Governare il mondo Stampa E-mail

Orazio Licandro - Nicola Palazzolo

Governare il mondo
Roma e le sue istituzioni dalle origini a Giustiniano

Algra Editore, pagg.660, € 38,00

 

licandro governare  Nel poderoso volume "Governare il mondo", Orazio Licandro e Nicola Palazzolo delineano un quadro storico-politico ampio e stratificato, volto non solo a ripercorrere le fasi salienti dello sviluppo istituzionale romano, ma anche — e soprattutto — a offrire al lettore contemporaneo un paradigma interpretativo del presente alla luce di un passato paradigmatico per estensione, coerenza sistemica e capacità di adattamento. Il titolo stesso, nella sua pregnanza concettuale, indica un orizzonte analitico che va ben oltre la mera ricostruzione cronologica: si tratta di una riflessione sulla razionalità politica del dominio, sulla gestione del potere in condizioni di complessità etnica, linguistica, religiosa e giuridica, e sulla costruzione di un ordinamento in grado di garantire la coesione imperiale attraverso secoli di trasformazioni.

  In un contesto internazionale in cui si assiste, da un lato, al riemergere di forme neo-imperiali — esplicite o implicite — e, dall'altro, a una crescente difficoltà nel definire un'identità europea coesa, la conoscenza dell'esperienza romana è presentata come un presupposto "non utile, ma essenziale" per formare cittadini consapevoli, capaci di orientarsi in un sistema globale segnato da discontinuità e pluralismo. La tesi sottesa appare chiara: l'esperienza romana, per estensione spaziale, durata temporale e sofisticazione giuridico-istituzionale, costituisce un unicum storico la cui comprensione è necessaria per leggere criticamente le dinamiche del presente.

  La parabola romana è tracciata nella sua interezza: da un'origine umile e localizzata — una comunità dell'età del Ferro situata sulle alture del medio Tevere — Roma si espande fino a diventare un impero di proporzioni senza precedenti, capace di articolarsi su tre continenti. L'ampiezza geografica, tuttavia, non è qui richiamata come mero dato quantitativo, ma come sfida strutturale: l'amministrazione di una tale varietà di popoli e territori richiedeva infatti strumenti istituzionali, dispositivi giuridici e categorie politiche in grado di garantire una tenuta sistemica nel tempo. È in questo contesto che il concetto di pluralismo, nella sua accezione più profonda, assume un ruolo centrale.

  Il pluralismo di Roma non si limita alla tolleranza di differenze: è piuttosto un principio operativo. L'impero è descritto come un organismo policentrico, internamente eterogeneo, in cui coesistono etnie, culti, lingue, tradizioni giuridiche locali, senza che ciò determini un collasso o una necessaria omologazione. Si tratta di un pluralismo strutturato, non anarchico, che si appoggia a due poli linguistici principali — il latino a Occidente, il greco a Oriente — ma che non elimina le lingue locali, né si oppone frontalmente ai culti regionali. Questa architettura del pluralismo si riflette anche sul piano normativo: alle tradizioni giuridiche locali, spesso consolidate, si sovrappone gradualmente un ordinamento centrale, più raffinato e coerente, il cui sviluppo è il risultato di un'elaborazione plurisecolare da parte dei giuristi romani.

  Uno dei punti teoricamente più fertili, e potenzialmente più attuali, è la valorizzazione del cosiddetto "pragmatismo di governo". Lungi dall'applicare modelli ideologici astratti, i Romani dimostrano — nella lettura proposta dagli autori — una straordinaria capacità di adattamento istituzionale, in grado di modulare assetti costituzionali, meccanismi decisionali e strumenti normativi in relazione ai mutamenti storici e geografici. Il potere non viene solo esercitato, ma costantemente rinegoziato, attraverso forme duttili e strutture capaci di assorbire le crisi trasformandole in momenti di riorganizzazione sistemica.

  Questa razionalità politica, intrinsecamente dinamica, costituisce uno degli insegnamenti centrali dell'esperienza romana, nonché il messaggio più profondo che il volume intende trasmettere al lettore contemporaneo: la tenuta di un ordine complesso richiede istituzioni inclusive, elastiche, ma nondimeno coerenti; categorie del potere capaci di legittimarsi non solo nella forma, ma nella capacità di integrare differenze e risolvere tensioni. In tale prospettiva, la storia di Roma cessa di essere materia antiquaria e diviene, invece, strumento di educazione politica.

  L'insistenza finale sul ruolo del cittadino europeo "colto", che non può ignorare tale eredità, restituisce alla storiografia una funzione pubblica e formativa. Non si tratta di invocare modelli da replicare né di cedere a suggestioni identitarie di tipo essenzialista, bensì di riconoscere — nella stratificazione storica delle istituzioni e delle prassi politiche — il deposito di un sapere che informa ancora oggi le nostre categorie interpretative. In tal senso, "Governare il mondo" si configura come un'operazione di alta divulgazione, orientata da una consapevolezza scientifica rigorosa, ma animata da una finalità civile: ricostruire la genealogia di un'idea di governo fondata sulla pluralità e sulla stabilità, sull'adattabilità e sulla profondità normativa.

  Il volume si propone, in ultima analisi, come una sintesi ambiziosa, che incrocia l'analisi storica con la riflessione politologica, il dato istituzionale con la dimensione pedagogica, la ricostruzione filologica con una prospettiva etica e civica. Il suo valore non risiede solo nella quantità di informazioni trasmesse, ma nella qualità del paradigma interpretativo che sottende: quello secondo cui conoscere Roma significa comprendere una forma complessa di governo del mondo, la cui eredità — pur nei suoi limiti e nelle sue aporie — resta una chiave interpretativa imprescindibile per abitare il presente con maggiore lucidità.

La Redazione

8 settembre 2025