Nicola Drago
Il premierato non è di destra Perché cambiando la forma di governo (sempre che lo si faccia bene) si può aggiustare l'Italia Prefazione di Sabino Cassese
UTET, pagg.180, € 16,00
Nel saggio "Il premierato non è di destra", Nicola Drago offre un contributo lucido, pragmatico e, per certi versi, provocatorio, al dibattito sulla forma di governo e sull'efficacia dell'azione esecutiva nella Repubblica Italiana. Pur non provenendo dal mondo accademico o partitico, l'autore – noto imprenditore e promotore del movimento civico "ioCambio" – propone una riflessione articolata, sorretta da esperienze concrete e animata da un intento divulgativo che non sacrifica la densità analitica.
L'analisi prende le mosse da una constatazione largamente condivisa da politologi, costituzionalisti e analisti istituzionali: l'instabilità dei governi italiani, sin dalla fondazione della Repubblica, ha rappresentato un freno strutturale alla capacità dello Stato di attuare politiche pubbliche durature ed efficaci. Il dato riportato da Drago – sessantacinque governi in settantasette anni – non è solo emblematico, ma funziona da perno attorno a cui ruota l'intera argomentazione. L'instabilità non viene intesa soltanto come alternanza fisiologica tra esecutivi, ma come cronica incapacità di costruire leadership durevoli, orizzonti programmatici coerenti e meccanismi decisionali efficienti.
Nel tratteggiare questo scenario, Drago non indulge in una narrazione declinista, ma propone invece un percorso di ricomposizione delle istituzioni centrali del Paese, centrato sulla riforma della forma di governo in senso premierale. È proprio in questo contesto che il libro assume un valore particolarmente rilevante: si distanzia dalla retorica contingente delle parti politiche per offrire una visione sistemica della riforma istituzionale, sottraendola al gioco delle convenienze parlamentari del momento.
La tesi principale sostenuta nel volume è chiara: il rafforzamento della figura del Presidente del Consiglio attraverso una investitura diretta e una maggiore stabilità parlamentare non è una questione ideologica, bensì un'esigenza funzionale alla modernizzazione dell'apparato statale. Drago sottolinea come le oscillazioni delle forze politiche sul tema – con la sinistra che un tempo promuoveva forme di governo fortemente personalizzate e il centrodestra che vi si opponeva – dimostrino la natura meramente tattica con cui è stato finora trattato l'argomento.
Attraverso un confronto con altri ordinamenti – in particolare con il semipresidenzialismo francese e il modello del sindaco d'Italia – l'autore argomenta la plausibilità tecnica e la sostenibilità democratica di un rafforzamento dell'esecutivo. Non si tratta, dunque, di abbandonare il parlamentarismo, ma di correggerne gli elementi disfunzionali mediante strumenti che favoriscano la coesione tra corpo elettorale, Parlamento ed esecutivo.
Interessante è anche l'approccio manageriale che Drago introduce nella trattazione. Forte della propria esperienza imprenditoriale nel risanamento della casa editrice De Agostini, egli insiste sulla necessità di conferire ai governi strumenti operativi analoghi a quelli che regolano il funzionamento di strutture complesse nel settore privato. Tuttavia, a differenza di altre proposte riformatrici di ispirazione tecnocratica, la sua visione non rinuncia alla dimensione politica della riforma: essa deve avvenire nel rispetto delle dinamiche democratiche, mediante un ampio coinvolgimento civico e un dibattito pubblico informato.
Questa impostazione consente all'autore di evitare l'approccio elitario o iper-specialistico, parlando invece a un pubblico più ampio ma mantenendo rigore concettuale. In tal senso, il volume si configura come un'operazione di "traduzione istituzionale", capace di portare su un piano comprensibile e accessibile tematiche solitamente riservate agli addetti ai lavori.
Una delle intuizioni centrali del libro è la proposta di considerare la riforma del premierato come "la riforma che rende possibili tutte le altre". Drago sostiene che, senza un esecutivo stabile e legittimato, qualsiasi iniziativa di riforma – sia essa in campo economico, sociale o educativo – risulta destinata al fallimento o all'incompiutezza. Questo argomento, seppur già discusso in ambito scientifico, viene qui rilanciato con forza in chiave propositiva, fornendo una cornice concettuale che può fungere da base per ulteriori elaborazioni accademiche e politiche.
Non si tratta, dunque, di avanzare una proposta tecnica, bensì di delineare un vero e proprio progetto-paese. E in ciò il libro si distingue da molti altri contributi sul tema, troppo spesso vincolati a una lettura giuridico-formalistica del problema istituzionale.
Il libro di Nicola Drago, pur non essendo un lavoro accademico in senso stretto, merita attenzione da parte della comunità scientifica per la chiarezza dell'analisi, l'originalità dell'approccio e la volontà esplicita di stimolare un dibattito che coinvolga cittadini, studiosi e decisori pubblici.
In un tempo in cui la sfiducia verso le istituzioni è alimentata da una politica inconcludente e autoreferenziale, questo saggio offre una prospettiva alternativa e, al tempo stesso, una proposta concreta. Per questo motivo, può essere considerato non solo un testo utile alla discussione riformatrice, ma anche un esempio virtuoso di come il pensiero politico possa ancora parlare al presente con ambizione trasformativa.
|