Il Front National da Jean-Marie a Marine Le Pen. Intervista con Nicola Genga Stampa E-mail

Il Front National da Jean-Marie a Marine Le Pen

Intervista con Nicola Genga


a cura di Francesco Algisi

 

genga front  Nicola Genga collabora con il Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale della "Sapienza" di Roma e il "CRS-Centro per la Riforma dello Stato". Ha svolto attività di ricerca nell'università "Paris- Est Créteil". Tra le sue pubblicazioni: "Le parole dell'Eliseo. I discorsi dei presidenti francesi da Giscard d'Estaing a Sarkozy" (Roma, 2012) e, curato con F. Marchianò, "Miti e realtà della Seconda Repubblica" (Roma, 2012). Ha dato alle stampe recentemente il volume "Il Front National da Jean-Marie a Marine Le Pen. La destra nazional-populista in Francia" (Rubbettino), che è al centro dell'intervista seguente.

  Prof. Genga, perché per la presidenza del FN "nel dicembre '71 la scelta cade su Le Pen" (pag.18)?

  Nel campo della destra estrema quello di Jean-Marie Le Pen era un nome dal sapore ecumenico. Sintetizzava diverse tradizioni del nazionalismo francese: poujadismo anti-statalista, tixierismo-pétainismo, conservatorismo rurale del Cnip (Centre National des Indépendants et Paysans), un anti-gollismo impregnato di indignazione per l'avvenuta decolonizzazione, che esprime il retaggio dell'Oas (Organisation de l'armée secrète). Le Pen era stato deputato poujadista, direttore di campagna per Tixier-Vignancour, paracadutista in Indocina e Algeria. In più era visto come personaggio più moderato e legalista rispetto ad altri esponenti, più movimentisti, di Ordre nouveau.

  Sul piano ideologico, esiste qualche affinità tra il FN e il sovranismo di sinistra di Jean-Pièrre Chevènement (cfr. pag.26), alla luce del fatto che recentemente – come si legge a pag.176 - alcuni ex collaboratori di Chevènement sono entrati nel movimento lepenista?

  Vi è un'enfasi comune sulla riscoperta della sovranità in antitesi a progetti di costruzione europea che possono condurre verso il superamento dello Stato nazione. Ma più che dimostrare una convergenza del partito di Le Pen su un giacobinismo chevenementista "di sinistra", l'arrivo di Philippot e altri al FN può essere considerato la cartina di tornasole della vocazione tutto sommato conservatrice del movimento di Chevènement.

  Il "calo di oltre cinque punti percentuali subito dal FN alle [...] elezioni legislative" (pag.26) seguite alle presidenziali del 2002 può essere stato dettato dalla delusione per l'esito del ballottaggio (presidenziale)?

  Certamente sì, ma non è una tendenza che investe solo il FN, né un fenomeno visto solo in quella congiuntura. Il tutto si inscrive in una logica sistemica. L'effetto di trascinamento delle presidenziali sulle successive legislative comporta una smobilitazione quasi fisiologica negli elettorati vicini ai candidati usciti sconfitti dalla contesa per l'Eliseo.

  I fondatori del FN si ispirarono all'esperienza del Movimento Sociale Italiano, come sembra dedursi dalle pagg.17 e 19?

  Indubbiamente. I rapporti tra le due realtà sono evidenti e riconosciuti. Il riferimento al modello italiano è esplicito, sia sul piano dei contenuti politico-culturali che su quelli iconici, più esteriori ma non meno importanti. Non è un caso se il FN ha adottato come simbolo una fiamma tricolore identica per tratti grafici a quella dell'MSI-DN, con l'unica differenza del blu al posto del verde.

  Come si spiega la crescente "visibilità offerta dai media a Le Pen" (pag.29) dal 1982 in poi?

  Si possono individuare ragioni soggettive e oggettive di questo improvviso presenzialismo televisivo. Il soggetto Le Pen si prestava, per la sua innegabile abilità oratoria, ad animare le trasmissioni televisive. In più, già prima delle Europee dell'84 il FN aveva realizzato risultati elettorali positivi a livello locale, isolati ed eccezionali, ma in quanto tali notiziabili secondo la logica dell'"uomo che morde il cane". Nel comune di Dreux si era realizzata un'alleanza con la destra neogollista-liberale, un fatto facilmente drammatizzabile e traslabile in una narrazione nazionale. Inoltre, il contesto favoriva la costruzione del personaggio mediatico di Le Pen. Da una parte, l'agenda pubblica si era orientata sul nesso immigrazione-insicurezza-disoccupazione perché gli indicatori macro-economici e quelli socio-demografici favorivano l'adozione di una chiave di lettura securitaria, sia in chi aveva interesse a fare opposizione ai governi socialisti e social-comunisti, sia in chi aveva l'esigenza di tenere alta l'attenzione su temi caldi, in grado di catalizzare l'audience.

  Come va interpretato l'"atteggiamento di generale apertura" verso il FN (pag.45) mostrato da Mitterrand nella prima metà degli anni '80?

  François Mitterrand era erroneamente convinto che l'ingresso del FN nel sistema politico potesse danneggiare la destra repubblicana, erodendone il sostegno elettorale e mettendone in evidenza le contraddizioni. In quest'ottica si spiegano sia l'adozione del proporzionale per le legislative dell'86 sia, prima ancora, la richiesta del presidente della Repubblica di rimuovere l'embargo della tv pubblica nei confronti del partito lepenista.

  Il "sistema di voto majority a doppio turno in vigore in Francia" (pag.67) potrebbe essere stato introdotto al fine di rendere irrilevante la "presenza numerica del FN all'Assemblea nazionale"?

  No, in realtà quel sistema era già in vigore dal 1958, e lo è rimasto per tutta la Quinta repubblica, con la parentesi dell'86-'88. Ciò non toglie che la legge elettorale sia stata spesso usata in Francia (come altrove) a mo' di strumento di lotta politica. Non a caso dal 1870 a oggi è stata modificata addirittura dodici volte. Più che altro si è parlato di "effetto mazzata" sul Pcf, vera vittima dell'uninominale a doppio turno. Di certo la mancata modifica della legge dagli anni '80 in poi non ha aiutato Le Pen a trovare una rappresentanza corrispondente ai suoi consensi. Ma questo accade in tutto le democrazie che adottano sistemi di voto non proporzionali.

  Nel discorso del 21 aprile 2002, dopo il primo turno delle presidenziali, Le Pen ebbe a definirsi "socialmente di sinistra, economicamente di destra" (pag.93). Come va intesa questa definizione?

  "Economicamente a destra" per la credenza in un ordine naturale fondato sulle diseguaglianze che giustifica l'esistenza di un sistema di produzione capitalistico. Quindi liberista, diremmo in Italia. "Socialmente di sinistra" nel senso di favorevole a misure che allevino i disagi delle fasce popolari, ossia dei francesi in difficoltà. Quindi sociale, in chiave nazionale.

  Le Pen propose "l'annullamento delle naturalizzazioni fatte dal 1974 in poi" (pag.94). Qual è la ragione dell'indicazione di tale anno?

  Il 1974 è un anno spartiacque nella storia dei flussi migratori in Francia. Con l'elezione all'Eliseo di Giscard d'Estaing viene decretata l'interruzione dei flussi di nuova immigrazione, alla luce della recessione incipiente dovuta allo choc petrolifero. Al tempo stesso vengono consentiti i ricongiungimenti familiari (salvo una parentesi che dura fino al 1975) e incoraggiato l'inserimento dei cittadini stranieri che sono già sul suolo francese, anche attraverso le naturalizzazioni. La chiusura delle frontiere, in ogni caso, dura fino al 1977.

  Come si concilia il "capitalismo popolare che informa la visione socio-economica del FN prima dell'82 e dopo il '93" con il "nazionalismo liberale" promosso "nel 1982 con il VI congresso frontista" (pag.95)?

  Le due concezioni possono sembrare stridenti e incompatibili, ma si sa che la politica rientra più nella dimensione della retorica che in quella della logica. In ogni caso, il FN come gli altri partiti ha attraversato diverse fasi storiche, caratterizzate da vari sconvolgimenti negli assetti geopolitici e da rilevanti mutamenti nei rapporti di forza tra i paradigmi economici dominanti. La fine dei Trenta gloriosi a metà degli anni '70, il tornante neo-liberale a cavallo con gli anni '80, il crollo del socialismo reale tra gli '80 e i '90. Mentre il mondo attorno cambiava e le priorità strategiche degli attori politici venivano modificandosi, il discorso di Le Pen e dei suoi si rimodulava. Negli anni '80, con socialisti e comunisti al governo, essere contro significava sposare il modello neoliberale-neoliberista. Ovviamente, trattandosi di un partito di opposizione, perlopiù extraparlamentare, la tendenza alla contraddizione del FN non trovava argine nella prova empirica del governo, secondo la tendenza che ho chiamato "incoerenza dell'irresponsabilità".

  Jean-Marie Le Pen "non nasconde la sua ammirazione per Franco, Salazar, Pinochet" (pag.107). Questo è sufficiente per dimostrare il "costante" "riferimento di fondo ai modelli fascisti" da parte del FN?

  Questa "ammirazione" da sola e in sé non è un dato politico-culturale. Ma se accostata alle matrici ideologiche del dibattito che porta alla fondazione del FN, alla bibliografia consigliata ai militanti (Bardèche, Freund, Schmitt), ai richiami agli slogan del prefascismo francese (Barrès, Drumont, Maurras) o a diverse prese di posizione pubbliche, e dunque politicamente rilevanti, assunte nel corso dei decenni dagli esponenti del FN, questa simpatia per i modelli autoritari citati acquista senz'altro un surplus di significato.

  Nella "visione frontista dei rapporti di alterità" (pag.113), che "lega l'idea di altruismo al concetto di prossimità, innanzitutto genetica", sono presenti espliciti riferimenti alle tesi di Edward O. Wilson, come si legge nella nota 129...

  Si tratta di un biologo, il teorico della biodiversità. Vi è, nel discorso frontista, il tentativo di recuperare la lezione "differenzialista" della cosiddetta Nouvelle droite, ossia l'enfasi sulla differenza, sulla distinzione tra diversi, vista secondo i paradigmi delle scienze naturali. In una chiave di lettura che fa prevalere la natura sulla cultura, ciò che è diverso perché lontano deve restare lontano, come natura lo ha creato e distinto. Questo ragionamento è la matrice delle affermazioni sull'ineguaglianza e la necessità di discriminare, nel senso etimologico di distinguere e separare.

  Quanto era influente nel FN di Jean-Marie Le Pen "la corrente catho-tradi" (pag.115), cattolico-tradizionalista, rappresentata da Bernard Antony, Jacques Bompard e Bruno Gollnisch?

  Dopo l'uscita di Bruno Mégret nel '99 e la fondazione del MNR le correnti neopagane e liberali hanno perso peso nel FN. Bompard aveva il suo punto di forza nel feudo municipale di Orange, uno dei pochi comuni amministrati dal partito lepenista; Antony, devoto a Santa Madre Chiesa al punto di usare lo pseudonimo di Romain Marie, rappresentava il collegamento con gli ambienti tradizionalisti-solidaristi del quotidiano Présent, che aveva contribuito a fondare, ed è sempre stato una voce ascoltata nel partito; Bruno Gollnisch è stato a lungo il numero due del FN, come delegato generale, segretario generale e vicepresidente. Lo stesso può dirsi di Carl Lang, che ha lasciato il FN nel 2009 dopo aver ricoperto le medesime cariche. Con l'ascesa di Marine Le Pen, questa corrente ha smarrito la propria centralità.

  È fondata l'accusa mossa dai "nazionalisti rivoluzionari" nei confronti del FN, per i quali sarebbe "troppo repubblicano e legalitario" (pag.141)?

  Questo giudizio riguarda semplicemente la scelta del FN di "compromettersi" con il sistema attraverso la partecipazione al processo elettorale democratico e la relativa rinuncia dello stesso partito a contestare, anche violentemente, i presupposti valoriali su cui si fonda l'ordine repubblicano.

  Lei scrive che Marine Le Pen ha definito "i campi nazisti «il culmine della barbarie»" (pag.174). Questo non ricorda la dichiarazione di Gianfranco Fini sul "male assoluto"?

  Certamente. Il riposizionamento della Le Pen sul tema della Shoah "culmine della barbarie (summum de la barbarie)" presenta analogie con quello intrapreso di Fini. Ciò non implica tuttavia che le due figure siano sovrapponibili.

  A pag.176 si legge che "il nuovo corso marinista" prevede, tra l'altro, "l'avvicinamento, non privo di difficoltà, a Israele". Come si concilia questo con l'"antisionismo" che lei ravvisa tra gli elementi del "nuovo compromesso nazional-populista" (pag.186), insieme con "il sovranismo integrale, l'apprezzamento per la geopolitica di Putin, [...] la critica del multiculturalismo come causa del declino dell'Occidente"?

  Vi è una distinzione, più o meno speciosa, ma non per questo meno ricorrente nel discorso politico, tra "antisionismo" e "antisemitismo", intendendo quest'ultimo termine in senso stretto come "antigiudaismo". Cercare di scrollarsi di dosso la nomea di partito antisemita, sia grazie a una correzione di rotta sui giudizi riguardanti la storia dell'Europa, sia attraverso la normalizzazione delle relazioni con lo Stato di Israele (da leggere anche in funzione anti-islamica), non implica per il FN alcuna ipoteca sulla propria visione geopolitica. In altre parole, la ricerca di un riconoscimento da parte di Israele prescinde dalle eventuali critiche che a questo Stato si possono muovere in materia di politica interna o estera e, al tempo stesso, non impedisce alla Le Pen di coltivare un legame, più o meno interessato, con la leadership di Putin, il quale invece intrattiene relazioni con forze avverse a Israele nella regione medio-orientale. D'altronde in ogni partito ci sono sfumature diverse sui temi geopolitici, che peraltro non sono mai il cuore del dibattito dei partiti contemporanei e spesso vengono usati strumentalmente e con scarsa coerenza e sistematicità.

  Nella nota 102 di pag.176, si legge che "Nell'ottobre 2006 Marine Le Pen è dichiarata «persona non grata» in Israele". Oggi, dopo quasi dieci anni, la situazione è cambiata?

  Non c'è stato ancora un disgelo diplomatico tra Israele il FN. In compenso, il presidente della Crif (Conseil représentatif des institutions juives de France), Roger Cukierman ha di recente espresso opinioni positive sul nuovo presidente del FN, facendo intendere che il maggiore ostacolo verso una pacificazione tra il mondo ebraico e il partito lepenista è il "patriarca" Jean-Marie, con i suoi dérapages sulle camere a gas come dettaglio della storia e i giochi di parole sui forni crematori.

  Come interpreta l'elevato numero di consensi che il FN riscuote tra "gli elettori al di sotto dei 35 anni (30 per cento)" (pag.190)?

  Se si volesse dare una spiegazione almeno attendibile di questo dato sarebbe necessaria una approfondita ricerca campionaria dedicata a questo specifico tema. In più bisogna considerare che la mobilitazione tipica di questo genere di elezioni, dette di "second'ordine", amplifica i risultati dei partiti estremi in tutte le categorie socio-demografiche. Infine, si può dire che i partiti radicali e alternativi alle forze di sistema tendono spesso a incontrare i favori delle giovani generazioni.

  Come valuta il "43 per cento del voto operaio" (pag.190) ottenuto dal movimento nazional-frontista, "mentre i socialisti si sono attestati su una percentuale dell'8"?

  Come sopra per ciò che riguarda la prima e la seconda considerazione. Si può aggiungere che il FN beneficia dello sfilacciamento della socializzazione politica e sindacale svolta in passato dai partiti comunisti e socialisti negli ambienti operai e popolari in genere. In una fase di perdurante crisi economica e di profonda delegittimazione delle istituzioni democratiche il partito lepenista ha buon gioco a riempire questo vuoto assumendo il ruolo di "tribuno della plebe", la celebre funzione tribunizia di cui parlava Lavau a proposito del Pcf. Questo non significa automaticamente che le proposte del FN siano diventate automaticamente di sinistra, sociali e vicine agli ultimi, gli "invisibili" cui a volte Marine Le Pen fa appello.

  Come si poneva il FN di Jean-Marie Le Pen nei confronti degli Stati Uniti? E oggi, con Marine alla guida?

  Jean-Marie Le Pen negli anni '80 ha subito la fascinazione degli Usa di Reagan, dal quale ha mutuato alcuni stilemi di comunicazione politica e del quale non disprezzava l'approccio neo-liberista. Certamente, in generale i nazionalisti europei, inclusi quelli francesi, hanno sempre avuto un atteggiamento respingente nei confronti dell'americanismo, dal punto di vista culturale come geopolitico. A questo proposito si ricorda spesso la visita del 1990 di Le Pen e Fini a Saddam Hussein. Oggi, gli Stati Uniti possono essere considerati un avamposto del mondialismo ultra-liberale al quale il FN di Marine Le Pen si contrappone.

  Lo scrittore Michel Houellebecq ha affermato che il "Front National ha un peso nella società che non corrisponde affatto alla sua rappresentanza parlamentare. Mi domando fino a che punto una situazione simile sia sostenibile, con questa astensione poi. C'è un sistema che dovrebbe essere democratico e che non funziona più" (cfr. Corriere della sera, 14 gennaio 2015)...

  Che il sistema rappresentativo zoppichi, in Francia come in altre democrazie occidentali, non ultima l'Italia, è evidente. Di solito, alti livelli di astensione ci dicono che la democrazia rappresentativa è meno democratica, perché espressione di una porzione più ridotta di popolo, e meno rappresentativa, sempre che non si voglia intendere questa parola solo nel senso di "delegata". Quanto a Houellebecq, non so quali conseguenze voglia trarre dalla sua analisi del quadro elettorale francese. In Soumission lo scrittore francese delinea uno scenario distopico più che realistico, scrivendo pagine tanto godibili letterariamente quanto fantasiose politicamente, visto il margine temporale molto ristretto in cui dovrebbe realizzarsi l'ascesa dell'Islam politico da lui immaginata. Ecco, nel 2022 di Houellebecq l'unico baluardo della "francesità" di fronte all'incombente califfato è il Front national. Il corollario è che per arginare l'islamizzazione della società francese bisogna modificare il sistema elettorale in senso proporzionale, per venire incontro al partito dei Le Pen? Può darsi che intenda questo. In ogni caso non credo che i neogollisti e i socialisti abbiano così tanta voglia di suicidarsi.

27 aprile 2015

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