H. P. Lovecraft. Contro il mondo, contro la vita Stampa E-mail

Michel Houellebecq

H. P. Lovecraft
Contro il mondo, contro la vita


Wudz Edizioni, pagg.124, € 16,00

 

houellebecq lovecraft  Michel Houellebecq, scrittore controverso e acuto interprete del disagio esistenziale contemporaneo, nel saggio "H. P. Lovecraft. Contro il mondo, contro la vita" pubblicato per la prima volta nel 1991, offre un'analisi appassionata e radicale dell'autore di "Providence", sovvertendo ogni approccio filologico tradizionale e scegliendo invece una modalità interpretativa fortemente personale, quasi viscerale. L'opera, che precede di qualche anno l'exploit letterario dell'autore francese con "Le particelle elementari", si configura come una meditazione lucida e spietata sulla condizione dello scrittore nel mondo moderno e, più in profondità, sulla relazione tra arte e disadattamento. La figura di Howard Phillips Lovecraft viene assunta da Houellebecq come emblema di un antagonismo assoluto nei confronti della realtà, divenendo l'icona di un'estetica della negazione che trova nella letteratura fantastica non una forma di evasione, bensì un rifiuto sistematico dell'ordine delle cose.

  Il testo si presenta come una biografia atipica, lontana dai canoni accademici, dove i dati storici e gli elementi documentari — pur presenti con rigore — vengono costantemente riletti alla luce di una riflessione esistenziale e teorica sul senso della scrittura. Houellebecq non si limita a raccontare la vita di Lovecraft, ma la interpreta come parabola dell'estraneità radicale, in cui la marginalità sociale, il razzismo patologico, la misantropia e il senso di disfatta assumono contorni metafisici. La sua prospettiva non cerca di riabilitare Lovecraft, né di ridimensionarne le ombre, ma semmai di affermare che proprio in tali zone d'ombra risiede l'essenza stessa della sua opera e della sua grandezza.

  Uno degli assunti centrali del saggio è che la scrittura di Lovecraft nasce da un disgusto ontologico verso il mondo: non si tratta di un semplice disadattamento, ma di un'autentica incompatibilità con la realtà fenomenica. Houellebecq insiste sul fatto che Lovecraft non si sia mai interessato alla realtà sociale o psicologica dei suoi personaggi, poiché ciò che gli premeva era la creazione di un altrove radicale, un cosmo regolato da leggi ignote e terrificanti, abitato da entità che incarnano il principio stesso dell'inintelligibilità. In questo senso, Lovecraft diviene per Houellebecq un punto di riferimento ideale: uno scrittore che ha saputo trasformare il proprio fallimento umano in una mitopoiesi oscura e grandiosa, edificando un pantheon di divinità cosmiche e mostruose che segnano una cesura definitiva con l'antropocentrismo occidentale.

  Dal punto di vista critico, Houellebecq rifiuta ogni intento di contestualizzazione storicistica. Il suo sguardo è deliberatamente anacronistico e antilineare. Il razzismo di Lovecraft, per esempio, viene affrontato senza moralismi: viene riconosciuto come elemento strutturale della sua visione del mondo, espressione di una paura viscerale per l'alterità che si traduce, sul piano letterario, in una poetica dell'orrore cosmico. Houellebecq si dimostra qui uno dei pochi intellettuali europei a cogliere pienamente la portata filosofica della produzione lovecraftiana: l'orrore non è solo uno stilema, ma la forma privilegiata attraverso cui Lovecraft esprime una concezione antimetafisica dell'universo. In questa visione, l'uomo non è che un accidente, una creatura fragile e irrilevante, minacciata da forze che lo superano infinitamente.

  La prosa di Houellebecq si distingue per la sua densità polemica e per un tono insieme elegiaco e provocatorio. L'autore non cela mai la propria adesione emotiva alla figura di Lovecraft, che diventa per lui quasi un doppio ideale: entrambi, sebbene in epoche diverse, sembrano partecipare della medesima ostilità verso la modernità e del medesimo desiderio di rifugiarsi nell'irrealtà. Il libro si configura pertanto come un duplice omaggio: al maestro del weird e alla scrittura stessa, intesa come unico strumento in grado di affermare un ordine simbolico alternativo a quello della realtà sensibile. L'orrore, per Houellebecq, non è tanto un genere quanto un linguaggio capace di esprimere l'inesprimibile: l'insensatezza della vita, la precarietà dell'esistenza, la vacuità del tempo storico.

  La traduzione di Damiano Scaramella restituisce con precisione il ritmo e l'intransigenza dell'originale francese, rispettando tanto il registro saggistico quanto le numerose divagazioni autobiografiche che costellano il testo. Non si tratta, infatti, di un'opera puramente critica, ma di un ibrido stilistico e intellettuale in cui il commento letterario si fonde con la confessione personale, e l'analisi testuale si intreccia con il pamphlet ideologico.

  Nel panorama degli studi su Lovecraft, il libro di Houellebecq rappresenta un unicum. Non si propone come contributo esegetico nel senso accademico del termine, ma come un documento di poetica e di visione. Proprio per questo, risulta prezioso per comprendere non solo la figura di Lovecraft, ma anche la sua fortuna nel contesto culturale europeo contemporaneo. Houellebecq dimostra che Lovecraft non è soltanto un autore di culto per appassionati del fantastico, ma un pensatore profondo, un metafisico dell'angoscia, un anticipatore delle derive nichiliste del XX secolo. La sua estetica del disumano prefigura molte delle inquietudini che attraversano la letteratura e la filosofia postmoderne, e il suo rifiuto della modernità, per quanto esacerbato e reazionario, si rivela, nelle mani di Houellebecq, una lente insostituibile per riflettere sul destino dell'arte e della soggettività nell'epoca della disgregazione culturale.

  Coniugando passione e rigore, Houellebecq riesce a restituire tutta la potenza visionaria di Lovecraft, riconoscendone al contempo le contraddizioni e le ambiguità, e ponendolo al centro di una riflessione più ampia sul senso della scrittura in un mondo che ha smarrito il proprio orizzonte simbolico.

La Redazione

3 luglio 2025