Denaro e democrazia Stampa E-mail

Domenico Fisichella

Denaro e democrazia

il Mulino, pagg.180, Euro 15,00

 

  Nella transizione fra "prima" e "seconda modernità", fra società industriale e società globale, mutamento economico-finanziario-tecnologico e crescita democratica convergono o divergono? Anche se la dimensione planetaria sulla quale si gioca oggi tale partita rende, per certi aspetti, il problema nuovo e assai stringente, il tema dei rapporti tra potere economico e potere politico ha una lunga tradizione sia nella storia delle idee sia nella storia dei fatti.

  Questo saggio di Domenico Fisichella (da due legislature vicepresidente del Senato) ripercorre questa vicenda plurisecolare mettendo a confronto le parabole della democrazia classica e della democrazia contemporanea per coglierne gli elementi di continuità e di discontinuità. Secondo l'Autore, la sfida che i potentati economico-finanziari e le oligarchie tecnocratiche pongono al primato della politica e, in particolare, a quella sua forma specifica che è la democrazia politica, è davvero forte e l'esito del confronto appare incerto. Ma sarebbe davvero paradossale se, superate le esperienze autoritarie e totalitarie del XX secolo, la democrazia dovesse soccombere per incapacità di autocorreggersi.

  Fisichella scrive che oggi "la politica è ormai accettata dalle oligarchie economiche solo come strumento dell'economia. E il complesso tecnocratico e bancocratico si pone e propone esso come classe generale, pur essendo connotato da una intrinseca vocazione particolaristica. Tutto ciò in un quadro ove stanno declinando le premesse antropologiche e simboliche che hanno storicamente alimentato, nel tempo antico e nel tempo moderno, la democrazia politica, la quale anche (non soltanto) in ragione di ciò si riduce a guscio vuoto di funzioni sostanziali e ad apparenza istituzionale che mimetizza e cela contenuti di potere ormai eterogenei ed estranei".

  "Per molti segni - aggiunge l'Autore - gli Stati Uniti d'America possono oggi essere interpretati come un caso di transizione da un regime democratico a un regime oligarchico, per il quale la democrazia, divenuta di fatto una celebrazione liturgica in politica interna, vale viceversa soprattutto come prodotto di esportazione, allo scopo di concorrere al mantenimento della supremazia statunitense nella "grande scacchiera".