Seicento giorni di terrore a Milano Stampa E-mail

Marco Cuzzi

Seicento giorni di terrore a Milano
Vita quotidiana ai tempi di Salò


Neri Pozza, pagg.464, € 22,00

 

cuzzi seicento  Marco Cuzzi, professore associato di Storia contemporanea presso l'Università degli studi di Milano, racconta in questo saggio la vita quotidiana nel Capoluogo lombardo durante la Repubblica sociale italiana, dal settembre 1943 al 25 aprile 1945.

  Del milione e 300mila residenti nella "capitale morale ed economica del Paese", nell'estate 1943 "ne restano circa 700mila, gli altri sono sfollati fuori le mura". Milano è "una città triste, ferita, offesa, già da mesi flagellata dai bombardamenti, dalla crisi alimentare, dalla più nera miseria".

  In città, i seguaci di Mario Giampaoli (già federale milanese del PNF tra il 1926 e il 1928), "gli ex squadristi intransigenti emarginati per vent'anni, faranno ben presto sentire la loro voce. Una voce anticapitalista, antisemita, corporativa e socializzatrice che sancirà anche a Milano, soprattutto a Milano, un ritorno alle origini".

  Il 13 settembre 1943 "l'EIAR comunica la rinascita del Fascio milanese", a dirigere il quale Mussolini chiamerà "il dirigente più popolare (e a dirla tutta, più disponibile) del vecchio partito milanese: Aldo Resega". Questi finirà i suoi giorni pochi mesi dopo, la mattina di sabato 18 dicembre 1943, sotto i colpi di un commando gappista. Le "solenni onoranze funebri a Resega e agli altri due caduti" videro "un'ampia partecipazione cittadina, ricorda il «Corriere», a dimostrazione, aggiunge, che la «parte migliore dei cittadini depreca il sangue selvaggiamente, inutilmente sparso»". "In effetti – osserva Cuzzi -, dalla foto pubblicata la partecipazione sembra notevole, anche se è indubbia la mobilitazione di tutti gli iscritti e i militanti del Partito".

  Nel frattempo, "tra le ultimissime fila del fascismo milanese è ricomparso un personaggio che rappresenterà la declinazione e l'aggiornamento più efficace del vecchio «giampaolismo»: Francesco «Franco» Colombo, futuro comandante della Legione Autonoma Mobile «Ettore Muti»", che raggiungerà ben presto "la ragguardevole cifra di 200 militi" saliti successivamente a quasi duemila.

  "Spietata e disinvolta, ma relativamente disciplinata" – prosegue Cuzzi -, la Muti "è forse l'unità di polizia più efficiente della città. Verrà infatti impiegata su larga scala, nella gestione dell'ordine pubblico cittadino: nel 1944 più del trenta per cento delle vittime in operazioni di polizia e di repressione si possono far risalire a questa formazione".
Milano fu anche teatro, la mattina di sabato 16 dicembre 1943, dell'ultimo bagno di folla di Mussolini. All'interno del Teatro Lirico, "non sarà facile trovare posto. Come ha scritto Deakin, si registra una «effimera ma sincera euforia»". Alle ore 10 e 30, il Duce arriva "su un'automobile scoperta della «Muti»: al suo fianco, immancabile, il «comandante» Colombo. Gli sarà sempre attaccato, per l'intero fine settimana". Sul podio, il Capo della Rsi appare "invecchiato": "Solo gli occhi – scrive l'Autore – sembrano vispi, attenti, voraci come all'alba della sua parabola. Per la prima volta nella sua lunga epopea di arringatore di folle deve (clamorosamente) leggere un discorso pubblico, inforcando (ancora più clamorosamente) gli occhiali".

  Mussolini tornerà a Milano nell'aprile dell'anno successivo, quando il 25 avrà luogo presso l'arcivescovado l'incontro con la delegazione partigiana alla presenza del cardinal Schuster. Con la sua partenza alle "otto di sera" dal Palazzo del Governo di corso Monforte alla volta del lago di Como, "si conclude la storia della Repubblica sociale italiana a Milano".