Mediterraneo in guerra Stampa E-mail

Fabio Mini

Mediterraneo in guerra
Atlante politico di un mare strategico

Einaudi, pagg.318, € 18,50

 

mini_mediterraneo  IL LIBRO – Il generale «insolito», la «voce fuori dal coro» della saggistica geopolitica italiana traccia il profilo del Mediterraneo mettendo a fuoco nell'ottica della potenza militare le terre che lo circondano e i popoli che ci vivono. Il risultato è tutt'altro che scontato e rassicurante.
  In quarantatre anni di servizio militare Fabio Mini è venuto a contatto diretto con tutti gli apparati di sicurezza del mondo. Ha avuto il Mediterraneo come area di responsabilità quando è stato capo di stato maggiore della Nato del sud Europa, ha percorso i luoghi della sicurezza cinese e del suo «mediterraneo», ha comandato un corpo internazionale di pace nei Balcani.
  Avrebbe potuto raccontare il Mediterraneo con un memoriale, oppure con un saggio storico-politico. Si sarebbe forse compiaciuto nel ricordare il passato ma non sarebbe stato stimolato a capire il futuro. In questo libro ha utilizzato perciò la propria esperienza per scoprire qualcosa che chi scrive di geopolitica in genere trascura: l'influenza della guerra, dei mezzi della guerra, della storia della guerra sulle vicende dei popoli e delle terre in cui vivono. La scoperta è banale e sorprendente al tempo stesso: il Mediterraneo non è un mare e non ha una frontiera liquida che si può espandere a piacimento. È un insieme di terre, popoli e culture diverse impregnati di sentimenti e atti di guerra. Basta guardarsi intorno per vedere i segni indelebili delle guerre, da quelle puniche a quella post-nucleare. È sorprendente perché unendo l'ottica militare a quella socio-politica si scoprono le ragioni delle infinite guerre mediterranee e i possibili sviluppi di quelle a cui stiamo assistendo.

  DAL TESTO – “[…] è la paura di perdere la dignità del ruolo e la ricchezza che ha fatto entrare gli Stati Uniti in un ciclo rovinoso che li vede costretti ad armarsi per imporsi e a temere non tanto 1'effettiva minaccia alla sicurezza, quanto la riduzione della propria capacità militare che ormai non è rivolta alla difesa del territorio e degli interessi pubblici ma alla sopravvivenza di un immenso apparato auto comburente gestito da privati. In un mondo di effettiva contrazione delle minacce palesi o probabili gli Stati Uniti si sono concentrati fin dai primi anni Novanta, molto prima dell’11 settembre, sulle minacce invisibili e su quelle possibili anche se improbabili. Sfortunatamente questo fenomeno ha innalzato l'avidità degli operatori economici legati alla difesa che hanno visto nell'evanescenza della minaccia l'opportunità di sviluppare armi e servizi tecnicamente avanzati, infinitamente costosi e probabilmente inutilizzabili. Quando lo stesso terrorismo islamico si è manifestato in tutta la sua virulenza antiamericana (a partire dal 1993 col primo attacco alle Torri Gemelle e fino al 2000 con l'attacco alla nave militare Uss Cole), non è stato considerato una minaccia alla sopravvivenza né degli Stati Uniti né tanto meno della civiltà occidentale. Il livello artigianale del terrorismo, la bassa intensità tecnologica e la sporadicità degli eventi luttuosi non assicuravano né nuovi investimenti né nuove manifestazioni di potenza globale. Alla fine degli anni Novanta gli apparati militari dovevano subire una contrazione e lo stesso ruolo globale americano si stava esercitando nell'imporre agli altri quel sostegno all'apparato industriale che le forze armate americane non potevano più permettersi e non volevano sobbarcarsi per difendere gli alleati da minacce nelle quali nessuno più credeva. Lo choc dell'11 settembre ha ribaltato la situazione e la minaccia terroristica, pur improvvisata e tecnologicamente arcaica, è stata sfruttata per creare una minaccia alla sopravvivenza globale e per realizzare una difesa militare da tutto e da tutti. Se Osama bin Laden avesse sospettato che il suo attacco avrebbe trasformato ciò che fino a quel momento era un semplice rischio fra i tanti in una minaccia militare alla civiltà occidentale e se avesse capito a chi faceva comodo avrebbe chiesto le provvigioni in anticipo. Oggi gli Stati Uniti sono in gravi difficoltà finanziarie e la paura è ormai una paranoia costante che si estende in qualsiasi settore e che in quello militare ha innescato un ciclo perverso di frustrazione, impotenza, violenza gratuita ed efferatezza fino al crimine di guerra. La lotta al terrorismo e gli altri pretesti hanno alimentato guerre dalle quali gli Stati Uniti e gli alleati possono uscire soltanto andandosene alla chetichella: il che non giustifica le spese e le perdite sostenute e neppure l'apparato costruito. La Cina si presta al ruolo di competitrice globale degli americani, contribuendo a mantenere alta la paranoia che potrà soltanto far aumentare i debiti americani e quindi i profitti cinesi. Ma anche la Cina attuale non è un avversario immediatamente comparabile per cui l'unica "speranza" americana è che, magari con un aiutino, si sbrighi a diventare una minaccia seria. L'apparato americano è infatti troppo esteso, troppo tecnologico e troppo caro per qualsiasi guerra convenzionale o regionale. Ed è anche troppo potente per essere semplicemente difensivo, deterrente o rassicurante. Gli Stati Uniti hanno forze e mezzi che nessun altro ha. Controllano i mari, i cieli, lo spazio e qualsiasi ambiente reale e virtuale come quello dell'informazione. Sono in grado di portare fuoco e potenza di ogni tipo in ogni parte del globo. Le uniche limitazioni sono "soltanto" di natura politica, strategica e intellettuale: vale a dire che non sono compensabili con nessuna tecnologia o armamento, eppure la corsa americana è sempre e soltanto una corsa tecnologica e materiale. Le misure di sicurezza non vengono rinnovate o sostituite sul piano concettuale, ma accumulate, in strati sovrapposti. Così alla guerra convenzionale si aggiunge quella asimmetrica, quella chimica e poi quella nucleare e poi quella spaziale e poi quella virtuale, per cui le strutture militari di base, sempre le stesse, vengono legate a serie successive di armamenti, sempre più costosi e raffinati, ma sempre meno rispondenti all'avversario e alla guerra che bisognerà combattere.”

  L’AUTORE – Fabio Mini, generale e saggista, ha comandato tutti i livelli di unità da combattimento e ha prestato lunghi periodi di servizio negli Stati Uniti, in Cina, nei Balcani e nella Nato. È stato capo di stato maggiore del comando alleato del sud Europa e comandante della forza internazionale di sicurezza in Kosovo. È consigliere scientifico di alcuni think tank sulla sicurezza e collabora con le riviste «Limes » e «l'Espresso» e i quotidiani «la Repubblica » e «Il Piccolo». Con Einaudi ha già pubblicato La guerra dopo la guerra (2003), Soldati (2008) e Mediterraneo in guerra. Atlante politico di un mare strategico (2012).

  INDICE DELL’OPERA - Prologo - Parte prima. Il Mediterraneo della guerra - 1. Il mare familiare - 2. Terre e popoli - 3. L'allargamento del Mediterraneo - 4. Le misure dei popoli - 5. La misura militare - 6. Gli americani nel Mediterraneo - 7. La strategia delle basi - 8. Europa e Mediterraneo - 9. Nato: la mezzana senza limiti - Parte seconda. Le terre europee - 1. La Penisola iberica: regimi, rivoluzioni e guerra civile - 2. Francia: una rivoluzione e tante libertà - 3. Terra d'Italia: le armi della repubblica - 4. Malta: la strana neutralità da proteggere - 5. La Terra balcanica: fabbrica di guerre, rivolte e fantasmi - 6. Le terre sul Mar Nero: tra Nato e Russia in espansione armata - Parte terza. Le terre asiatiche – 1. Il Vicino Oriente - 2. Il Medio Oriente - Parte quarta. Le terre d'Africa – 1. Corno d'Africa e Mar Rosso - 2. L'Africa mediterranea – Epilogo - Nota bibliografica