La non-violenza Stampa E-mail

Domenico Losurdo

La non-violenza. Una storia fuori dal mito

Laterza, pagg.292, Euro 22,00

 

losurdo_non-violenza  IL LIBRO - «Sappiamo delle lacrime e del sangue di cui hanno grondato i progetti di trasformazione del mondo mediante la guerra o la rivoluzione. A partire dal saggio pubblicato nel 1921 da Walter Benjamin, la filosofia del Novecento si è impegnata nella ‘critica della violenza’ anche quando essa pretende di essere ‘mezzo a fini giusti’. Ma cosa sappiamo dei dilemmi, dei ‘tradimenti’, delle delusioni e delle vere e proprie tragedie in cui si è imbattuto il movimento ispiratosi all’ideale della non-violenza?».
  Domenico Losurdo ripercorre una storia affascinante: dalle organizzazioni cristiane che nei primi decenni dell’Ottocento si propongono negli Usa di combattere in modo pacifico i flagelli della schiavitù e della guerra fino ai protagonisti dei movimenti che con passione o per calcolo di Realpolitik hanno agitato la bandiera della non-violenza: Thoreau, Tolstoj, Gandhi, Capitini, Dolci, M.L. King, il Dalai Lama e i più recenti ispiratori delle ‘rivoluzioni colorate’.

  DAL TESTO - "La costruzione faticosa del pantheon non-violento in cui è impegnato l’Occidente liberale conosce un nuovo sviluppo grazie a un’ulteriore e più decisiva mossa all’insegna della Realpolitik. A giudicare da una martellante campagna multimediale, l’eredità di Gandhi quale campione della non-violenza sarebbe stata assunta ai giorni nostri dal XIV Dalai Lama.

  "Questi, in effetti, nella sua lotta per l’indipendenza o la semi-indipendenza del Tibet, non solo dichiara di volersi attenere al principio della sacralità della vita (umana o animale che sia), ma fa anche esplicito ricorso a categorie gandhiane, ad esempio quando rivendica la trasformazione del Tibet «in una zona di ‘ahimsa’, un termine hindi utilizzato per indicare uno stato di pace e di non-violenza». A detta dell’odierno Dalai Lama, l’ahimsa sarebbe una caratteristica permanente del suo popolo: «Per tradizione i tibetani sono un popolo pacifico e non-violento. Da quanto in Tibet fu introdotto il buddismo oltre un migliaio di anni fa, i tibetani praticano la non-violenza verso tutte le forme di vita»; la loro cultura è «profondamente radicata nei valori della compassione universale». A sua volta Heinrich Harrer, cantore entusiasta del Tibet lamaista e prima istruttore e poi amico personale del Dalai Lama, in un libro che, a guisa di consacrazione ufficiale, riporta un messaggio affettuoso di quest’ultimo, definisce i tibetani come «il più pacifico popolo della terra». Sì: «Dopo un po’ che si è stati nel paese, a nessuno è più possibile uccidere una mosca senza pensarci. Io stesso, in presenza di un tibetano, non avrei mai osato schiacciare un insetto soltanto perché mi infastidiva».

  "Sappiamo che le tradizioni si inventano ovvero si costruiscono dilatando e assolutizzando certi aspetti della cultura di un paese o di una regione. Ciò vale per la «tradizione» indiana cara a Gandhi così come per la «tradizione» tibetana celebrata dal Dalai Lama. Per quanto riguarda quest’ultima, conviene rinviare a un libro che ricostruisce la storia dei genocidi. Nel 1660, nel reprimere una rivolta scoppiata in Tibet, il V Dalai Lama ordinava lo sterminio sistematico non solo degli uomini e delle donne, ma anche dei loro figli e nipoti: dovevano essere annientati sino all’ultimo «a guisa di uova schiacciate contro le rocce».

  "Nel momento in cui cerca di giustificare il suo impegno di «reclutatore capo» al servizio dell’esercito britannico, Gandhi richiama l’attenzione sul fatto che gli stessi seguaci del jainismo considerano ingiustificabile l’uccisione sì degli animali innocenti ma non degli uomini colpevoli di essere collocati nello schieramento nemico. Nella sua autobiografia il XIV Dalai Lama riferisce, forse un po’ sbadatamente, di una caratteristica essenziale delle tibetane «tribù khampa»: «Il possesso di un fucile conta forse più di qualunque altro possesso, poiché per loro il fucile è un simbolo dell’indipendenza virile». Da queste tribù – prosegue a sua volta l’istruttore e amico del Dalai Lama – si reclutava il grosso dei «predoni»: questi, «armati di fucili e di spade», costituivano «un vero flagello»; «andare incontro ai khampa senza armi avrebbe significato morte certa». Si trattava di bande che spesso sfuggivano alle forze inviate dalle autorità."

  L'AUTORE - Domenico Losurdo è professore ordinario di Storia della filosofia presso l’Università degli Studi di Urbino. Tra le sue pubblicazioni, alcune tradotte in più lingue: La Seconda Repubblica. Liberalismo, federalismo, post-fascismo (Torino 1994); La comunità, la morte, l’Occidente. Heidegger e l'“ideologia della guerra” (Torino 20012); Hegel e la libertà dei moderni (Roma 19992); Democrazia o bonapartismo (Torino 19972); Nietzsche, il ribelle aristocratico (Torino 20042).

  INDICE DELL'OPERA - Introduzione. Dalle promesse non mantenute di pace perpetua alla non-violenza - I. Abolizionismo cristiano e pacifismo negli Usa - 1. Dal cristianesimo originario al pacifismo abolizionista cristiano? - 2. La repressione dei «sepoys»: guerra o operazione di polizia? - 3. Guerra civile e lacerazione del movimento pacifista - 4. La sofferta evoluzione di William L. Garrison - 5. La lotta armata come «male minore» - II. Dall’abolizionismo pacifista a Gandhi e Tolstoj - 1. L’India dalla rivolta dei «sepoys» alla non-violenza di Gandhi - 2. La non-violenza alla prova delle guerre dell’Impero britannico - 3. La partecipazione alla prima guerra mondiale come «male necessario» - 4. L’ideologia della guerra in Gandhi - 5. Partecipazione alla guerra e promozione razziale - 6. Lotta anticoloniale in India e invenzione della tradizione non-violenta - 7. Dominio e rivendicazione della «non-violenta» superiorità morale dei dominati - 8. Gandhi e Tolstoj - III. Gandhi e il movimento socialista: la violenza come discrimine? - 1. Tradizione socialista e regolamentazione del conflitto sociale - 2. Socialismo, antimilitarismo e gandhismo - 3. Dai dilemmi del pacifismo Usa ai dilemmi del movimento socialista - 4. Violenza bellica o violenza rivoluzionaria? Turati e Liebknecht - 5. Rivoluzione e catarsi in Marx e Engels - 6. Oggettività e trasfigurazione spiritualistica della violenza - 7. Il caso Sorel - 8. Gandhi e i bolscevichi dinanzi alla prima guerra mondiale - 9. Violenza/non-violenza ed emancipazione/cooptazione - 10. Gandhi dall’aspirazione alla cooptazione alla lotta per il riconoscimento - IV. Il movimento anticolonialista, il partito di Lenin e il partito di Gandhi - 1. La rivoluzione anticoloniale in Asia - 2. La non-violenza come forma di coazione limitata - 3. La non-violenza come tecnica di produzione dell’indignazione morale - 4. La sfida alla morte nel partito di Lenin e in quello di Gandhi - 5. Eroismo morale e leadership - 6. Il ruolo del leader nel partito di Lenin e in quello di Gandhi - 7. La costruzione dell’identità rivoluzionaria in Lenin e in Gandhi - 8. «Ahimsa» e coazione sociale - V. La non-violenza dinanzi al fascismo e alla seconda guerra mondiale - 1. Gandhi e il fascino del ruralismo fascista - 2. L’imbarazzo dinanzi all’aggressione fascista all’Etiopia - 3. Niebuhr critico di Gandhi e di Tolstoj - 4. Bonhoeffer, il fascino di Gandhi e l’ineludibilità della «colpa» - 5. Simone Weil tra non-violenza e critica del gandhismo - 6. Gandhi e l’assimilazione di Churchill a Hitler - 7. Rivoluzione anticoloniale mondiale e indipendenza dell’India - VI. Martin Luther King quale «Gandhi nero» e il radicalismo afroamericano - 1. La non-violenza dal Sudafrica agli Usa - 2. Il «pacifismo realistico» di Martin Luther King - 3. Segregazione, intervento dello Stato e violenza - 4. L’azione diretta come sinonimo di violenza? - 5. La non-violenza come rinuncia all’autodifesa? - 6. I luoghi della violenza: gli Usa e il Vietnam - 7. Tra aspirazione alla cooptazione e lotta per il riconoscimento - 8. Gli afroamericani a Wounded Knee e in Vietnam - 9. Dal «sogno americano» al sogno terzomondista - 10. La conquista dell’autostima: Gandhi, King e Fanon - 11. Lotta per il riconoscimento e violenza: Arendt e Fanon - 12. La svolta radicale e l’assassinio di King - 13. Rivoluzione anticoloniale mondiale e tramonto della «white supremacy» - 14. L’emancipazione degli afroamericani: un processo incompiuto - VII. La fortuna di Gandhi nel mondo e la costruzione del pantheon non-violento - 1. Gandhi, la rivoluzione anticoloniale e il movimento comunista - 2. La sinistra occidentale e il richiamo a Gandhi in Capitini e Dolci - 3. Gandhi «fanatico» e «totalitario» agli occhi del governo di Londra - 4. Santificazione e neutralizzazione di Gandhi e King - VIII.Da Gandhi al Dalai Lama? - 1. Il Tibet lamaista tra «ahimsa» e violenza generalizzata - 2. Come uccidere e mutilare il corpo rispettando i principi della nonviolenza - 3. Rapporti politici e sociali e violenza - 4. La lotta armata come espressione di «compassione» - 5. La «guerra psicologica» e la non-violenza come «schermo» - 6. La «guerra alla natura» come stadio supremo della violenza - 7. Violenza contro i servi o contro i feudatari? I dilemmi della «liberazione pacifica» - 8. I luoghi della violenza: tra indipendenza del Tibet e smembramento della Cina - 9. Tramonto della società castale ed emergere dell’identità nazionale - 10. Grande gioco e continuità degli stereotipi - IX. «Non-violenza», «rivoluzioni colorate» e Grande gioco - 1. Cooptazione nell’Occidente e trasfigurazione «non-violenta» dei suoi amici - 2. «Non-violenza» e «rivoluzioni colorate» - 3. Rivoluzione o colpo di Stato? - 4. Una svolta nella storia della «non-violenza» - X. Una non-violenza realistica in un mondo esposto alla catastrofe nucleare - 1. Grandi crisi storiche e ineludibilità della violenza - 2. Etica della convinzione ed etica della responsabilità - 3. Non-violenza ed eterogenesi dei fini - 4. Utopia di un mondo senza potere e senza violenza - 5. Democrazia universale e pace perpetua? - 6. Per una ripresa del movimento antimilitarista - 7. Interventismo democratico o democratizzazione dei rapporti internazionali? - Riferimenti bibliografici - Indice dei nomi