Paesi sono di nuovo diversi, nonostante l'euro, la Bce si è trovata a fare una politica monetaria che è troppo rigida per alcuni Paesi (tutti quelli mediterranei, dall'Italia alla Spagna, alla Grecia, al Portogallo) e troppo lasca per altri (la Germania, che dai tempi di Weimar è ossessionata dall'inflazione).
  “La situazione è arrivata a un punto non più sostenibile. Nessun Paese che è in recessione dello 0,5 per cento (come l'Italia nel 2012, secondo l'Ocse) può permettersi a lungo di pagare tassi di interesse sul suo debito in continua crescita e superiori al 6 per cento sui titoli a 10 anni. Visto che la Bce non può accontentare tutti e che, aiutando banche e Paesi in difficoltà con il suo bilancio, si è spinta molto oltre quello che i tedeschi avrebbero voluto, restano solo due opzioni. La prima è cambiare le economie dei Paesi membri dell'euro, facendole diventare più omogenee. La seconda è cambiare l'euro, restituendo a ogni Paese una moneta su misura della propria economia. Entrambe le soluzioni comportano sacrifici pesantissimi, per gli Stati ma soprattutto per i cittadini.”

  L’AUTORE – Stefano Feltri laureato alla Bocconi, ha lavorato per Radio 24, «il Foglio», «il Riformista» e collaborato a lungo con la «Gazzetta di Modena» e «Lo Specchio» della «Stampa». È responsabile delle pagine economiche del «Fatto Quotidiano» dalla sua fondazione.

  INDICE DELL’OPERA - Introduzione - Il detonatore di Atene - Fuga (impossibile) dall'euro - Tocca all'Italia - Islanda, l'esempio sbagliato - Egoisti o solidali - I soldi non ci sono? Creiamoli - Conclusione provvisoria: tra passi per salvarsi - Bibliografia minima