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Antonio Ingroia - Massimo Giletti
Traditi Le mie verità sui misteri di Palermo e sulla Magistratura
Piemme, pagg.224, € 19,90
Il libro "Traditi. Le mie verità sui misteri di Palermo e sulla Magistratura", frutto del dialogo serrato tra Antonio Ingroia e Massimo Giletti, si configura come un'opera di testimonianza che intreccia dimensione biografica, riflessione giuridica e denuncia civile. La narrazione prende forma a partire dall'esperienza pluridecennale di Ingroia nella magistratura siciliana, in particolare nel contesto della Procura di Palermo, epicentro della lotta antimafia negli anni più cruenti, e si sviluppa in un percorso che lambisce i confini della memoria, della militanza politica e della critica istituzionale. Il risultato è un testo complesso e stratificato che, pur muovendosi nel registro personale, rivendica una valenza pubblica e una forte vocazione civile.
La struttura del volume, costruita sul formato dell'intervista-dialogo, consente una dinamica narrativa fluida ma non superficiale. Massimo Giletti, nella duplice veste di giornalista e coautore, agisce da catalizzatore: le sue domande, a tratti incalzanti, stimolano Ingroia a ripercorrere momenti chiave della sua carriera e ad articolare valutazioni talvolta scomode, ma sempre ancorate a documentazione giudiziaria e a fatti storicamente accertati. Il registro è asciutto, diretto, privo di orpelli retorici, e mira a una comunicazione chiara pur senza rinunciare alla complessità dei temi trattati.
Uno degli assi portanti del libro è la ricostruzione della cosiddetta "stagione delle stragi", a partire dall'eccidio di Capaci (23 maggio 1992) e via D'Amelio (19 luglio 1992), attraverso l'ottica interna di un magistrato che, all'epoca, muoveva i primi passi all'interno del medesimo ufficio giudiziario in cui operavano Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. L'impatto formativo di queste due figure emerge con forza in tutta l'opera: non come semplice tributo memoriale, ma come riferimento etico-professionale da cui discende una precisa idea di giustizia, fondata sulla coerenza, sull'autonomia del potere giudiziario e su una concezione intransigente della legalità democratica.
Particolarmente rilevante è il capitolo dedicato al processo sulla cosiddetta Trattativa Stato-Mafia, nel quale Ingroia, in qualità di procuratore aggiunto, svolse un ruolo determinante nella fase delle indagini preliminari. La narrazione insiste sulle tensioni interne alla magistratura e sulle resistenze incontrate anche da settori dello Stato che, a suo dire, avrebbero ostacolato il pieno accertamento della verità. Ingroia non cela il disincanto rispetto a quelle istituzioni che, a suo giudizio, avrebbero dovuto essere alleate naturali della lotta contro la mafia, ma che si sono invece rivelate ambigue o apertamente ostili. Le sue parole sono, in questo senso, un vero e proprio atto d'accusa nei confronti di un sistema che egli considera responsabile di aver tradito lo spirito originario del lavoro di Falcone e Borsellino.
Degna di nota è anche la riflessione sulla crisi interna alla magistratura, segnata da derive correntizie, logiche spartitorie e progressiva perdita di credibilità sociale. Ingroia non risparmia critiche al CSM, alle organizzazioni associative e alle interferenze della politica, accusate di aver minato l'indipendenza e l'autorevolezza dell'ordine giudiziario. Particolarmente delicata è la questione delle intercettazioni che lambirono il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nel contesto dell'indagine sulla Trattativa, episodio che, secondo Ingroia, segnò il punto di rottura definitivo tra lui e un sistema che si percepiva come impenetrabile alle logiche del diritto.
L'ultima parte del libro si concentra sulla "seconda vita" di Ingroia, dopo l'abbandono della toga e il tentativo — fallimentare ma significativo — di costruire un progetto politico alternativo nel 2013, con la lista "Rivoluzione Civile". L'autore riflette, con tono amaramente autocritico, sulle ragioni del suo insuccesso politico e sulla difficoltà di traslare le categorie della giustizia penale in un linguaggio politico efficace. Questa sezione offre uno sguardo interessante sulla porosità tra giustizia e politica, nonché sul ruolo pubblico del magistrato in una democrazia attraversata da profonde fratture istituzionali e sociali.
Il volume si chiude con un'analisi della "malagiustizia" quotidiana, osservata dall'angolo visuale dell'avvocato che oggi Ingroia è. Qui l'ex magistrato fornisce uno spaccato realistico del funzionamento concreto del sistema giudiziario italiano, soffermandosi su ritardi cronici, inefficienze strutturali e prassi distorte. Lungi dal proporre soluzioni semplicistiche, Ingroia individua nella crisi della legalità un nodo centrale per la tenuta democratica del Paese.
"Traditi", pur nella sua evidente parzialità, rappresenta un documento utile, offrendo materiali originali e spunti interpretativi non trascurabili. La forza del testo sta proprio nel coraggio dell'autore di nominare, con nomi e circostanze puntuali, quelle zone d'ombra che ancora oggi avvolgono la lotta alla mafia e i suoi molteplici tradimenti.
La Redazione
8 settembre 2025 |