Alessandro Giuli
Antico presente Viaggio nel sacro vivente
Baldini+Castoldi, pagg.240, € 19,00
Nel panorama recente della saggistica italiana incentrata sull'eredità culturale e religiosa dell'antichità, il volume di Alessandro Giuli, "Antico presente. Viaggio nel sacro vivente", si distingue presenta un taglio dichiaratamente divulgativo ma non privo di ambizione teorica. L'autore — figura nota nel giornalismo culturale e, dal 2024, Ministro della Cultura — propone un itinerario attraverso l'Italia arcaica e tardoantica, costruito attorno a una mappa mentale che coniuga spazio geografico e memoria simbolica. Il testo si offre come una narrazione stratificata, nella quale l'indagine storico-mitologica si intreccia con la riflessione sull'identità italiana contemporanea e sulla permanenza del sacro nell'immaginario collettivo.
Il libro si articola in un percorso che muove dalle culture preromane dell'Italia centrale — con particolare attenzione alle civiltà italiche, etrusche e romane — per poi dischiudersi verso il Sud e il Mediterraneo, includendo territori marginali e spesso trascurati dalla storiografia canonica. L'Abruzzo, la Tuscia, la Maremma, la Puglia e le sponde ellenizzate della Magna Grecia diventano scenari privilegiati di un'indagine che tenta di ricomporre le molteplici stratificazioni culturali dell'Italia antica.
Il filo conduttore dell'opera è costituito dalla nozione di "sacro vivente", una categoria che Giuli utilizza in senso ampio e talora volutamente ambiguo, per indicare non soltanto la sopravvivenza di culti e riti antichi, ma soprattutto la loro trasformazione e riemersione simbolica nella coscienza contemporanea. In tale prospettiva, i luoghi visitati non sono descritti come semplici siti archeologici o paesaggi storici, bensì come depositi di significati ancora attivi, in grado di interrogare il presente.
Sebbene il taglio sia prevalentemente divulgativo, il volume si avvale di un impianto metodologico che risente di suggestioni eterogenee: dalla storia delle religioni alla mitografia comparata, dall'antropologia simbolica all'archeologia del paesaggio. Tuttavia, non si tratta di una trattazione accademicamente sistematica; piuttosto, l'autore opta per un andamento saggistico, a tratti ellittico e impressionistico, che favorisce l'efficacia evocativa a scapito della formalizzazione teorica.
Giuli manifesta una predilezione per i miti fondativi e per la narrazione epica — temi che attraversano il testo in modo ricorrente — e ne evidenzia la funzione coesiva nella formazione dell'identità nazionale. La sua prospettiva, pur consapevole delle deformazioni ideologiche che nel Novecento hanno strumentalizzato l'antichità, tende comunque a una riabilitazione simbolica dell'eredità arcaica, in una chiave talora dichiaratamente "conservatrice", nel senso più ampio e culturale del termine.
Tra i meriti principali del volume si segnala la capacità di restituire al lettore non specialista la complessità del tessuto mitico-religioso dell'Italia antica, senza appiattirlo in una narrazione didascalica. L'autore mostra una notevole sensibilità nel leggere il paesaggio come testo culturale, evidenziando nessi non immediati tra geografia, storia e simbologia.
Pur non essendo un testo scientifico in senso stretto, il libro rappresenta, dunque, una proposta culturale coerente e stimolante, che invita a ripensare il rapporto tra memoria, spazio e identità. Esso potrà rivelarsi utile non solo per cogliere l'eco dei miti arcaici nel discorso culturale odierno, nel tentativo — per dirla con le parole dell'autore — di «riconnettere il tempo perduto al presente vivente».
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