Sulla Germania totalitaria Stampa E-mail

Simone Weil

Sulla Germania totalitaria

Adelphi Edizioni, pagg.316, € 14,00

 

weil germania  IL LIBRO – Nell'estate del 1932 Simone Weil, allora ventitreenne e militante della Sinistra, si trovò a Berlino. Erano gli ultimi mesi prima della presa del potere da parte di Hitler – e non molti al mondo si stavano rendendo conto della portata degli avvenimenti tedeschi. La Weil, sin dalle prime lettere dalla Germania, e poi in tutte le sue riflessioni sul regime hitleriano, mostrò invece una perfetta lucidità. In particolare, individuò subito la sconcertante natura del comportamento del proletariato tedesco: «Per la seconda volta in meno di vent'anni, il proletariato meglio organizzato, il più potente, il più progredito del mondo, quello tedesco, ha capitolato senza resistenza. Non c'è stata disfatta; una disfatta suppone una lotta preliminare. C'è stato il crollo». E subito percepì l'intreccio nefasto di elementi fra bolscevismo e nazismo, mentre in alcuni testi del 1939 spingeva la sua analisi del totalitarismo sino a un raffronto del presente con la politica dell'Impero romano, da lei aborrito. Oggi si leggono questi scritti con ammirato stupore: in effetti, i termini in cui la discussione su quegli anni è giunta faticosamente a porsi fra gli storici e i politologi di oggi, erano tutti presenti nel pensiero di Simone Weil mentre i fatti stessi stavano accadendo. Ma va aggiunto anche qualcos'altro, che poi è ancora più importante: qui sulla massa incandescente dei fatti si posa lo stesso sguardo che negli stessi anni si educava a posarsi su Platone, leggendovi tratti che sino allora non erano mai stati percepiti con pari nettezza.

  DAL TESTO – "Ma il vero, il primo precursore di Hitler dopo l'antichità è senza dubbio Richelieu. Egli ha inventato lo Stato. Prima di lui, alcuni re, come Luigi XI, avevano potuto instaurare un potere forte; ma difendevano la corona. Tra i sudditi alcuni avevano potuto dimostrarsi cittadini nella conduzione degli affari; si dedicavano al bene pubblico. Lo Stato a cui Richelieu s'è dato anima e corpo, al punto da non avere più coscienza di alcuna ambizione personale, non era la corona, ancor meno il bene pubblico; era la macchina anonima, cieca, produttrice di ordine e di potenza, che oggi noi conosciamo sotto questo nome e che alcuni paesi adorano. Questa adorazione implica il disprezzo esplicito di ogni morale, e al tempo stesso il sacrificio di se stessi che normalmente accompagna la virtù; questo miscuglio si trova in Richelieu, il quale diceva, con la meravigliosa lucidità dei Francesi dell'epoca, che la salvezza dello Stato e quella dell'anima non si ottengono con le stesse regole, perché la salvezza dell'anima si realizza nell'altro mondo, mentre gli Stati possono salvarsi solo in questo mondo. Senza far ricorso ai libelli dei suoi avversari, le sue stesse memorie mostrano come egli abbia applicato questo principio, con violazioni di trattati, intrighi destinati a prolungare indefinitamente le guerre più atroci e il sacrificio di qualsiasi altra considerazione, senza eccezione alcuna, alla reputazione dello Stato, vale a dire, nel brutto linguaggio di oggi, al suo prestigio. Il cardinale infante, di cui si è potuto vedere di recente a Ginevra il viso coraggioso, lucido e triste, dipinto con amore da Velázquez, fece precedere le sue armate in Francia da un manifesto, che basterebbe oggi tradurre."
  "La causa principale della debolezza di Hitler è che egli applica i procedimenti immancabilmente riusciti a Roma dopo la vittoria di Zama, quando non ha ancora vinto Cartagine, cioè l'Inghilterra; così quei procedimenti possono portarlo alla sconfitta piuttosto che al dominio supremo. Sembra inoltre che la sua abilità nell'applicazione dei metodi romani resti inferiore, talvolta forse di gran lunga, al modello originale. Tuttavia i Romani non avevano di certo ancora avuto un imitatore di questo livello, anche se egli ha imitato e non inventato qualcosa di nuovo. In ogni caso tutto ciò che ci indigna e anche tutto ciò che ci sbalordisce nei suoi procedimenti lo accomuna a Roma. Non differiscono né l'oggetto della politica, cioè imporre ai popoli la pace mediante la servitù e sottometterli con la costrizione a una forma di organizzazione e di civiltà che si pretende superiore, né i metodi della politica. Ciò che Hitler ha aggiunto di specificamente germanico alle tradizioni romane è solo letteratura e mitologia inventata di sana pianta. Saremmo singolarmente stupidi, ancora più stupidi dei giovani hitleriani, se prendessimo anche minimamente sul serio il culto di Wotan, il romanticismo neo-wagneriano, la religione del sangue e della terra, e credessimo che il razzismo sia una cosa diversa da un nome un po' più romantico del nazionalismo."

  L'AUTRICE – Simone Weil (1909-1943), allieva del filosofo Alain, insegna per alcuni anni filosofia in licei di provincia. Si impegna nel sindacato e nei gruppi politici della sinistra. Nel 1934-'35 compie un'esperienza di lavoro in alcune fabbriche parigine, per sperimentare di persona la condizione operaia e confrontare con la realtà la sua riflessione sul mondo del lavoro. Prende parte per un breve periodo alla Guerra di Spagna, uscendo profondamente segnata dal contatto con la barbarie e la forza. In seguito si avvicina al cristianesimo pur senza abbandonare l'impegno e l'analisi politica. Fra le sue opere si ricordano: "L'ombra e lo grazia", "La prima radice", "Attesa di Dio", "L'amore di Dio", "La Grecia e le intuizioni precristiane", "Lettera a un religioso".

  INDICE DELL'OPERA – Parte prima. Saggi e interventi sulla crisi tedesca (1932-1933) - Condizioni di una rivoluzione tedesca - Lettere sulla Germania - La Germania in attesa - Lo sciopero dei trasporti a Berlino e le elezioni - La situazione in Germania - Discussione sulla situazione in Germania - I. A proposito di un intervento di Pierre Naville - II. Alcune osservazioni sulla risposta della M.O.R. - Prospettive - Parte seconda. Riflessioni sulle origini dello hitlerismo (1939) - I. Permanenza e cambiamenti dei caratteri nazionali - II. Hitler e la politica estera dell'antica Roma - III. Hitler e il regime interno dell'Impero romano – Conclusione - La rivoluzione impossibile e lo spettro del totalitarismo, di Giancarlo Gaeta