Viaggio in Barberia Stampa E-mail

Luciano Bianciardi

Viaggio in Barberia

ExCogita, pagg.166, € 16,00

 

bianciardi barberia  Luciano Bianciardi, autore irregolare e lucidamente disilluso del secondo Novecento italiano, firma con "Viaggio in Barberia" (1969) un'opera che, sotto le sembianze di un reportage di viaggio, si rivela ben presto un'esplorazione complessa e stratificata dell'identità individuale e collettiva, della memoria e del disincanto, della modernità e delle sue contraddizioni. Pubblicato originariamente su impulso della rivista "L'automobile", che proponeva ai lettori percorsi automobilistici in luoghi esotici e accessibili, il libro è molto più di un diario di un'escursione turistica nel Nord Africa. Si tratta, piuttosto, di un testo profondamente bianciardiano, nel quale lo spirito anarchico e corrosivo dell'autore si confronta con la deriva dell'impegno, la memoria dell'infanzia e la ricerca, mai conclusa, di una libertà autentica.

  Il pretesto narrativo è semplice quanto efficace: una Fiat 125, cinque viaggiatori ("poco meno che normali", come li definisce l'autore con affettuosa ironia), una rotta che attraversa il Maghreb — la "Barberia", come Bianciardi ricorda attingendo al lessico storico e popolare europeo — e un diario da tenere. Oltre allo stesso Bianciardi, il gruppo comprende Maria Jatosti, compagna di vita e presenza costante nelle sue opere, Marcello Jatosti, Ovidio Ricci e Ritva Liisa Ruokonen. Ma dietro il tono apparentemente disincantato e leggero, si nasconde un'opera di forte spessore intellettuale e antropologico, in cui l'incontro con l'altro si traduce subito in un confronto con sé.

  Lo spazio geografico visitato – Algeria, Tunisia, Marocco – è evocato non tanto con intento descrittivo o esotico, quanto come terreno simbolico, teatro mobile in cui si proietta il paesaggio interiore dell'autore. La "Barberia" diventa così un topos letterario, un luogo remoto e "strano" nel quale il viaggio si duplica e si moltiplica. Come sottolinea Stefano Bartezzaghi nella prefazione, Bianciardi compie almeno tre viaggi: uno fisico, attraverso il Nord Africa; uno mnemonico, nei luoghi dell'infanzia; e un terzo, più implicito e profondo, nella dimensione della libertà, la quale si rivela però subito problematica, fragile, effimera. Il ritorno in Italia — e soprattutto il ritorno al lavoro intellettuale e ai doveri quotidiani — appare quasi come una ricaduta nel reale, una riconferma delle catene da cui il viaggio sembrava inizialmente voler fuggire.

  Dal punto di vista stilistico, "Viaggio in Barberia" rappresenta un esempio esemplare della prosa bianciardiana, che unisce leggerezza e raffinatezza, ironia e disincanto, precisione lessicale e vivacità narrativa. Il tono è spesso scanzonato, ma mai superficiale; anzi, il ricorso continuo alla memoria, l'inserzione di episodi privati, e la presenza costante della voce autoriale rendono la narrazione un vero e proprio laboratorio di autobiografia indiretta. Il testo si muove tra episodi quotidiani — come i guasti meccanici, gli equivoci linguistici, un furtarello che risparmia curiosamente la macchina per scrivere di Bianciardi — e riflessioni di portata esistenziale, il tutto intrecciato con inserti pop-culturali che spaziano da Jannacci a Caterina Caselli, dai dischi di Little Tony a riferimenti letterari e filosofici.

  Un elemento particolarmente interessante è la dinamica interpersonale tra i membri della spedizione, osservata con occhio critico e autoironico. L'esperienza del viaggio diventa, così, anche un banco di prova per le relazioni, un terreno su cui si misurano le differenze di approccio, le tensioni, gli slittamenti tra ruoli e aspettative. In questo senso, il viaggio è anche una forma di esperimento sociale, non dissimile da quelli che i protagonisti delle utopie e delle distopie novecentesche compiono per interrogare i limiti della convivenza umana.

  La lettura di "Viaggio in Barberia" si impone oggi, a più di cinquant'anni dalla sua prima pubblicazione, come sorprendentemente attuale. La riflessione sul viaggio come pratica di conoscenza ma anche come esercizio di disillusione, la centralità della memoria come strumento critico del presente, la tensione tra desiderio di evasione e realtà che riassorbe, implacabile, ogni slancio — sono tutti temi che conservano un'evidente rilevanza nel dibattito contemporaneo sulla mobilità, l'identità e l'impegno intellettuale. Bianciardi, con la sua scrittura limpida e tagliente, ci offre non solo il resoconto di una spedizione africana, ma un frammento di quella grande avventura interiore e culturale che fu il secondo Novecento italiano.

  "Viaggio in Barberia" merita, insomma, di essere riscoperto e studiato come testo che coniuga reportage e memoir, riflessione antropologica e narrazione esistenziale, satira sociale e introspezione. La sua forza risiede nella capacità di raccontare il mondo esterno senza mai distogliere lo sguardo dal proprio paesaggio interiore, e di far emergere, sotto la superficie del diario di viaggio, le tracce di una più profonda interrogazione sul senso della libertà, della scrittura e della memoria.