Caio Giulio Cesare: Opere minori, frammentarie e inedite Stampa E-mail

A cura di Mirko Rizzotto, Alvise Schiavon, Federico Reggio, Giuseppe Petruzzelli

Caio Giulio Cesare

Opere minori, frammentarie e inedite

Primiceri Editore, pagg.452, € 20,00

 

cesare opereminori  Di Caio Giulio Cesare sono noti il "De Bello Gallico" e il "De Bello Civile", anche se il grande condottiero romano scrisse molte altre opere che purtroppo sono andate perdute o di cui ci sono giunti solo dei brevi frammenti. Questo importante volume pubblicato da Primiceri Editore colma encomiabilmente una lacuna nel panorama editoriale italiano, ricostruendo nella maniera più completa possibile le opere minori di Cesare e proponendo tutti i riferimenti alle stesse rinvenibili negli autori classici.

  Attraverso la lettura dei numerosi frammenti raccolti nel libro, spiega Mirko Rizzotto nella Premessa, "è possibile ripercorrere l'esistenza di Cesare, i suoi rapporti con i contemporanei, il suo amore per l'arte, la letteratura e la scienza, i suoi progetti e le sue ambizioni. Cesare, scopriamo, vive ancora oggi nelle sue leggi, che lasciarono un retaggio indiscutibile nel Digesto di Giustiniano e, attraverso quest'ultimo, nei moderni codici legislativi, nelle istituzioni politiche (senza le sue campagne di Gallia, per quanto dolorose e sanguinose, non avremmo oggi un'idea di Europa su cui si basano le realtà sovranazionali attuali), nel nostro sistema calendariale, persino nelle modalità di osservazione astronomica".

  In qualità di legislatore, Cesare – osserva Alvise Schiavon – "senz'altro utilizzò lo strumento legislativo per finalità di tattica politica, ma rivelò pure una visione di ampio respiro sul senso e l'evoluzione della produzione normativa". Tra le numerose leggi cesariane di cui si dà conto nel testo, si segnala la lex Iulia sumptuaria del 46 a. C. "con cui si fissavano dei limiti per le spese di banchetti, abbigliamento e cerimonie funerarie presidiati non solo da un procedimento per multae petitio che ciascun civis poteva intentare contro colui che li avesse infranti, ma pure dall'azione di appositi custodes". Sulla base delle testimonianze rinvenute nelle fonti, Schiavon ipotizza, inoltre, "che Cesare mirasse ad avere un impatto ancora maggiore sull'ordinamento giuridico di Roma: con l'assunzione della dittatura, egli avrebbe addirittura promosso una raccolta sistematica, una consolidazione del diritto vigente che avrebbe anticipato di sei secoli l'opera di Giustiniano".

  Prima ancora di Augusto fu Cesare a preoccuparsi del problema della scarsa natalità "specie fra le classi abbienti del mondo romano": la lex Iulia de liberis del 46 a. C. di cui si trova traccia in Dione Cassio "cercò di incentivare i matrimoni prolifici con premi in denaro e benefici".

  Cesare fu autore anche di numerose lettere, messaggi privati, dispacci agli ufficiali, ordini per i legati, corrispondenza politica, lettere commendatizie e decreti, epistole riservate a parenti, amici, alleati e amanti. Dell'ampio epistolario cesariano – scrive Rizzotto – "ci sono giunte pochissime lettere (sette, per la precisione), conservate per la loro totalità da Marco Tullio Cicerone, che ne trascrisse delle copie nella propria raccolta di corrispondenza, pubblicata poi dall'amico Attico dopo la morte violenta del celebre oratore".

  Al pari di moltissimi nobili romani, aggiunge Rizzotto, "anche Cesare si cimentò in diversi componimenti poetici, influenzato in ciò dagli autori greci dei secoli precedenti, in particolare da Anacreonte. Per nostra somma sfortuna la produzione poetica cesariana è andata quasi completamente perduta; ad influire sulla scomparsa degli scritti poetici del futuro dittatore giuocò enormemente la censura operata da Augusto sugli scritti giovanili del proprio padre adottivo, come rammenta Svetonio". Se l'ampia e variegata produzione poetica cesariana ci fosse pervenuta nella sua interezza, "avrebbe contribuito a gettare una luce più intensa sul Dittatore Perpetuo, aiutandoci a coglierne molti aspetti che la Storia ha tralasciato o lasciato volutamente in un cono d'ombra".

  Nel 45 a. C., Cesare scrisse un'opera che intitolò Anticatone, mediante la quale – spiega Giuseppe Petruzzelli – "replicò in modo puntuale e serrato ad ognuno degli argomenti impiegati in lode di Catone da Cicerone, proprio alle stregua di un vero e proprio scontro oratorio dinanzi ad una giuria". Di tale scritto ci sono giunti 11 frammenti, "e Cicerone ammise con l'amico Attico di averne apprezzato l'arte con cui era scritto, sebbene composto in tempo di guerra e con tutt'altre occupazioni che si imponevano all'attenzione di Cesare".

  D'altra parte, sottolinea Rizzotto, "Caio Giulio Cesare non era uomo da riposarsi nemmeno durante i numerosi viaggi che costellarono la sua movimentata esistenza; racconta Svetonio e fu proprio durante questi rapidi e non comodissimi spostamenti che compose tre opere letterarie importanti, ossia Sull'Analogia e L'Anticatone, oltre al poemetto intitolato Il viaggio (e, si badi, era rispettivamente impegnato, mentre dettava, a gestire due conflitti epocali come la guerra gallica e la guerra civile)".

  Cospicua e degna di attenzione è poi l'Appendice del presente volume, in cui sono proposti quattro approfondimenti curati da Mirko Rizzotto: il primo è dedicato all'incontro di Cesare con i monaci buddhisti indiani che vivevano in Alessandria "secondo le loro costumanze fin dai tempi di Tolomeo II, il fondatore della Biblioteca"; il secondo riguarda il rapporto tra Cesare e la regina Eunoe, sua grande amante, moglie di Bogud e discendente da "una famiglia appartenente ad una tribù aristocratica della Mauretania"; il terzo saggio è incentrato sulla figura di Burebista, "il più grande e temibile sovrano di Dacia, capace di radunare sotto i suoi vessilli, secondo Strabone, 200.000 guerrieri" e sul mancato scontro con Cesare; il quarto e ultimo approfondimento, interessantissimo, mette a fuoco il rapporto di Benito Mussolini con la figura di Giulio Cesare e, in particolare, la lettura mussoliniana della Marcia su Roma cesariana, che trovò nel passaggio del Rubicone il proprio momento emblematico.

  Il Duce, tra l'altro, scrisse un "intenso dramma in tre atti, che narrava con grande pathos e sapiente introspezione dei personaggi le vicende di Cesare dallo scoppio della guerra civile al suo assassinio (49-44 a. C.)". Tale dramma venne "messo in scena con buon successo di pubblico a critica a Roma, alla Scala di Milano e in Ungheria".