I Versi d’Oro. La summa della sapienza pitagorea Stampa E-mail

a cura di Julius Evola

I Versi d’Oro. La summa della sapienza pitagorea

Edizioni Mediterranee, pagg.200, Euro 19,50

 

evola_versi  IL LIBRO – Pitagora non lasciò alcuno scritto. Il breve testo in esametri greci, noto col titolo latino di Aureum carmen, è stato volta a volta attribuito a Pitagora stesso, a Empedocle, a Filolao, a Liside. In realtà, si tratta di una silloge di età tarda, per la quale è possibile postulare una fonte risalente al IV secolo a. C.. I precetti forniti dai Versi riguardano l’osservanza degli obblighi religiosi e dei doveri naturali, la vigilanza sulle passioni, la moderazione, la sopportazione dei dolori, la distanza dagli eccessi, l’equilibrata cura del corpo. Libero nelle sue scelte, l’uomo è responsabile della propria condotta, per cui è esortato a riflettere prima di agire, mentre gli viene ricordato che, per un felice compimento delle azioni, sono necessari l’esame di coscienza e la preghiera. Grazie alla purificazione spirituale, il pitagorico raggiungerà un grado di perfezione tale, che potrà conoscere l’essenza comune agli dei e agli uomini, finché la sua anima, liberata dai vincoli delle passioni, ascenderà al libero etere. Nel 1959 Julius Evola pubblicò una nuova versione di questo testo. “In un commento e in uno studio introduttivo – scrisse poi nel Cammino del cinabro – ho utilizzato le principali testimonianze esistenti sul pitagorismo nonché il commento di Ierocle ai Versi per cercar di dare al lettore una idea complessiva del pitagorismo e dello spirito di esso”. Si è perciò ritenuto opportuno pubblicare, in questa nuova edizione de I Versi d’Oro pitagorei, l’introvabile Commentario di Ierocle, la Vita di Pitagora, scritta da Porfirio, e un brano della Vita pitagorica di Giamblico, in una nuova traduzione eseguita dal curatore dell’opera, Claudio Mutti, che nel saggio introduttivo ha seguito l’evoluzione del lungo rapporto di Evola con la tradizione pitagorica.

  DAL TESTO – “Gli Aurea Carmina appartengono alle tracce lasciateci dalla tarda tradizione pitagorica. Che essi siano attribuibili allo stesso Pitagora, ciò già nell'antichità fu contestato. Come si sa, nessuno scritto autentico ci è pervenuto di questo Saggio. Secondo alcune fonti, Pitagora, al pari del Buddha, di Socrate e di altre grandi figure, non avrebbe anzi scritto mai nulla; al massimo, per iscritto avrebbe fissato unicamente alcune parti esteriori, aritmetico-geometriche e astronomiche, della sua dottrina, parti che specie per la complessità delle notazioni numeriche greche altrimenti sarebbe stato difficile conservare e tramandare. Anche l'ipotesi, che autore dei Versi d'Oro sia stato Liside di Taranto - uno dei discepoli diretti del Maestro, scampato, insieme ad Archippo, alla strage dei Pitagorici e rifugiatosi a Tebe (dove avrebbe avuto per discepolo Epaminonda) […] – non ha potuto essere criticamente convalidata. Più che come l'opera di una data individualità, i Versi vanno considerati come un documento di ambienti pitagorici, documento nel quale certamente si conservarono, in forma di breviario, alcuni precetti morali della originaria scuola pitagorea, però più o meno adattati e fors'anche alterati, secondo il carattere proprio, in genere, a tutto ciò che ci è rimasto in fatto di letteratura pitagorica. In questa, è effettivamente difficile distinguere ciò che è di Pitagora e ciò che è di suoi più o meno qualificati e genuini discepoli. La data della compilazione dei Versi è incerta: forse cade prima del periodo alessandrino, probabilmente nel II secolo d.C. - quindi quasi sette secoli da quando era fiorito il pitagorismo delle origini […]”.

  INDICE DELL’OPERA - Presentazione, di Claudio Mutti - Porfirio, Vita di Pitagora - Giamblico, Vita pitagorica 189-194 - I Versi d'Oro - Introduzione, di Julius Evola - I Versi d'Oro, testo greco a fronte - Commento, di Julius Evola – Appendice - Commentario ai Versi d'oro, di Ierocle