Il giornalismo fatto in pezzi Stampa E-mail

Massimo Fini

Il giornalismo fatto in pezzi

Marsilio Editori, pagg.828, € 28,00

 

fini giornalismo  Massimo Fini – "un anarcoide, un russo mezzo pazzo", come lo definì Giorgio Bocca – ripercorre in questo recente saggio trent'anni di storia non solo italiana (dagli anni Settanta al Duemila e oltre), raccogliendo la propria attività di cronista, di inviato e di inchiestista.

  Nella sezione intitolata "Visti da vicino", si trovano i ritratti di Gianni Agnelli, Angelo Rizzoli, Aldo Moro, Giulio Andreotti, Giangiacomo Feltrinelli, don Giussani, Curzio Malaparte e altri.

  Ad Andreotti l'Autore riconosce il "capolavoro politico di tenere ben fermi i tradizionali legami con gli Stati Uniti e nello stesso tempo di avere rapporti di buon vicinato con il mondo arabo-musulmano, operazione allora molto più difficile di quanto non lo sarebbe oggi perché, in presenza dell'Urss, l'alleanza con gli americani era obbligata. E di questa eredità godiamo tutti ancora oggi".

  La parte dedicata agli Esteri ripropone le corrispondenze dall'Unione Sovietica, New York, Israele, Egitto, Iran, Sudafrica, Giappone.

  "Mentre l'Iraq – scriveva Fini nel marzo 1989 – è uscito dalla guerra con 16 miliardi di dollari di debiti, l'esposizione dell'Iran nei confronti dell'estero è quasi nulla. Ciò è stato reso possibile dall'enorme spirito di sacrificio di questa gente, dalla quasi masochistica capacità degli iraniani di soffrire, di stringere la cinghia. Con tutto ciò l'Iran non è alla fame. Per le strade di Teheran si vedono meno mendicanti che a Milano o a New York". Il regime degli ayatollah, aggiungeva l'Autore, "poggia le sue solide basi sull'autentico sentimento religioso del Paese e sul fanatismo o l'abnegazione di molti seguaci".

  Nella lunghissima intervista ad Angelo Rizzoli, si parla anche di Licio Gelli, "un uomo furbissimo, abile, con una grande, indubbia, capacità di influenzare le persone. E non antipatico". Secondo Rizzoli, "Gelli era un uomo simpatico. Aveva un tratto cordiale, affabile, una certa bonomia, era rassicurante. Con l'aria d'essere sempre disponibile a raccogliere qualunque tipo di richiesta e, secondo me, con una forte sproporzione fra quello che prometteva e quello che manteneva: cioè prometteva molto e manteneva molto meno. Anche se poi certi contatti a livello internazionale li aveva davvero, col presidente degli Stati Uniti e con molti capi di Stato in Sud America".

  Le ultime pagine del volume sono dedicate a Pier Paolo Pasolini, un uomo diverso dalla "quasi totalità degli intervistati": "Con lui l'intervista diventava un colloquio. Chiacchierammo per un paio d'ore. Si era creato un certo feeling e mi invitò a pranzo". "Per almeno due anni – ricordava Fini nel dicembre 1974 – ho avuto una certa frequentazione con Pasolini interrotta solo dalla sua morte".