La strana morte del Tenente Generale Alberto Pollio. Intervista con Giovanni d’Angelo Stampa E-mail

La strana morte del Tenente Generale Alberto Pollio. Intervista con Giovanni d’Angelo

a cura di Francesco Algisi

   Giovanni d'Angelo è nato a Roma nel 1935. Dopo gli studi classici presso i Fratelli Maristi si è laureato in giurisprudenza e in scienze politiche. Lasciata la professione legale si è dedicato ai prediletti studi storici e letterari. Già ordinario di storia e filosofia nei Licei ha trascorso quasi tutta la sua carriera nelle Relazioni Culturali del ministero degli Esteri. Ha prestato servizio in Irlanda, Stati Uniti, Centro America, Egitto, Scozia, Eritrea, Etiopia, Grecia e presso il Ministero stesso. È stato anche assistente presso il Trinity College di Dublino e Visiting Assistant Professor presso il dipartimento di storia dell'Università di stato della Luisiana a Baton Rouge (Usa). Ha pubblicazioni in diversi campi e collabora a quotidiani e riviste. È recensore per la World Literature Today. Ha scritto La Guerra di Cuba - 1898 (1997). È membro della Società Italiana di Storia Militare.

  Recentemente ha dato alle stampe il volume La strana morte del Tenente Generale Alberto Pollio, Capo di stato maggiore dell'Esercito. 1° luglio 1914 (Rossato, 2009), un’approfondita analisi – frutto di ricerche d’archivio durate tredici anni – riguardante uno dei tanti misteri che hanno caratterizzato la storia italiana del Novecento.

  Dottor d’Angelo, lei è il nipote del generale Vincenzo Traniello, l’uomo che è stato vicino ad Alberto Pollio negli ultimi giorni della sua vita. Che ruolo ha giocato questo aspetto nella sua ricerca?

  Come dico nel capitolo introduttivo del mio libro, io ho trovato per caso, tra le cose che ho dovuto inventariare dopo la morte dei miei genitori nella casa di Roma, una relazione pubblicata da mio nonno sulla morte di Alberto Pollio. Sapevo abbastanza poco di Pollio, tranne qualcosa che avevo percepito durante conversazioni con mio zio, generale Ottaviano Traniello, figlio del generale Vincenzo Traniello. Avevo avuto occasione di citare il nome di Pollio in una mia lettera a Indro Montanelli, quando sentii il dovere di controbattere a un articolo in cui Montanelli dava praticamente dell’ignorante e negava qualsiasi valore intellettuale all’alta classe militare della monarchia. Quindi, nella mia lettera, che poi provocò una rottura con Indro Montanelli, giacché venne pubblicata un po’ sfrondata, citai Pollio come un esempio di generale molto colto sul piano storico, che aveva scritto delle opere abbastanza note come Custoza 1866 e un libro su Waterloo. Oltre questi cenni, però, non sapevo molto di più su Pollio. Successivamente, dopo aver trovato la relazione di mio nonno (che ha delle caratteristiche un po’ strane: non porta prezzo, sembra più una tesi di laurea pubblicata: questa cosa mi incuriosì…), la lessi un po’ rapidamente e cominciai a ragionarci sopra. Cominciai le mie ricerche, che, a parte l’intervallo del mio servizio in Grecia, sono durate complessivamente circa 13 anni.

  Nel capitolo introduttivo, scrive che l’archivio di Traniello si trova presso un suo cugino, il quale le ha però negato l’accesso…

  Sì, è il professor Francesco Traniello. Egli lo aveva acquisito legittimamente, perché la casa di mio zio Ottaviano Traniello  fu lasciata in testamento a lui. Quindi egli ha raccolto tutto quello che vi ha trovato.

  Perché non le ha permesso di consultare la documentazione dell’archivio?

  Gli scrissi una raccomandata con ricevuta di ritorno: forse è stato un atto non molto elegante da parte mia, ma conoscevo il soggetto. La ricevuta di ritorno mi ritornò, tuttavia egli non diede corso alla mia richiesta, né scrisse un paio di righe per darmi le ragioni per cui non riteneva di ottemperarvi. Avevo fatto presente, nella  lettera, che il generale Vincenzo Traniello è anche il padre di mia madre. Dopo di che contattai il suo unico fratello, Paolo Traniello, che insegnava Scienza delle biblioteche all’università dell’Aquila ed è poi transitato all’università di  Roma 3. Questi, che è una persona estremamente più educata, mi rispose che non poteva fare nulla perché l’archivio non era nelle sue mani e non voleva entrare nella faccenda. Mi fece avere, però, una lettera abbastanza sibillina, che cito nel libro, del comandante della Brigata Padova indirizzata a mio nonno nell’ultima fase della Grande guerra (giugno 1918), in cui mi sembra che faccia riferimento tra le righe alla morte del generale Pollio laddove dice: “spero che il grande (penso si riferisca a Pollio) possa essere rivalutato”.

  A pagina 32, descrivendo la figura di Pollio, dice che era filosemita e antimusulmano.

  Riguardo alla campagna di Libia, sottolineo la stranezza che Pollio l’ha diretta non muovendosi mai da Roma: credo che avesse mandato mio nonno per qualche volante ispezione o controllo sul fronte libico. Pur non avendo trovato rapporti di mio nonno dal fronte, so con certezza che egli fu spedito da Pollio in Libia alla fine ufficiale della guerra  (di fatto, la guerriglia si trascinò per molti anni). Pollio, nella fattispecie, era molto antimusulmano. Non sono riuscito a trovare documenti che spiegassero le ragioni di questa ostilità. Il suo anti-islamismo risulta evidente verso le nostre formazioni militari indigene: durante la guerra libica, molti reparti di ascari eritrei furono inviati in Libia, dove si comportarono benissimo. Di conseguenza, come rilevo nel libro, questo provocò delle preoccupate comunicazioni a Pollio da parte del generale Ameglio, il quale suggeriva di tenere un comportamento un po’ più equanime verso i due gruppi etnico-religiosi. Però, ripeto, non vi sono documenti che spieghino questa disparità di trattamento da parte di Pollio.

  Lei  scrive anche che Pollio era “quasi adorante verso tutto ciò che sul piano militare era tedesco-austriaco”…

  Questo è dimostrato dall’ampia messe di documenti relativi alla sua missione come addetto militare a Vienna, che ebbe luogo tra il 1893 e la fine del 1896. Tale atteggiamento continuò anche negli anni successivi, allorché il Nostro comandava la regione militare della Sardegna e poi andò a comandare il corpo d’armata di Genova. In questo periodo, ebbe a che fare con Cadorna, con il quale già era in corso una certa ostilità, che poi si acuì dal momento in cui Pollio, nel 1908, divenne Capo di stato maggiore dell’Esercito.

  A che cosa era dovuta questa ostilità?

  Da parte di Cadorna, credo dipendesse dal fatto che Pollio era stato il prescelto nel 1908. Perché Cadorna era quello più vociferato come probabile Capo di stato maggiore dell’esercito, però fece uno scivolone a causa del suo carattere: quando era quasi certa la sua nomina, egli pose la questione  dell’effettivo comando supremo in caso di guerra (per lo statuto Albertino, il re era il capo effettivo). Tutti sanno che il carattere di Vittorio Emanuele III era un po’ difficile e ombroso, oltre che suscettibile. Ciò provocò un’alzata di sopracciglia da parte del re e quindi si ritenne di non dover dare la carica a Cadorna. Poiché Pollio era l’ufficiale più noto sul piano culturale (come critico e storico militare), fu lui il prescelto (sembra su forte suggerimento di Giolitti al re). Da qui, poi, il chiacchiericcio dietro le spalle che Giolitti avesse potuto avere una relazione con la moglie di Pollio.

  Parlando delle idee politiche di Pollio, scrive che egli era sostanzialmente un reazionario e manifestava ostilità verso i cosiddetti “immortali  principî” della rivoluzione francese…

  Dalla rivoluzione francese era scaturito quel parlamentarismo ottocentesco che Pollio vedeva come il fumo negli occhi: egli ammirava i sistemi che l’Impero guglielmino e l’Impero austro-ungarico mettevano in atto, quando vi erano dei grossi problemi di politica interna e di ordine pubblico. La situazione italiana, d’altra parte, non era migliorata con l’avvento di Giolitti e rimase sempre un po’ caotica fino allo scoppio della Grande Guerra. Anche perché c’era il pericolo che il partito socialista, soprattutto quello massimalista che si era infiltrato tra il personale delle ferrovie dello Stato, in caso di mobilitazione potesse bloccare con degli scioperi le ferrovie italiane e quindi impedire la mobilitazione stessa. Secondo Pollio, in Italia si dava troppo spazio a quello che chiamava il bla-bla parlamentare, che poi lasciava le cose come stavano senza risolverle. Egli aveva, invece, lo specchietto di tornasole del sistema di politica interna di Berlino e Vienna, dove si faceva ricorso al pugno duro. Su questo punto, la documentazione è abbastanza ampia. Certamente Pollio non era tanto anti-francese per ragioni di richiamo alla politica di Francesco Crispi (che egli ammirava molto più di Giolitti sia in politica interna sia in politica estera), bensì perché era ossessionato dal pericolo liberal-massonico (pur essendo massone). Conseguentemente guardava alla rivoluzione francese come alla fonte primigenia del liberalismo di alcuni Paesi europei, dove non si risolvevano i problemi, mentre in Austria-Ungheria e in Germania (con la vecchia politica di Bismarck) si era riusciti a sistemare le cose molto meglio che nelle democrazie parlamentari occidentali (con specifico riferimento all’Italia e alla Francia).

  Alla luce di questa visione politica sostanzialmente reazionaria e controrivoluzionaria, come si spiega l’affiliazione massonica di Pollio?

  Non ho trovato ovviamente nessun documento che comprovasse la sua adesione alla massoneria. Cadorna disse apertamente di non essere stato prescelto ufficialmente perché, in quanto cattolico praticante, la massoneria gli aveva messo i bastoni tra le ruote. Conseguentemente si pensa che Pollio fosse invece stato scelto perché massone.

  Quindi, non vi è  la certezza…

  No, non c’è. Infatti, nel libro, parlo in forma  dubitativa dell’adesione di Pollio alla massoneria. Invece, c’erano dei fior di massoni tra gli alti gradi dell’esercito: pensiamo a Capello, a Caviglia, futuro maresciallo d’Italia, che poi porterà a termine la repressione contro la reggenza del Carnaro di D’Annunzio a Fiume. Allora, negli alti gradi, era diffusa l’idea che la massoneria potesse di fatto appoggiare con più forza non solo il re ma anche il governo italiano in caso di grande crisi sia interna sia internazionale. Inoltre, la massoneria poteva avere un effetto chiarificatore e liberalizzante nei confronti dei cattolici italiani, una difesa contro l’interferenza del Cattolicesimo nella vita politica italiana. Non dimentichiamo che l’appeasement con i cattolici italiani ebbe luogo intorno al 1909-10 con il patto Gentiloni, che cercò di riportare i cattolici nell’ambito della vita politica del Paese (anche se poi questa fu un’operazione che non diede i frutti sperati). Capello e altri generali ravvisavano nella massoneria un mezzo per giungere a una completa liberalizzazione dell’Italia, che, secondo loro, anche dopo la presa di Porta Pia, non era riuscita a emanciparsi del tutto dalla presenza “ingombrante” della Santa Sede. Questo, a grandi linee, il motivo. La massoneria, in questo modo, aveva il suo lato molto negativo, perché controllava e quindi commissionava le nomine degli alti gradi soprattutto quando queste dovevano avvenire a scelta (cioè per meriti personali) e non per anzianità. Dunque, una volta tramontata la candidatura di Cadorna, non ci fu molto dibattito: si pensa che forse la massoneria possa aver favorito l’ascesa di Alberto Pollio a Capo di stato maggiore dell’Esercito.

  A pagina 76, parlando della moglie di Pollio, lei dice che tre aspetti avrebbero dovuto suggerire approfondite indagini da parte delle autorità italiane. Tra questi aspetti pone il fatto che Eleonora Gormasz era di origine ebraica.  Che cosa significa questo?

  Significa che, non tanto nella Germania guglielmina, quanto nell’Austria-Ungheria di Francesco Giuseppe, vi era una classe agiata, anche molto colta, israelitica, concentrata soprattutto nella capitale dell’Impero. Essa si era fatta le ossa e aveva progredito anche economicamente gestendo molti servizi sia civili sia militari (oggi chiameremmo “terziario” questi servizi, che erano utilizzati dalle autorità civili e militari e si indirizzavano come produttori di beni per le forze armate). A partire dagli ultimi trent’anni dell’Ottocento, Francesco Giuseppe, in segno di gratitudine, aveva nobilitato con il titolo di barone (in genere, non dava titoli nobiliari più alti di barone) alcune di queste famiglie (circa una cinquantina). Tra queste, vi era la famiglia di Eleonora: il padre, infatti, era il fornitore di certi beni per le forze armate austro-ungariche. Quindi, c’era un legame affettivo  tra queste grosse famiglie israelitiche e la duplice monarchia: un legame che si manterrà intatto fino all’avvento del Nazionalsocialismo in Germania ed ebbe una propaggine nell’ambito dello spionaggio e del controspionaggio. Questo avrebbe dovuto far riflettere al momento della concessione di quello che allora si chiamava l’assenso reale per i matrimoni dei nostri  ufficiali di carriera. Tale assenso reale, comunque, doveva aver luogo in tutti i casi di matrimonio.

  Lei sembra sostenere che la moglie di Pollio fosse una spia al servizio dell’Austria. Pollio, dunque, sarebbe stato vittima dei raggiri di Eleonora?

  Tanto vittima non credo, perché già questo incunearsi dello spionaggio austriaco nella famiglia di Pollio fu favorito da un terreno molto fertile: l’amore che Pollio, già tendenzialmente antidemocratico, nutriva per i sistemi autoritari (sia il tedesco sia l’austroungarico che, insieme con la Russia zarista, costituivano i tre regimi forti d’Europa, rimasti sostanzialmente intatti dal congresso di Vienna in poi). Quindi il terreno su cui arare era, per così dire, già concimato. Poi, non dimentichiamo che i due fratelli maschi di Eleonora Pollio (la quale aveva anche una sorella che, come emerge dalla documentazione che ho rinvenuto, fu implicata nello spionaggio anche dopo la Grande guerra) erano ufficiali della riserva dell’esercito austro-ungarico e - come spiego nel libro - a differenza di quanto avveniva nelle forze armate tedesche, dove gli ufficiali ebrei anche della riserva erano tenuti sotto stretta sorveglianza, nell’esercito austro-ungarico, soprattutto nella riserva, gli ufficiali di religione israelitica erano ben accetti ma ovviamente dovevano sempre provare con ripetuti incarichi la loro fedeltà all’imperatore.  Venivano costantemente messi alla prova sulla loro fedeltà. È più che probabile, quindi, che i due fratelli (dei quali uno si inserì abilmente nel menage familiare di Pollio anche dopo che questi fu obbligato a lasciare la sede di Vienna per rientrare e assumere un comando in Italia) con l’altra sorella si trasferirono all’interno della famiglia di Pollio e vi rimasero fino alla fine dei loro giorni. Tanto è vero che il fratello Alfredo è sepolto nella tomba di Pollio al Verano. Rimase con loro fino alla sua morte (avvenuta, mi pare, nel ’31); invece la sorella morì nel ’41.

  Il triplicismo di Pollio era dovuto più a motivi politici o geopolitici?

  Pollio era un russofobo: sebbene ammirasse l’autoritarismo dell’autocrate russo, sul piano geopolitico vedeva un pericolo nella Russia. Ciò è confermato dal fatto che, allorché andò a trovare l’addetto militare tedesco a Roma, gli propose addirittura che l’Italia non solo mandasse le truppe sul fronte del Reno in appoggio alle truppe tedesche (in virtù della convenzione italo-tedesca del 1888), ma ne inviasse anche in Austria in funzione anti-serba e addirittura in Galizia contro i russi. Questo era più che altro una visione politica e non geopolitica.

  A pagina 68, lei espone brevemente la tesi secondo cui la morte di Pollio sarebbe ascrivibile a un complotto indirizzato dall’alto …

  Quanto Salandra fosse coinvolto ovviamente non può essere da me provato con documenti. Ci sono però due lettere molto strane, sibilline, del generale Spingardi e del marchese di San Giuliano, ministro degli esteri, entrambe indirizzate a Giolitti, che danno molto da pensare. Nell’archivio privato di Salandra a Lucera, ho scoperto che, in quei giorni, Salandra era in contatto con persone d’infimo rango (si deduce dal modo di scrivere delle stesse, sgrammaticato e semianalfabeta). Non so quanto questo possa avere importanza: dunque nel libro non ne ho parlato. Gli storici, comunque, hanno alquanto ignorato il carattere di Salandra. Egli, al contrario di Giolitti, era un duro, un decisionista, uno che non amava perdere tempo in chiacchiere inutili e prediligeva i metodi spicci. In Italia, la situazione non era molto idilliaca dal punto di vista della trasparenza, della solarità della politica italiana: i complotti insomma andavano e venivano, tutti controllavano tutti, nessuno si fidava di nessun altro e quindi erano tutti in guardia. Apro una parentesi per dire che ho trovato un documento molto interessante (ne ho fatto una fotocopia), che tuttavia non ho citato perché non riguarda direttamente l’argomento del libro su Pollio…

  Che cosa emerge da questo documento?

  Che Mussolini, dopo Caporetto, stava finanziando l’assassinio di Vittorio Emanuele Orlando. È una questione che ci allontanerebbe dall’oggetto della nostra conversazione. Tornando all’archivio privato di Salandra, c’è una lettera anonima di alcuni ufficiali di grado medio-inferiore, dalla quale emerge una chiara allusione alla situazione catastrofica in cui versavano le forze armate; Pollio vi viene accusato di non aver mai partecipato a un’azione di guerra: nella carriera di Pollio, infatti, c’è il fatto singolare che egli non sentì mai fischiare una pallottola vicino alle sue orecchie. Dalla nomina a sottotenente, evitò qualsiasi impegno, come dicono gli inglesi, in active service, cioè nel servizio attivo. Mi pare che sia l’unico generale che non sperimentò mai la linea del fuoco, nemmeno quand’era giovane ufficiale subalterno. E questo è un fatto molto intrigante. Egli era uno studioso, un generale da tavolino. Diresse la guerra di Libia senza muoversi da Roma, non vi fece nemmeno un’ispezione. Credo che lui avesse anche paura della guerra,  paura di rimetterci: era molto innamorato di se stesso, del suo fisico, della sua prestanza. Suppongo che l’idea di poter perdere anche soltanto un dito di una mano in battaglia lo terrorizzasse. Questa naturalmente è una mia opinione, comprovata soltanto dal fatto che egli evitò fin da giovane accuratamente di essere mandato in prima linea.

  Gli esecutori materiali del presunto omicidio di Pollio, secondo la sua tesi esposta a pagina 168, potrebbero essere stati il medico Quadrone e Giriodi…

  Nell’ultimo capitolo, ho cercato di raggruppare, spero con successo, per argomenti o per proiezioni (come un faro che illumina diversi settori di un terreno) e di dimostrare che tra la morte di Pollio e le successive carriere dei personaggi principali legati a quell’evento drammatico sussistono delle grosse coincidenze. Senza dimenticare il tracollo che subì invece la carriera di mio nonno, che di fatto venne spinto nella tomba. Nel libro, ho pubblicato due fotografie senza accompagnarle da didascalie: nella prima, si vede mio nonno, un uomo florido, in buona salute ancorché già esaurito (siamo in piena guerra…), nel 1917 nei giardini del parco del comando supremo di Udine; la seconda lo ritrae esattamente 10 anni dopo. Si vede  il crollo che ebbe mio nonno. Non ho citato tutta la corrispondenza di mio nonno al Ministero della Guerra: vi si leggono delle cose che fanno accapponare la pelle. Un uomo, portato professionalmente in palmo di mano fino al 1914, riceve il primo colpo appena due settimane dopo la morte di Pollio: viene allontanato senza specificato motivo - ho pubblicato la fotocopia del documento - dal Comando dello Stato Maggiore. Quindi, incomincia tutta una serie di vessazioni. Mio nonno fu un po’ imprudente, perché pubblicò la relazione di cui parlavo all’inizio, sferrando un colpo di mano probabilmente per cercare di reagire. Secondo me, ha reagito in modo non prudente, non coprendosi. Un altro fatto che contribuì a porre un chiodo sulla sua bara professionale è che egli fu uno dei pochissimi (se non l’unico…)  generali italiani che appoggiarono apertis verbis l’impresa di D’Annunzio a Fiume. Questo contribuì a metterlo in cattiva luce. Ma probabilmente sapeva già che la sua carriera era compromessa e, quindi, in qualche occasione ha voluto togliersi dei sassolini dalla scarpa per lanciarli in piccionaia.

  Suo nonno era amico di D’Annunzio ed era anche un fervente cattolico…

  Non solo era cattolico, ma ultratradizionalista e quindi antimodernista. Appoggiò con entusiasmo la crociata antimodernista di Pio X. Era un cattolico praticante, ma praticante sul serio: si comunicava ogni settimana anche da giovane, andava regolarmente a Messa.

  Tornando alla morte di Pollio, lei sembra nutrire sospetti sulla Francia quale mandante dell’omicidio. Non pensa che anche l’Inghilterra potesse avere interesse a vedere morto il convinto triplicista Capo di stato maggiore dell’esercito italiano?

  La Gran Bretagna ignorò completamente sui suoi giornali il decesso di Pollio, differentemente da quanto fecero i giornali francesi, che comunque non diedero tanto spazio. Ma c’è un’altra cosa che vorrei mettere in chiaro, un altro sintomo molto strano.

  Quale?

  La coltre di silenzio che cade sul nome di Pollio a partire addirittura dalla sua morte, ancora prima dei funerali che avvengono tre giorni dopo il suo decesso, a Roma, il 4 luglio 1914. Non si parla più di Pollio nei documenti ufficiali, sembra che questa persona non sia mai esistita. Se ci ricordiamo i metodi che venivano messi in atto nell’Unione Sovietica nei confronti dei militari o dei funzionari silurati da Stalin (ma anche dai successori di Stalin), questi vengono utilizzati anche con Pollio. Non se ne sa più nulla. Viene solo citato nei documenti dell’ufficio affari riservati del Ministero degli Interni, quando c’è qualcosa che potrebbe riportare alla memoria il nome di Pollio. Lo si ricorda come deceduto, quando per esempio ci sono rapporti sull’attività della vedova o della sorella della vedova. Anche dove non ce ne sarebbe bisogno, si ricorda sempre la moglie o la cognata del “defunto generale Pollio”, anche in documenti del 1940-41. Ancora molti anni dopo il 1914, la vedova di Pollio era sotto controllo, e non credo solo perché israelita, ma perché evidentemente i nostri servizi di sicurezza sapevano che questa donna aveva il dente avvelenato contro tutto ciò che era italiano: ella faceva chiaramente risalire la morte di Pollio non a una causa naturale, ma a tutt’altro.

  Lei scrive che Pollio, in occasione del viaggio a Torino, probabilmente temeva di essere ucciso. Perciò, chiese a suo nonno di stargli vicino nello scompartimento del treno…

  Sulla base della relazione di mio nonno, che ho preferito inserire - all’interno del volume - senza cambiare nemmeno una virgola proprio per fornire ai lettori un termine di paragone esatto riguardo al capitolo successivo in cui interpreto la relazione stessa, non fu preso il vagone-letto, bensì uno scompartimento riservato e aperto. Dalla documentazione che ho trovato, si evince che Pollio aveva, tra gli altri, un grosso vizio: una tirchieria quasi patologica. Egli, per esempio, metteva in conto allo Stato persino le mance che dava ai camerieri, ai facchini, ai cocchieri delle carrozze di piazza di cui si serviva. Ciò dimostra che il vagone letto non fu preso non già per risparmiare spese allo Stato, bensì perché egli si sentiva più sicuro in uno scompartimento riservato ma aperto. Però poi chiese a mio nonno di trasferirsi con i suoi bagagli nel suo scompartimento riservato. Fatto che creò un po’ di imbarazzo a mio nonno – come si capisce dalla relazione -, perché lui era entrato nella segreteria personale di Pollio appena nel 1912-13. Quindi non aveva proprio una grande dimestichezza con il personaggio. Poi, c’è la scena della colazione all’albergo di San Maurizio dopo le prove di tiro al poligono di Ciriè; quindi, il famoso telegramma che mio nonno mise in cifra ma di cui si è persa ogni traccia. D’altra parte, tutti i fascicoli sia civili sia militari sono stati ampiamente scremati.

  L’episodio del viaggio in treno andrebbe collegato alla successiva assegnazione a Pollio e a suo nonno di due stanze nell’albergo Turin Palace su due piani diversi…

  Ecco, magari che fossero un po’ lontane e non proprio accostate, ma almeno sullo stesso piano! Invece, lo mandarono al piano di sopra. Un fatto molto singolare.

  Singolare anche la figura del Tenente Giriodi...

  Giriodi, che era ufficiale d’ordinanza, non si trovava mai vicino a Pollio. Il suo nome non figurava nell’organico dell’entourage di Pollio (questo è rilevabile dall’annuario, per esempio). Viene citato quel capitano Eugenio Ricci, che era il suo factotum e non certo il suo ufficiale d’ordinanza: l’ufficiale d’ordinanza avrebbe dovuto apparire nell’annuario. Poi un’altra cosa altrettanto significativa è che Giriodi era ancora tenente a trentadue anni: evidentemente se fosse stato promosso, quando doveva essere promosso per anzianità, a capitano, non avrebbe potuto fungere da “angelo custode” di Pollio.

  In una nota a pagina 209, lei accenna alle numerose lettere inviate a Giolitti per protestare contro l’abbandono della Triplice…

  Questo è un capitolo interessantissimo. Anche se non le riporto nel testo, ne ho fatto delle fotocopie. Sono lettere veramente significative del fatto che, nel 1914, l’abbandono dell’alleanza e la dichiarazione di neutralità dell’Italia del 2 agosto ‘14 incontrarono molta ostilità soprattutto nelle classi medio-alte.

  E tra gli uomini politici?

  C’è la lettera di Nathan, ex sindaco di Roma, fra l’altro di origine anglosassone, israelita…

  E massone…

  Una lettera violentissima contro Salandra per l’abbandono dell’alleanza. Poi, ce ne sono anche molte altre anche di militari di carriera, sacerdoti, etc..

  Quindi, il triplicismo di Pollio non era poi così isolato…

  Esattamente. Questo spiega la fretta di risolvere nel modo più spiccio il “caso Pollio”. Proprio perché probabilmente Salandra aveva il polso di una situazione che non era assolutamente favorevole all’abbandono della vecchia alleanza con gli Imperi Centrali.

  Un fatto curioso è che, negli anni Sessanta, c’è stato chi ha inteso dedicare un istituto di studi strategici alla figura di Pollio. Lei ne parla in maniera molto breve…

  Sì.

  Si trattò di una “riabilitazione” di Pollio?

  Questo non lo so. A suo tempo, ebbi modo di conoscere molto bene Pino Rauti anche per una certa affinità ideologica che non era certo quella del vecchio MSI, l’MSI  ufficiale di una volta. Tendevo a una maggiore intellettualizzazione della nostra destra, mentre il vecchio MSI era tutto fuorché un coacervo di intellettuali. Sapendo che Rauti non sta bene da tempo, non me la sono sentita di telefonargli e di chiedergli il motivo per cui, all’inizio degli anni ’60, intestò a Pollio quel centro di studi strategici.

  Rauti è l’unico a poter rispondere a questa domanda?

  Sì, perché fu lui che volle la famosa riunione all’Hotel Parco dei Principi, a Roma, in cui, secondo le malelingue, fu decisa per grosse linee la cosiddetta “strategia della tensione”. Di fatto era un organismo parapolitico volto a influire sulla politica interna dell’Italia di quegli anni. Questo spiega perché Rauti venne, anche se per breve tempo, arrestato e messo sotto giudizio per via di alcuni attentati. Però, in seguito, ne uscì assolto ovviamente.

  Sarebbe interessante capire perché negli anni Sessanta ci fu chi pensò a Pollio e rispolverò il suo nome…

  Si possono fare solo delle congetture. La mia è che, non avendo un nome a cui intestare qualcosa di “anomalo”, avessero pensato a lui come a una figura di generale reazionario di cui nessuno si ricordava. Pollio, d’altro canto, era assolutamente favorevole all’uso della forza (armata) in qualsiasi problema di piazza, di ordine pubblico.

  Addirittura lei scrive che prese parte alla sanguinosa repressione dei tumulti milanesi ordinata da Bava Beccaris…

  Lo deduco dal fatto che egli comandava il 40° Fanteria che era stazionato a Milano proprio nel 1898. Quindi, senz’altro Pollio fu utilizzato, anche se su questo non ho trovato alcuna documentazione. Ribadisco, però, che la cosa più eclatante della mia indagine è la scoperta della scrematura fatta in modo abbastanza sfacciato: dal fascicolo personale di Pollio hanno levato tutta la documentazione relativa alla sua missione a Vienna. C’è solo qualche documento attinente alla sua richiesta di permesso di matrimonio con quella baronessina ebrea di Vienna. A parte questo, le ultime note caratteristiche si riferiscono al grado di Capitano e dopo non c’è più nulla, tranne un documento d’idoneità al comando di una brigata. La “scrematura” ha superato ogni limite di decenza.

  In una nota a pagina 209, lei accenna all’assassinio dei fratelli Rosselli…

  Sì, questo è un argomento molto interessante. Ho citato il libro di Franco Scalzo, Due navi , il re, il papa e i fratelli Rosselli. Le voci che gli assassini dei fratelli Rosselli non fossero uomini dell’Ovra fascista, bensì legati a Casa Savoia le avevo già intese in passato. Come, d’altra parte, anche l’assassinio di Matteotti: ci sono forti sospetti che Dumini, in realtà, non avesse agito come fascista che voleva togliere un oppositore scomodo dai piedi di Mussolini, ma fosse invece manovrato dalla Casa reale in quanto erano state scoperte delle fonti petrolifere in Libia. Matteotti era un grande maneggione, non era certamente un santo: quand’era sindaco di Fratta Polesine, compì un’azione vergognosa chiudendo le porte del paese ai profughi civili di Caporetto, a tutta la gente che si stava muovendo per sfuggire all’occupazione austriaca e premeva sul Veneto. Questo è un fatto che gli storici non citano. Non dimentichiamo che Mussolini disse che, se qualcuno avesse voluto fargli il più grande dispetto di questo mondo, avrebbe dovuto gettargli il cadavere di Matteotti tra i piedi. Quindi, anche per i fratelli Rosselli, ci sono diversi punti da chiarire, non ultimo il fatto che Aimone d’Aosta, padre dell’attuale duca d’Aosta, si trovava a Bagnoles de l’Orne proprio in quei giorni.

  Franco Bandini, nel libro Il cono d’ombra, parla di una matrice sovietica dietro l’omicidio dei fratelli Rosselli…

  È risaputo che Stalin ce l’avesse a morte con tutto ciò che poteva sembrare  trotzkista: i fratelli Rosselli erano dei “liberali”. Contemporaneamente avveniva l’eliminazione del Poum a Barcellona da parte del partito comunista spagnolo su ordine di Stalin, di cui Palmiro Togliatti in Spagna fu il più feroce manutengolo. Togliatti contribuì attivamente alla repressione delle correnti che Stalin  considerava deviazioniste sul piano repubblicano della guerra civile spagnola. Questa gente, nell’ultimo anno di guerra, si ammazzò a vicenda anziché combattere più efficacemente contro le truppe franchiste. Quindi, la tesi di Bandini potrebbe essere fondata. Secondo Scalzo, i fratelli Rosselli, istigati dal conte Sforza a Parigi e da Pietro Nenni, si stavano attivando per scoprire che cosa c’era veramente nei documenti trafugati dal consolato austro-ungarico di Zurigo nel famoso colpo del Carnevale del 1916. Tali documenti comproverebbero rapporti tra gli alti gradi delle nostre forze armate e i nemici austro-tedeschi. C’è poi quella strana figura del capo della delegazione italiana alla Società delle nazioni, il barone Aloisi, il quale, da ufficiale della marina, partecipò al colpo del consolato austro-ungarico di Zurigo, prelevando non solo gioielli e soldi, ma anche documenti comprovanti, fra l’altro, che le alte sfere militari citate erano riconducibili all’ammiraglio Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi, cioè il comandante effettivo della nostra squadra navale. Tutto, comunque, è avvolto dal mistero.

  Non ha mai pensato di rendere omaggio alla figura di suo nonno, Vincenzo Traniello, dedicandogli una biografia?

  No, perché – come dicevo all’inizio - mi manca l’archivio personale. Senza quelle carte non riuscirei. Anche i documenti relativi al suo fascicolo personale sono stati  un po’ scremati: per avere il fascicolo di mio nonno non ho dovuto aspettare tanto tempo come per quello di Pollio, ma anche in questo caso me l’hanno fatto avere con il contagocce, mi controllavano qualsiasi fotocopia che chiedevo del fascicolo. Quindi, a parte questo, non possiedo documenti veramente personali che possano essere utili per imbastire una biografia. Vorrei aggiungere un’altra cosa che ho evitato di scrivere nel libro.

  Quale?

  La fecero pagare anche al figlio di Vincenzo Traniello, mio zio Ottaviano, che fu comandante della Divisione Re nei giorni della difesa di Roma, dopo l’8 settembre ‘43. La Divisione Re, insieme con la Divisione Piave del generale Tabellini e la Divisione Granatieri di Sardegna comandata dal generale Gioacchino Solinas, furono le uniche tre formazioni che di fatto contrastarono i tedeschi allorché questi cercarono di entrare a Roma. Molti di quegli ufficiali, che combatterono eroicamente anche a Porta San Paolo contro i tedeschi, in seguito aderirono alla Repubblica Sociale Italiana: questo, nelle commemorazioni dell’8 settembre, nessuno lo dice. Fatto ancora più eclatante è che il generale Solinas, che aveva sotto il suo comando anche i granatieri che si batterono a Porta San Paolo (e non solo…), aderì alla RSI. Questo è totalmente ignorato (e pour cause, come direbbero i francesi) nelle commemorazioni ufficiali della “resistenza con le stellette”. Paolo Monelli parla di mio zio nel libro Roma 1943. Si parla di lui pure nell’ottimo L’Italia di Badoglio di Roberto Ciuni. Anche Ciuni, pur scrivendo Trainello anziché Traniello, racconta quello che fece mio zio con la sua divisione. In uno dei rarissimi documenti cinematografici della RSI, si nota un generale basso (per essere un comandante dei granatieri…), un po’ grassottello, che fa il giuramento con il saluto romano: questi è Solinas, che poi firma il documento di adesione alla RSI. Nessuno parla, inoltre, dei tanti monarchici che aderirono alla Repubblica Sociale: non ci fu soltanto Solinas; Valerio Borghese, per esempio, quando diede la sua adesione alla Repubblica, disse che era e rimaneva monarchico; e con lui tanti altri, come il Marchese Grottanelli di Castro, che disse di aderire, benché fosse antifascista, perché non sopportava il tradimento; e ancora tanti altri, di cui Giorgio Bocca ha avuto l’onestà di parlare nel famoso libro La repubblica di Mussolini uscito nel ’77. Naturalmente costoro erano monarchici che non digerivano Badoglio, anti-badogliani insomma.

  Diceva che anche a suo zio la fecero pagare…

Sì. Egli partecipò alla riunione del teatro Adriano di Roma, dove parlò Graziani invitando gli ufficiali sbandati ad aderire alla Repubblica Sociale. Mio zio, che era molto amico di Graziani, non gradiva troppo il regime di Mussolini e non se la sentì di aderire. Allora, su invito di Graziani, lasciò Roma (mio zio era scapolo e non aveva problemi di famiglia) e si trasferì a Firenze, dove venne ricoverato in un ospedale militare per una malattia “diplomatica”. Sbagliò ad accettare il  suggerimento di Graziani. Dopo la liberazione, infatti, venne processato e radiato dall’esercito con l’accusa – sostenuta dal grande inquisitore comunista, il senatore Palermo - di aver implicitamente aderito alla RSI per essersi trasferito a Firenze. Mio zio fece ricorso al Consiglio di Stato (allora non esistevano i TAR) e riuscì a far sostituire la messa in congedo assoluto con la messa nella riserva. Sono, però, convinto che il suo cognome gli giocò contro proprio in ricordo di suo padre: gliela fecero pagare, insomma, anche ricordando il ruolo avuto da suo padre nella vicenda Pollio. Questa è una mia convinzione: non ho i documenti per comprovarla. Mio zio era molto quotato: promosso generale di brigata a 43 anni, aveva davanti a sé una carriera brillante. Era un tecnico (secondo la tradizione dei Traniello nelle forze armate: sono sempre stati in armi tecniche, cioè genio o artiglieria) molto quotato. Di fatto lo hanno voluto buggerare. Ebbe contro il generale Ettore Musco, che da colonnello era stato Capo di stato maggiore della Divisone Re, parente del famoso questore di Roma Musco (una famiglia di massoni..). Il colonnello Musco, che in seguito farà una carriera brillante, nei primi anni della Repubblica diventerà comandante del Terzo corpo d’armata di Milano: la sua azione contro mio zio gli pagò dei dividendi. Egli, infatti, riferì alla commissione di inchiesta che la sera dell’8 settembre, dopo l’annuncio di Badoglio alla radio, mio zio, con cui si trovava insieme al comando della Divisione a Osteria del Grillo, si sarebbe lasciato sfuggire che vi erano altri modi più dignitosi per uscire dalla guerra. Questa fu la testimonianza che buggerò mio zio. Per questo sono convinto che il nome di suo padre contribuì a tagliare le gambe anche a lui.

11 aprile 2010

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