Il fardello dell'identità Stampa E-mail

Simone Weil

Il fardello dell'identità
Le radici ebraiche


Edizioni Medusa, pagg.128, € 16,00

 

weil fardello  IL LIBRO – Marsiglia, autunno 1940. Simone Weil scrive una lettera al ministro dell'Istruzione della Francia di Vichy, Jérôme Carcopino, in polemica con lo "Statut des Juifs", di cui mette in luce incoerenze e assurdità, e afferma con forza la propria estraneità alla tradizione ebraica. Il tono con cui rivendica questa estraneità spiega, almeno in parte, anche uno dei suoi scritti più controversi, steso durante gli ultimi mesi di vita, a Londra, mentre lavorava per "France Libre": sono pagine di commento a un testo prodotto da una delle organizzazioni della Resistenza attive nella Francia occupata dai tedeschi. In esse Simone Weil approva le proposte xenofobe e antisemite di questa organizzazione della destra politica, suggerendo di procedere certo in modo non brutale, ma con l'adozione di misure discriminatorie (per esempio impedendo agli ebrei di insegnare nelle scuole), l'imposizione di un'educazione cristiana, l'eventuale privazione della nazionalità francese. Questa estraneità personale all'ebraismo, però, si alimenta nella Weil anche di una serie di ragioni teoriche, ovvero teologiche. In alcuni scritti stesi tra Marsiglia e New York, per la prima volta riuniti in questo volume, Simone Weil ritorna ossessivamente sulla differenza radicale che, a suo dire, separa e isola Israele dagli altri popoli del Mediterraneo antico. L'unicità di Israele, ai suoi occhi, sta tutta e solo nel suo rifiuto caparbio della idea del divino che dagli egizi si diffonde in tutte le altre culture mediterranee. Il Dio di Mosè è l'Onnipotente che promette ai credenti, in cambio della loro fedeltà, regni e ricchezze. Condotti da questo Dio e da suoi profeti, la storia di Israele è fatta di massacri e ferocia, è la storia di un'idolatria che trova compimento ed esito nell'idea, per la Weil detestabile, del popolo eletto. Difficile leggere queste pagine senza provare imbarazzo. In realtà, non senza incomprensioni, la Weil affronta la questione ebraica con la stessa libertà di spirito e di pensiero con cui negli anni Trenta aveva smontato e demolito, dall'interno del movimento sindacale e operaio, mitologie e speranze infondate. Resta in ogni caso difficile sottrarsi all'impressione che in alcuni passaggi della sua critica la Weil non fosse del tutto consapevole del terreno incerto, scivoloso in cui la ricerca della verità ci precipita.

DAL TESTO – "Il concetto stesso di popolo eletto è incompatibile con la nozione di vero Dio. Attiene all'idolatria sociale, la peggiore idolatria.
  "Israele è stato eletto solo in un senso, per il fatto che il Cristo vi è nato. Ma così pure vi è stato ammazzato. Gli ebrei hanno avuto un ruolo più in questa morte che in questa nascita. L'elezione di Israele può intendersi al contempo in due modi, nel senso che Giuseppe è stato scelto per allevare Gesù e che Giuda è stato scelto per tradirlo. Il Cristo ha trovato dei discepoli in Israele, ma dopo averli formati per tre anni di paziente insegnamento essi lo hanno abbandonato. L'eunuco d'Etiopia, per parte sua, non ha avuto bisogno che di qualche minuto per comprendere. Nulla di sorprendente, poiché secondo Erodoto l'Etiopia non venerava come divinità altri che Zeus e Dioniso, vale a dire il Padre e il Figlio, Figlio nato in terra da una donna, mandato a morte nel dolore e ragione di salvezza per coloro che Lo amano. Ogni cosa era scritta.
  "Tutto ciò che nel cristianesimo è ispirato dall'Antico Testamento è malvagio, e in primo luogo la concezione della santità della Chiesa, modellata su quella della santità di Israele.
  "Trascorsi i primi secoli, dei quali non si conosce quasi nulla, la cristianità – per lo meno in Occidente - ha abbandonato l'insegnamento di Cristo per fare ritorno all'errore d'Israele su un punto considerato da Cristo medesimo il più importante di tutti.
  "Sant'Agostino dice che se un pagano cede la veste agli ignudi, rifiuta di rendere falsa testimonianza persino davanti alla tortura ecc., egli non agisce come giusto, sebbene Dio per il suo tramite realizzi opere di bene. Aggiunge che colui il quale si trovi fuori dalla Chiesa, pagano o eretico, nel vivere secondo giustizia è come un buon corridore su una strada sbagliata: quanto più efficacemente corre, tanto più si allontana dal retto cammino."

  L'AUTRICE – Simone Weil (1909-1943), allieva del filosofo Alain, insegna per alcuni anni filosofia in licei di provincia. Si impegna nel sindacato e nei gruppi politici della sinistra. Nel 1934-'35 compie un'esperienza di lavoro in alcune fabbriche parigine, per sperimentare di persona la condizione operaia e confrontare con la realtà la sua riflessione sul mondo del lavoro. Prende parte per un breve periodo alla Guerra di Spagna, uscendo profondamente segnata dal contatto con la barbarie e la forza. In seguito si avvicina al cristianesimo pur senza abbandonare l'impegno e l'analisi politica. Fra le sue opere si ricordano: "L'ombra e lo grazia", "La prima radice", "Attesa di Dio", "L'amore di Dio", "La Grecia e le intuizioni precristiane", "Lettera a un religioso". Nel 2003 Medusa ha pubblicato "Sul colonialismo" e, nel 2004, il volume "Elettre", a cura di Domenico Canciani e Maria Antonietta Vito, che raccoglie i testi della Weil e di Marguerite Yourcenar su questa figura tragica del mito greco.

  INDICE DELL'OPERA – Introduzione, di Roberto Peverelli - Nota editoriale - Il fardello dell'identità - Estratto dal Quaderno IV - Estratto dal Quaderno X - I tre figli di Noè e la storia della civiltà mediterranea - Appunti sulle relazioni originarie fra cristianesimo e religioni non-giudaiche - Israele e i gentili - L'amore di Dio e l'infelicità - Estratti da Lettera a un religioso - Lettera di Simone Weil a Jean Wahl - La vita ebraica di Simone Weil, di Paul Giniewski - La vittoria militare e la bancarotta della morale che maledice, di Georges Bataille