|
Aleister Crowley
Arte in America
Nino Aragno Editore, pagg.95, € 15,00
Il volume "Arte in America" di Aleister Crowley, recentemente ripubblicato con cura editoriale di Giuseppe e Giovanni Balducci, si offre come una disamina provocatoria, incisiva e, talvolta, radicale sull'evoluzione dell'arte negli Stati Uniti d'America. Noto per la sua figura complessa e per la sua fama nell'ambito dell'occultismo e della filosofia di Thelema, Crowley ha costruito la sua opera su un terreno di continua provocazione e riflessione, un atteggiamento che permea anche le pagine di questo saggio. L'autore si rivolge a una nazione che, nel corso del XIX e all'inizio del XX secolo, si appresta a diventare una potenza globale, ma che, secondo lui, non ha ancora raggiunto una piena maturità in ambito artistico. La sua critica non è solo una revisione della produzione letteraria e pittorica americana, ma un'affermazione del valore dell'arte come mezzo per comprendere la cultura e la civiltà di un popolo.
La struttura del saggio si articola attorno a un'analisi degli autori e degli artisti più noti della tradizione culturale statunitense, da Edgar Allan Poe e Walt Whitman a Mark Twain e James Whistler. Crowley non si limita a un semplice esame biografico o critico di queste figure: la sua penna scivola tra ammirazione selettiva e critica feroce, a seconda delle inclinazioni estetiche e filosofiche che caratterizzano il suo pensiero. In particolare, la figura di Poe viene trattata con un misto di rispetto e diffidenza, il poeta è visto come un precursore di una visione che Crowley riconosce e apprezza, ma che al contempo lo lascia perplesso per la sua continua tensione tra il sublime e l'orrido. L'analisi di Whitman e Twain non manca di un'accurata riflessione sull'America emergente, intrinsecamente legata a una terra che sembra offrire stimoli artistici ma che, secondo l'autore, non riesce a liberarsi dalle sue contraddizioni interne. La critica a Whistler, poi, va oltre il mero giudizio estetico per toccare una riflessione sulla dicotomia tra la spontaneità dell'artista e la forma, tra la verità dell'espressione individuale e la necessità di un linguaggio riconoscibile.
Questa capacità di Crowley di coniugare la critica estetica con una riflessione più ampia sulla natura dell'arte e sulla sua funzione sociale si fa evidente nella trattazione della "sterilità artistica" di una nazione in crescita. Crowley non è solo un critico letterario o un giudice di opere pittoriche; egli è un pensatore che esamina come l'arte possa rappresentare una forma di liberazione o di prigionia per un popolo. Il saggio esplora con lucidità il divario che esiste tra la cultura e l'istruzione, suggerendo che la vera arte non possa nascere da un ambiente sterile, dove la produzione intellettuale è ostacolata dalle rigidità sociali e dai dogmi educativi. In questo, la critica di Crowley sembra spingersi oltre i confini dell'arte stessa, diventando una riflessione sul valore e sull'autenticità delle istituzioni culturali e sull'importanza della libertà individuale nell'espressione artistica. La sua analisi del rapporto tra paesaggio e ispirazione solleva interrogativi su come la natura, nella sua vastità e solennità, possa diventare un motore creativo, ma al contempo rappresenti una trappola per chi non è capace di un'osservazione autentica.
La contraddizione centrale che pervade il saggio riguarda la tensione tra spontaneità e forma. Crowley, d'altronde, è un uomo che si è sempre trovato a interrogarsi sui confini tra il razionale e l'irrazionale, tra l'ordine imposto dalla cultura e la disordinata autenticità dell'individuo. Egli sa che la vera arte non può esistere senza una forma che la trasmetta, ma è altrettanto consapevole che una forma imposta rischia di annientare il suo potenziale espressivo. Questo dilemma si riflette anche nella sua visione della civiltà americana, un paese che, pur avendo prodotti artistici di grande valore, sembra soffrire della mancanza di una tradizione artistica consolidata, in grado di far convivere la libertà individuale con il valore della forma.
"Arte in America" non si limita a demolire i miti, ma li affronta con una visione lucida e spesso impietosa. L'autore non teme di smontare le icone di una cultura giovane, priva, secondo lui, di una consapevolezza autentica delle sue radici artistiche. Ma, tra le righe della critica, affiora anche una sorta di fascino, una comprensione paradossale per l'energia e la contraddizione che definiscono lo spirito dell'America. Il paese, pur incapace di raggiungere la "grandezza" nell'ambito artistico, emerge in queste pagine come un'entità complessa, in grado di suscitare l'ammirazione per la sua forza e la sua capacità di rinnovarsi continuamente.
La Redazione
3 settembre 2025 |