|
Luciano Canfora
Il testamento di Lenin Storia segreta di una lettera non spedita
Fuoriscena, pagg.272, € 18,50
Il saggio di Luciano Canfora, "Il testamento di Lenin", si colloca nel solco di quella tradizione storiografica che unisce l'ermeneutica testuale alla ricostruzione critica dei processi politici. Con il consueto rigore filologico e una conoscenza approfondita della storia del movimento comunista internazionale, l'autore affronta la genesi, le trasformazioni e le implicazioni storiche di uno dei documenti più controversi della prima età sovietica: il cosiddetto "testamento" di Lenin, redatto tra il dicembre 1922 e il gennaio 1923 e destinato al XIII Congresso del Partito bolscevico.
Il testo – una serie di annotazioni dettate da Lenin nei suoi ultimi mesi di lucidità, con l'intento di orientare la futura leadership del partito – rappresenta un oggetto storiograficamente instabile, dalla duplice natura: da un lato, è una testimonianza estrema della volontà politica del fondatore del bolscevismo; dall'altro, si configura come un artefatto documentario sottoposto a manipolazioni, omissioni e strumentalizzazioni che ne alterano profondamente la ricezione e la funzione. Canfora, forte di una metodologia affinata nel campo della storia delle idee e della filologia classica, ne propone una lettura che intreccia analisi delle varianti, ricostruzione delle fasi di trascrizione e diffusione e contestualizzazione politica.
Particolarmente rilevante è il lavoro di comparazione tra le diverse versioni del documento: l'autore esamina le copie autenticate, le pubblicazioni ufficiali sovietiche, le edizioni occidentali e le traduzioni apparse sulla stampa internazionale – tra cui spicca quella a cura di Max Eastman sul "New York Times", che ebbe ampia risonanza nel mondo anglosassone. Emergono così numerose discrepanze, tanto sul piano lessicale quanto su quello contenutistico, che l'autore documenta con precisione, mostrando come il testo originario sia stato progressivamente diluito, epurato o riformulato per attenuarne il potenziale destabilizzante. La figura di Stalin, in particolare, appare come l'oggetto privilegiato di un intervento censorio mirato a neutralizzare le critiche esplicite che Lenin gli aveva rivolto, tra cui l'accusa di brutalità e di eccessiva concentrazione del potere.
Canfora si sofferma inoltre sulle condizioni materiali della redazione del testo, sul ruolo della segreteria personale di Lenin – in primis Nadežda Krupskaja – e sulla gestione documentaria operata dal Comitato centrale tra il 1923 e il 1927. L'autore attribuisce un'importanza decisiva al contesto istituzionale in cui il "testamento" venne discusso e infine relegato a una circolazione interna e riservata: l'incontro fra l'indeterminatezza giuridica del documento e l'ambiguità politica della sua interpretazione rende il "testamento" un caso esemplare di "uso politico del manoscritto", in cui la forma materiale del testo è inscindibile dalle dinamiche di potere che ne regolano la trasmissione.
Nel quadro più ampio della lotta per la successione post-leniniana, il testo – lungi dall'essere un programma coerente – appare come un insieme contraddittorio di giudizi, riserve e suggerimenti, privo di una linea direttiva univoca. Canfora individua in questa ambiguità non tanto un'espressione del declino cognitivo del leader morente, quanto piuttosto una strategia consapevole, forse estrema, per mantenere l'equilibrio tra fazioni inconciliabili, evitando una rottura definitiva del gruppo dirigente. Tuttavia, osserva l'autore, proprio tale ambiguità aprì la strada a quelle interpretazioni divergenti e strumentali che contribuirono all'inasprirsi del conflitto tra Stalin e Trockij e, in ultima analisi, alla consolidazione del potere personale del primo.
La riflessione si allarga, in conclusione, a una più generale teoria della successione politica nei regimi rivoluzionari: Canfora mostra come, in assenza di meccanismi normativi trasparenti, il carisma fondativo venga progressivamente sostituito da un sistema di potere opaco, in cui l'autorità documentaria – lettere, verbali, dichiarazioni private – assume un ruolo surrogatorio e manipolabile. È in questo quadro che il "testamento" si trasforma da testualità testamentaria in strumento di lotta politica, da documento ad arma.
"Il testamento di Lenin" rappresenta, dunque, un contributo di notevole rilievo sia sul piano empirico che teorico. L'analisi delle fonti è condotta con estremo scrupolo; la prosa, pur densa, rimane sempre sorvegliata; la tesi – che Lenin non fu tanto disatteso quanto attivamente riscritto – è sostenuta con argomentazioni convincenti e documentate. In un panorama storiografico spesso diviso tra agiografia e demonizzazione, il lavoro di Canfora si distingue per sobrietà critica, profondità interpretativa e padronanza delle fonti. Non si tratta soltanto di una ricostruzione filologicamente rigorosa di un documento controverso, ma anche di una meditazione di lungo periodo sulle forme della trasmissione del potere, sulla vulnerabilità delle leadership rivoluzionarie e sull'intreccio tra parola scritta e autorità politica.
Il volume conferma, ancora una volta, la capacità di Luciano Canfora di coniugare la microanalisi filologica con un'acuta consapevolezza delle dinamiche macrosociali, restituendo al lettore un quadro complesso e stratificato, ma sempre intellegibile.
La Redazione
8 luglio 2025 |