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Kerry Brown
Perché Taiwan conta Breve storia di una piccola isola che decide il nostro futuro
Einaudi, pagg.240, € 18,50
Scritto da Kerry Brown, sinologo di lungo corso, professore di Chinese Studies e direttore del Lau China Institute al King's College di Londra, nonché ex diplomatico presso l'ambasciata britannica a Pechino, "Perché Taiwan conta" coniuga rigore analitico e chiarezza espositiva in un'indagine di taglio interdisciplinare, che abbraccia storia, politica internazionale, economia e studi culturali.
L'impianto del libro si fonda su una tesi di fondo chiara e ben argomentata: Taiwan non è soltanto un'entità territoriale contesa tra due visioni nazionali antagoniste — quella della Repubblica Popolare Cinese e quella della Repubblica di Cina insulare — ma un attore sistemico di primaria rilevanza per gli equilibri globali. La forza del volume risiede nella capacità di mostrare come l'isola, nonostante l'assenza di pieno riconoscimento internazionale (solo 12 Stati membri delle Nazioni Unite e la Santa Sede mantengono attualmente relazioni diplomatiche ufficiali con Taipei), eserciti un'influenza sproporzionata rispetto alla sua estensione geografica e demografica, in virtù di una combinazione unica di competenze tecnologiche ed esposizione strategica.
Un'attenzione particolare è riservata da Brown alla traiettoria storica che ha condotto Taiwan alla condizione contemporanea di "sovranità contestata". L'autore ripercorre in modo sintetico ma puntuale i principali passaggi: dalla colonizzazione giapponese (1895–1945) all'arrivo del Kuomintang nel 1949 dopo la guerra civile cinese, fino alla transizione democratica avviata negli anni Ottanta e culminata nella piena democratizzazione del sistema politico taiwanese con le elezioni presidenziali dirette del 1996. Questo percorso è presentato non come un semplice sfondo, ma come elemento costitutivo dell'identità politica e sociale dell'isola, oggi caratterizzata da una crescente auto-percezione taiwanese distinta da quella cinese continentale, come mostrano in modo consistente i sondaggi condotti dal National Chengchi University's Election Study Center: nel 2024 oltre il 60% della popolazione si è dichiarato esclusivamente "taiwanese", mentre meno del 3% si è identificato unicamente come "cinese".
Sul piano economico, l'analisi si concentra giustamente sull'industria dei semiconduttori, identificata da Brown come uno degli architravi dell'importanza strategica dell'isola. La Taiwan Semiconductor Manufacturing Company (TSMC), che produce circa il 60% dei semiconduttori su scala mondiale e oltre il 90% di quelli più avanzati, viene assunta a paradigma di una dipendenza tecnologica strutturale dell'economia globale nei confronti dell'isola. Brown osserva con precisione come questa vulnerabilità sistemica accentui la rilevanza di Taiwan in una fase storica segnata dalla regionalizzazione delle catene del valore e dalla competizione tecnologica tra Washington e Pechino. In questo senso, l'autore suggerisce che la centralità dell'isola non è più solo militare o diplomatica, ma assume la forma di un'egemonia tecnologica latente.
Un merito non secondario del libro è la capacità di tenere insieme l'analisi strutturale con un'attenta osservazione dei vissuti soggettivi dei cittadini taiwanesi. Brown non perde mai di vista la dimensione umana del problema, mostrando come il vivere in uno Stato democratico, ma privo di piena sovranità internazionale, produca una condizione psicopolitica peculiare. L'esperienza di vedere il proprio destino discusso nei consessi internazionali in termini securitari, come se Taiwan fosse semplicemente una variabile di una più ampia equazione strategica, è restituita con misura ma anche con efficacia critica. Il volume invita il lettore a interrogarsi su cosa significhi vivere in uno spazio politico che, pur rispettando tutti i parametri sostanziali della statualità — controllo territoriale, governo effettivo, popolazione stabile, sistema giuridico autonomo — venga sistematicamente escluso dal sistema internazionale a causa dell'opposizione della Repubblica Popolare Cinese.
Il tono del libro è equilibrato, privo di esasperazioni ideologiche, ma non neutro. Brown adotta una prospettiva dichiaratamente liberale, favorevole alla salvaguardia dell'assetto democratico taiwanese, ma al tempo stesso attenta a non demonizzare la posizione cinese. Egli riconosce l'importanza storica e simbolica che Taiwan riveste per il Partito Comunista Cinese nel quadro del progetto nazionalista della "grande rinascita della nazione cinese" (zhonghua minzu weida fuxing), tema centrale nella retorica di Xi Jinping. Tuttavia, l'autore evidenzia con lucidità come l'insistenza su una "riunificazione" imposta, e non negoziata, non solo costituisca una minaccia per la stabilità regionale, ma sia anche destinata a incontrare una crescente resistenza da parte della società taiwanese, che ha ormai sviluppato istituzioni, valori e orientamenti identitari incompatibili con un'integrazione forzata.
Brown inserisce efficacemente la questione taiwanese all'interno delle dinamiche dell'Indo-Pacifico, evidenziando il ruolo crescente del Giappone, dell'Australia e dell'India nel contenimento dell'espansionismo cinese. Egli rileva come il rafforzamento dei partenariati multilaterali (come il Quad) e la recente ricalibratura delle dottrine strategiche statunitensi, esplicitate nella National Defense Strategy del 2022, abbiano conferito a Taiwan una nuova centralità, anche in termini di deterrenza convenzionale. Al contempo, l'autore si mostra consapevole dei limiti dell'impegno occidentale, spesso più formale che sostanziale, e dell'ambiguità strutturale della "One China Policy" americana, che riconosce Pechino come unico governo legittimo della Cina, ma continua a fornire a Taipei armi difensive ai sensi del Taiwan Relations Act del 1979.
Nel complesso, il testo ha la capacità di restituire con sobrietà e profondità il peso storico e sistemico di un'isola la cui traiettoria continuerà a condizionare in modo determinante gli equilibri globali nei decenni a venire.
La Redazione
2 ottobre 2025 |