Giuseppe Pardini
Frammenti di fascismo Dalla teoria del «movimento» alla prassi del «regime»
Le Lettere, pagg.252, € 22,00
Nel volume "Frammenti di fascismo", Giuseppe Pardini propone una riflessione storiografica articolata e documentata sul fascismo italiano, assumendo quale impianto teorico la nota distinzione definitoria di Renzo De Felice tra la fase "movimentista" (1919–1926) e quella del Regime (1926–1943). L'autore – già noto per importanti contributi sulla storia del fascismo e del neofascismo, e docente di Storia contemporanea presso l'Università del Molise – affronta la dialettica interna al fascismo storico con approccio empirico e consapevolezza metodologica, restituendone la fisionomia sfaccettata e intrinsecamente contraddittoria.
Il volume ha una struttura bipartita che riflette, anche sul piano della costruzione narrativa, la frattura analitica che sottende l'intero lavoro: da un lato l'elaborazione teorica e ideologica del fascismo in quanto movimento; dall'altro, la sua traduzione concreta nella prassi istituzionale e politica del regime mussoliniano.
La prima parte si concentra sulle matrici dottrinali del fascismo delle origini, con attenzione rivolta alla pluralità delle tendenze presenti nei primi anni del movimento. Pardini analizza con precisione l'eterogeneità delle piattaforme ideologiche, ponendo in luce le tensioni tra istanze palingenetiche, influenze futuriste e velleità rivoluzionarie da un lato, e spinte reazionarie, autoritarie e nazionaliste dall'altro. In questa sede, rivestono particolare rilevanza le figure di Emilio Settimelli, in arte Volt, e di Curzio Suckert (Malaparte), assunte non solo come espressione della componente intellettuale del fascismo, ma anche come indicatori di un tentativo – in larga misura fallito – di dotare il movimento di una coerenza teorica e di un impianto ideologico autonomo rispetto al liberalismo e al socialismo. La lettura proposta da Pardini, sempre sorretta da un uso rigoroso delle fonti, evidenzia il carattere eclettico e instabile della cultura politica fascista, mostrando come l'apparente sincretismo nascondesse piuttosto una tensione permanente tra spinte modernizzatrici e pulsioni restauratrici.
La seconda parte del volume si rivolge alla concreta articolazione del regime, analizzando le dinamiche interne al sistema di potere fascista a partire da due casi di studio: Carlo Scorza, figura emblematica del ceto medio fascista e protagonista di una parabola politica oscillante tra marginalizzazione e riemersione; ed Emilio De Bono, quadrumviro della Marcia su Roma, già governatore della Libia, ministro e alto gerarca, la cui vicenda biografica si intreccia in modo cruciale con la crisi terminale del regime. L'attenzione rivolta da Pardini al ruolo di questi due personaggi si configura come un esercizio di microanalisi politica, finalizzato a illuminare le logiche del potere all'interno dell'apparato fascista, le forme della lealtà e del dissenso, nonché le ambiguità che caratterizzarono il comportamento dei vertici del Regime nei momenti di maggiore incertezza. Di particolare interesse risulta l'utilizzo del diario inedito di De Bono, fonte di notevole rilevanza storica che consente di riesaminare le dinamiche del Gran Consiglio del 25 luglio 1943 con strumenti nuovi e maggiore profondità interpretativa. L'autore ricostruisce con accuratezza le motivazioni che portarono De Bono – successivamente giustiziato a Verona come traditore – a prendere le distanze da Mussolini, offrendo una lettura non riduttiva delle fratture interne al fascismo tardo.
Ciò che conferisce originalità e spessore al lavoro di Pardini è la capacità di coniugare biografia politica e analisi strutturale, evitando tanto la narrazione agiografica quanto la semplificazione deterministica. Le figure di Scorza e De Bono non sono assunte come mere curiosità storiografiche, ma come paradigmi attraverso i quali interrogare le caratteristiche del Regime nel suo funzionamento concreto: la gestione del potere, il rapporto tra centro e periferia, la funzione del Partito nazionale fascista, l'ambigua coesistenza tra ideologia e opportunismo.
Sul piano metodologico, "Frammenti di fascismo" si distingue per un uso accurato delle fonti primarie, per la selezione di un apparato bibliografico aggiornato e per uno stile espositivo sobrio, privo di enfasi ideologiche, ma sempre sorretto da una chiara consapevolezza delle poste in gioco. L'autore mostra piena padronanza della letteratura storiografica nazionale e internazionale, pur scegliendo consapevolmente di ancorare la propria analisi a un impianto prevalentemente empirico, teso a valorizzare il dato documentale piuttosto che l'astrazione teorica.
Il volume rappresenta, in definitiva, un contributo significativo alla comprensione del fascismo italiano nella sua evoluzione interna, offrendo spunti interpretativi utili non solo per la storiografia specialistica, ma anche per la riflessione più generale sulle dinamiche dei regimi autoritari novecenteschi. Lungi dal presentare una visione univoca o sistemica del fascismo, Pardini ne restituisce la natura frammentaria, conflittuale e adattiva, sfuggendo così alle griglie interpretative rigide e privilegiando una lettura processuale, attenta alle discontinuità e agli elementi di rottura. Il titolo stesso del volume – "Frammenti di fascismo" – si rivela, in tal senso, emblematico: non un sistema ideologico monolitico, bensì un insieme di percorsi, retoriche e pratiche politiche eterogenee.
Per la profondità dell'impianto analitico, l'originalità delle fonti utilizzate e la capacità di restituire la complessità del fenomeno fascista al di là dei luoghi comuni della vulgata storiografica, il volume di Giuseppe Pardini merita piena attenzione, collocandosi, a pieno titolo, tra gli studi che contribuiscono a una comprensione problematica, critica e storicamente fondata del fascismo italiano.
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