Luciano Mecacci
Lo psicologo nel palazzo Il caso Bechterev-Stalin Con una novella di Lion Feuchtwanger
Palingenia, pagg.344, € 29,00
"Lo psicologo nel palazzo" di Luciano Mecacci rappresenta un contributo di straordinaria rilevanza nel panorama degli studi interdisciplinari tra psicologia, storia politica e cultura scientifica. L'opera, costruita con rigore documentario e uno stile narrativo lucido, affronta uno degli episodi più enigmatici della storia sovietica: la morte improvvisa del celebre neurologo e psicologo Vladimir M. Bechterev, avvenuta nel dicembre del 1927, il giorno successivo a un incontro privato con Iosif Stalin. L'ipotesi che tale decesso sia stato causato da un deliberato avvelenamento — a seguito di una presunta diagnosi psichiatrica formulata nei confronti del dittatore — costituisce il nucleo tematico attorno al quale si sviluppa un'analisi ampia e articolata, che interseca discipline diverse senza mai perdere coerenza metodologica.
Il volume si apre con un inserto letterario di grande suggestione: una novella del romanziere tedesco Lion Feuchtwanger, "Le isole", scritta nel 1931, che ritrae la figura di un geniale fisiologo del cervello, il dottor Bl., morto misteriosamente dopo un incontro con un potente leader. Mecacci utilizza questo testo come grimaldello interpretativo, mostrando come la narrativa, pur non apertamente dichiarata come ispirata a fatti reali, possa anticipare e simbolizzare dinamiche di potere e rimozione nella storia del Novecento.
Al centro della trattazione è la figura di Vladimir Bechterev, eminente scienziato russo noto per i suoi studi pionieristici sul sistema nervoso centrale, sulla riflessologia, sull'ipnosi e sulla suggestione. Mecacci ricostruisce con precisione biografica e contestuale l'evoluzione del pensiero bechtereviano, collocandolo all'interno del vivace e drammatico passaggio dalla Russia zarista alla Russia sovietica. L'autore non si limita a delineare il profilo scientifico dello studioso, ma lo inserisce in un contesto ideologico e istituzionale carico di tensioni e contraddizioni, in cui il sapere psicologico e medico veniva gradualmente strumentalizzato ai fini del controllo sociale.
Uno degli aspetti più innovativi dell'opera risiede nell'approfondimento del rapporto tra potere politico e sapere psicologico. Mecacci mostra come, nel clima ideologico del primo stalinismo, si andasse configurando una nuova epistemologia del dominio, in cui concetti come "suggerimento", "ipnosi" e "telepatia" non appartenevano più solamente al lessico scientifico, ma venivano progressivamente incorporati nelle tecniche di manipolazione delle masse. Tale fenomeno è analizzato con grande perizia, mediante il riferimento a fonti archivistiche, lettere, diari e documenti ufficiali, molti dei quali poco noti o inediti nella letteratura italiana.
L'ipotesi di Mecacci — ovvero che Bechterev possa aver diagnosticato una forma di paranoia a Stalin e che ciò abbia innescato la sua eliminazione fisica — è presentata con cautela argomentativa e senza forzature. L'autore non impone una verità definitiva, ma costruisce un solido impianto indiziario, suffragato da un'ampia base documentale e da una sapiente tessitura logica. In questo senso, il volume si sottrae sia al sensazionalismo giornalistico sia alla rigidità della mera cronaca storiografica, offrendosi invece come un modello esemplare di indagine interdisciplinare.
Di particolare rilievo è anche la riflessione sull'uso della psichiatria in chiave repressiva, anticipando fenomeni che diventeranno strutturali durante le purghe staliniane degli anni Trenta. Mecacci ricostruisce come la disciplina psicologica, originariamente volta alla comprensione della soggettività e alla cura, sia stata progressivamente deviata verso una funzione diagnostico-ideologica, impiegata per la classificazione e la neutralizzazione dei "nemici interni". In questo quadro, l'elaborazione teorica di Bechterev, per quanto radicata in una concezione scientifica razionalista e sperimentale, non poteva che risultare estranea — e potenzialmente pericolosa — per un regime che pretendeva di governare anche l'invisibile: la mente.
Infine, il volume si conclude con un altro elemento originale: la riproduzione di un'intervista concessa da Stalin a Lion Feuchtwanger, nella quale emerge la strategia comunicativa del dittatore, improntata a una razionalizzazione del proprio operato e alla costruzione di una mitologia personale. Questo materiale, ben contestualizzato da Mecacci, aggiunge una dimensione documentaria di notevole interesse e contribuisce a rendere il testo una vera e propria "anatomia del potere", in senso foucaultiano.
"Lo psicologo nel palazzo" è un'opera di alto profilo scientifico e culturale, capace di dialogare con i più avanzati orientamenti della psicologia storica, della storia della scienza e della teoria politica. L'abilità dell'autore nel tenere insieme rigore analitico e qualità narrativa rende il volume non solo un contributo imprescindibile per gli studiosi, ma anche una lettura stimolante per chiunque voglia comprendere i complessi intrecci tra sapere, autorità e costruzione del consenso. In un'epoca in cui la memoria storica rischia spesso di essere semplificata o distorta, Mecacci offre un esempio luminoso di come si possa indagare criticamente il passato senza rinunciare alla profondità teorica e alla precisione filologica.
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