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a cura di Enrico Norelli
A Diogneto
Edizioni Paoline, pagg.180, € 18,00
L'edizione del trattato "A Diogneto" curata da Enrico Norelli si distingue per rigore filologico, equilibrio ermeneutico e profondità storico-teologica, costituendo una tappa imprescindibile negli studi sul Cristianesimo dei primi secoli. Inserita nel quadro della produzione scientifica di uno dei più autorevoli studiosi contemporanei di letteratura cristiana antica, l'opera si segnala per un impianto metodologico solido, attento alle tensioni testuali e storico-religiose che attraversano questo enigmatico scritto del II secolo. Il Diogneto, noto esclusivamente attraverso un codice pergamenaceo quattrocentesco (Codex Argentoratensis Graecus 9), rinvenuto a Costantinopoli nel 1436 da Giovanni Aurispa e irrimediabilmente perduto nell'incendio della biblioteca di Strasburgo del 1870, è stato trasmesso mediante le edizioni e collazioni di Henri Estienne (1592), Reuss (1842) e Otto (1843), che costituiscono la base critica per tutte le edizioni moderne. Norelli integra queste fonti con competenza filologica, fornendo un testo greco riveduto con sobrietà e una traduzione italiana che coniuga fedeltà semantica ed eleganza stilistica.
L'introduzione, ampia e articolata, affronta in modo sistematico i principali nodi esegetici e storico-letterari dell'opera: la questione dell'anonimato dell'autore, la datazione – prevalentemente collocata nella seconda metà del II secolo –, il contesto culturale, verosimilmente ellenistico e di matrice alessandrina, e la natura retorica e teologica dell'opera. In linea con la tradizione critica più accreditata, il curatore esclude con fermezza ogni identificazione autorevole con nomi della letteratura cristiana antica (ad esempio Quadrato, Aristide o Marcione), adottando un approccio non congetturale fondato sulla consistenza interna del testo e sulle sue coordinate storiche verificabili.
Particolare attenzione è riservata alla struttura del discorso: i dodici capitoli, di cui gli ultimi due generalmente considerati aggiunte posteriori di mano diversa, mostrano una progressione tematica e retorica che procede da una critica serrata al paganesimo e al giudaismo verso un'apologia del Cristianesimo come unica religione autenticamente rivelata. Il cristiano, presentato come figura liminale che vive nel mondo ma non è del mondo, incarna un paradosso antropologico e teologico, colto nella celebre analogia dell'anima nel corpo (6,1–10), interpretata da Norelli non solo come artificio retorico, ma come cifra della visione ecclesiologica e cosmologica dell'autore.
La prosa del Diogneto, improntata a un attico di alto livello e ricca di figure di pensiero e di parola (particolarmente anafore, antitesi, interrogazioni retoriche), è oggetto di un'analisi attenta, benché non sistematica. L'uso di dispositivi retorici è inserito da Norelli in una più ampia riflessione sulla finalità persuasiva dell'opera: l'intento non è solo apologetico in senso classico, ma si configura come una vera e propria catechesi intellettuale rivolta a un interlocutore colto, dotato di formazione filosofica e sensibilità politica. Diogneto appare così, più che un individuo reale, una figura costruita per dar voce alle perplessità del mondo greco-romano di fronte alla novitas cristiana.
L'impianto teologico dell'opera è trattato con notevole sobrietà analitica: centrale è la concezione del Cristianesimo non come religione etnica o filosofia, ma come rivelazione storica operata attraverso l'invio del Logos da parte di Dio (capp. 7–10). La dimensione temporale della rivelazione, posta "non per oppressione, né per violenza, ma per persuasione" (7,4), è riletta da Norelli alla luce della teologia della storia tipica di ambienti giovannei ed ellenistici, in dialogo critico con la visione provvidenzialista di Giustino e con l'escatologia realizzata di Ireneo.
Di grande rilievo è infine la riflessione sull'inattualità culturale del Cristianesimo: l'autore del Diogneto delinea un'identità cristiana fortemente decentrata rispetto ai modelli religiosi dell'impero – né ritualista come il giudaismo, né politeista come il paganesimo –, fondata su un ethos pubblico silenzioso ma trasformativo. Norelli coglie in questa rappresentazione un'anticipazione della concezione agostiniana di civitas peregrina, mantenendosi tuttavia cauto nel proporre genealogie troppo lineari.
Dal punto di vista della critica testuale, il testo propone un'accurata discussione delle varianti, una trasparente esposizione delle scelte editoriali e l'assenza di eccessivi interventi congetturali. L'apparato è essenziale ma sufficiente a documentare i passaggi problematici e le soluzioni adottate. Meno sviluppato, ma non assente, il confronto con le versioni moderne in lingue straniere, benché l'autore abbia chiaramente optato per un taglio prevalentemente interno al contesto filologico greco e patristico.
Il volume si raccomanda non solo per l'affidabilità del testo e della traduzione, ma soprattutto per la lucidità interpretativa con cui vengono trattati i principali temi teologici, storici e letterari. Ne risulta un'opera destinata a rimanere punto di riferimento imprescindibile per lo studio della letteratura cristiana antica e per indagare, con strumenti scientificamente fondati, le origini del pensiero cristiano in dialogo con il mondo greco-romano.
La Redazione
6 settembre 2025 |