Squadrismo e squadristi nella dittatura fascista. Intervista con Matteo Millan Stampa E-mail

Squadrismo e squadristi nella dittatura fascista

Intervista con Matteo Millan

a cura di Francesco Algisi

 

millan squadrismo  Matteo Millan è assegnista di ricerca all'Università di Padova e ha ottenuto una borsa di studio Marie Curie dalla Gerda Henkel Foundation. Ha studiato la rete informativa della Resistenza italiana ("Guerra di servizi", Padova, 2009) e attualmente sta conducendo una ricerca comparativa sulle forme organizzate di violenza politica in Italia, Francia e Spagna nel quindicennio che precede la prima guerra mondiale. Ha recentemente pubblicato il volume "Squadrismo e squadristi nella dittatura fascista" (Viella, pagg.308, € 26,00), oggetto della seguente intervista.

  Dottor Millan, a che cosa si riferisce quando scrive della "pericolosità intrinseca" nel concetto di "rivoluzione fascista" (pag.20) di cui sarebbe stato consapevole Mussolini?

  Il concetto di rivoluzione fascista è ambiguo, ed è stato utilizzato in modo ambiguo dai fascisti stessi. Da un lato, veniva esaltata la profonda diversità politica, sociale, quasi antropologica del fascismo e dei fascisti rispetto ai governi e ai politici dell'Italia liberale. Dall'altro lato, però, l'assunzione del governo da parte di Mussolini era stata vista e auspicata come la miglior soluzione per far terminare le violenze e ripristinare l'ordine. Portare alle estreme conseguenze la rivoluzione, come chiedevano molti squadristi, sarebbe stato un azzardo non indifferente. In realtà, come il libro cerca di dimostrare, Mussolini e il fascismo non sono affatto disposti a disarmare il loro braccio armato.

  Qual è il ruolo giocato dall'ideologia fascista nella pratica della violenza squadrista (cfr. nota 81 di pag.42)?

  Credo sia errato considerare ideologia e pratiche come due sfere separate; sono piuttosto due facce della stessa medaglia, e si influenzano a vicenda. Sicuramente la violenza, e la sua messa in atto, sono una componente fondamentale del modo di pensare e di agire dei fascisti e un elemento centrale della loro identità.

  A che cosa andava ricondotta l'"incapacità" mostrata dal governo fascista e dal Pnf nel tenere sotto controllo "l'azione in apparenza anarcoide" dello squadrismo (pag.43)?

  L'azione dello squadrismo ha un chiaro e definito obiettivo politico di grande respiro: è funzionale a stabilire l'ordine fascista, debellare le ultime opposizioni, imporre una fascistizzazione violenta del paese, e delle coscienze, dimostrare che ormai nessuna alternativa politica è possibile. Al tempo stesso, delegare questo compito allo squadrismo permette al governo e al Pnf di prendere le distanze dallo squadrismo in caso di imbarazzi politici, e mantenere nel contempo una facciata rispettabile nei confronti dei partiti che appoggiano il governo, della monarchia, e della stessa opinione pubblica. Insomma, sicuramente lo squadrismo è in parte autonomo, ma tale autonomia non dispiace affatto a Mussolini e al Pnf.

  Come va inteso il disprezzo degli squadristi nei confronti delle leggi, incluse quelle del Regime fascista (cfr. pag.55)?

  In parte è riconducibile all'idea di rivoluzione fascista propria degli squadristi. Le camicie nere erano consapevoli che, in fin dei conti, se Mussolini era diventato Presidente del consiglio era stato merito loro. Molti credevano infatti di godere di una sorta di legittimità che trascendeva il rispetto delle leggi. E, d'altra parte, raramente uno squadrista che infrangeva le leggi del Regno, anche quelle promulgate dal governo fascista, veniva punito davvero, come la vicenda degli squadristi mandati al confino dimostra.

  Quali sono i "fattori psicologici e soggettivi" (pag.55) che determinarono la lunga durata del fenomeno squadrista?

  I fattori che spiegano la lunga durata dello squadrismo sono vari. Due li ho già ricordati: l'orgoglio di essere "gli eroi della rivoluzione" e l'utilità politica della violenza di matrice squadrista come strumento di fascistizzazione. Ma anche la creazione, già a partire dal dopo-Marcia su Roma, di un mito dello squadrismo gioca un ruolo decisivo, anche se questo mito verrà progressivamente edulcorato delle sue componenti violente. Ma ci sono anche fattori più soggettivi, come il cameratismo nato dall'aver combattuto insieme, il legame tra gregari e capi-squadra, la consapevolezza di aver ottenuto il successo grazie alla pratica della violenza.

  Perché soprattutto durante la segreteria Farinacci (1925-1926) si assistette al "rifiorire rigoglioso di vecchie e nuove squadre" (pag.56)?

  Farinacci era, e sarà per tutto il Regime, il rappresentante più autorevole degli intransigenti (anche se non di tutti). In parte, molti squadristi vedono la sua ascesa alla segreteria del Pnf come l'occasione per ricominciare a menare le mani, con ancora meno timori e preoccupazioni di quelli avuti negli anni precedenti. Ma in alcuni casi, è lo stesso Farinacci a incentivare, almeno informalmente, le violenze squadriste come strumento di affermazione politica. Di certo, Farinacci è consapevole che la violenza è efficace solo se incanalata e usata per precisi obiettivi politici

  Qual era l'estrazione sociale dei membri delle squadre (cfr. pag.60)?

  Si tratta di un problema storiografico di grande importanza, e in parte ancora da risolvere. Di certo, definizioni come quelle di "sbandato" o "asociale" non aiutano la comprensione. La militanza nelle squadre ha rappresentato un grande "ascensore" sociale. Il capo dello squadrismo fiorentino Tullio Tamburini, per esempio, prima della Grande guerra era un semplice calligrafo, scriveva biglietti da visita e partecipazioni ai matrimoni, per diventare poi il capo indiscusso dello squadrismo fiorentino e, negli anni Trenta, prefetto, per chiudere la sua carriera come capo della polizia nella Repubblica Sociale Italiana. Tuttavia ci sono anche capi-squadra di ben più origini, come il benestante Mario Piazzesi, e molti di loro avranno anche importanti carriere nell'amministrazione pubblica o successo nelle professioni, come il farmacista, ma pluriomicida, Sandro Carosi.

  Come interpreta la "coerenza di lungo periodo" (pag.79) mantenuta dagli squadristi durante il Regime fascista?

  Molti squadristi percepivano il loro ruolo all'interno del fascismo proprio alla luce della militanza nelle squadre, che aveva rappresentato un elemento identitario e un'esperienza centrale da far valere in campo politico. Questo non significa, tuttavia, che lo squadrismo così come si era manifestato prima della Marcia resti sempre uguale a se stesso anche negli anni successivi, ma anzi esso subisce continui adattamenti e modifiche a seconda dei diversi contesti sociali e politici.

  Come si spiega l'atteggiamento "ambivalente" (pag.87) tenuto da Mussolini nei confronti dello squadrismo?

  Da un lato, Mussolini ha bisogno dello squadrismo come strumento di fascistizzazione e puntello del suo potere: in caso di crisi e pericolo, sa che potrà contare sempre sugli uomini delle squadre, il cui destino (e successo) è legato a doppio filo con le sorti del Regime. Dall'altro, lo squadrismo crea disordini e imbarazzi politici. Mussolini sarà sempre abilissimo nello sfruttare al massimo questa ambivalenza, ponendosi come un volenteroso normalizzatore ma anche minacciando sempre un ritorno della violenza squadrista.

  Quanto fu determinante il ruolo rivestito dallo squadrismo nel processo di consolidamento del Fascismo (cfr. pag.121)?

  A mio parere fu centrale. Come ho spiegato prima, lo squadrismo permise di consolidare il Regime, eliminare le opposizioni e influenzare le coscienze. Questi sono effetti di lunga durata che vanno al di là delle crisi circoscritte provocate dalle violenze squadriste.

  Lei scrive che il federale milanese Mario Giampaoli adottò "una serie di provvedimenti di welfare informale" (pag.122)...

  Giampaoli cercò di conquistare al fascismo gli operai milanesi. E per farlo, sapeva benissimo che la violenza dispiegata dalle squadre, mascherate ora da circoli rionali, non era sufficiente. Egli cercò infatti di dare un volto credibile alla propaganda populista e operaista del fascismo, per esempio realizzando forme di associazionismo sindacale credibili (in sostanza capaci di portare dei vantaggi reali agli operai), ma anche di fare dei circoli rionali dei centri di assistenza, per esempio attraverso la distribuzione di pacchi viveri e alimenti.

  In che senso la "corsa in avanti" di Giampaoli "si spinse troppo oltre", tanto da "minacciare gli equilibri economici e sociali" (pag.128)?

  Puntare sugli operai come blocco politico è una scelta che avrebbe garantito a Giampaoli un'ampia autonomia ma è anche molto azzardata: Milano resterà a lungo ostile e refrattaria alla penetrazione fascista. Ma Milano è anche la città della grande borghesia degli affari e dell'industria, un alleato ben più sicuro e affidabile degli operai, e Mussolini non è affatto disposto a rischiare di perderne l'appoggio.

  Quali erano i fondamenti della "pedagogia del manganello" (pag.137)?

  Farinacci dirà una volta che è necessario rompere i crani refrattari per inculcare le idee fasciste. La violenza fascista, anche se all'apparenza sembra controproducente, ha un chiaro obiettivo strategico: dimostrare che nessuna alternativa al fascismo è possibile. Per certi versi, è sorprendente quanto poco i fascisti abbiano ucciso, nonostante ne avessero avuto ampia possibilità. Questo tuttavia non deve essere interpretato come un segno di un presunto buon cuore degli squadristi. La violenza squadrista infligge ferite e mutilazioni permanenti ed è volta a umiliare e terrorizzare la vittima, che di fatto era in balia dell'assoluta discrezionalità degli squadristi.

  Lei scrive che "molti leader locali [...] godono di fonti di legittimità parzialmente eterogenee e indipendenti rispetto all'investitura mussoliniana" (pag.144). A che cosa si riferisce? E come si spiega questo fatto?

  Innanzitutto, per una buona parte degli anni Venti il potere di Mussolini non è così solido; è solo a partire dal 1926 che iniziano le prime forme di epurazione. Nel frattempo, molti capi-squadra sono riusciti a creare reti di potere locale in cui l'intreccio tra violenza, posizioni politiche e affari è molto stretto. E la fedeltà dei loro uomini è un elemento centrale di questo potere. Ma, per quanto autonomi, essi sono comunque utili e funzionali al Regime. Spostare un capo influente e potente come Tamburini, o Arpinati sarebbe stato un azzardo, non solo per la reazione dei loro fedeli squadristi ma anche perché avrebbe allentato la morsa nei confronti nell'antifascismo, o semplicemente dell'a-fascismo.

  A pag.147 si legge che a Genova gli squadristi espulsi dal Pnf diedero vita a un'organizzazione autonoma denominata "gruppo squadrista Roberto Farinacci". Iniziative analoghe si registrarono anche altrove o quello fu un fenomeno isolato?

  Farinacci, come ho ricordato, è il punto di riferimento degli intransigenti, anche se spesso non ne è per nulla contento. Alcune delle nuove squadre che risorgano dopo la marcia su Roma o, come nel caso di Genova, in opposizione all'epurazione condotta dal Pnf, cercano di legittimarsi attribuendosi una sorta di "paternità farinacciana". È il caso, per esempio, dei Lupi di Farinacci a Napoli. Ma ancora nel 1929 i dissidenti torinesi inneggiano in piazza a Farinacci.

  Quanto era diffuso tra gli squadristi il riferimento alla "purezza e idealità" del Fascismo antemarcia (cfr. pag.160)?

  Il fascismo ante-marcia diventa ben presto un mito, e come in tutti miti non c'è spazio per impurità o contraddizioni. Il periodo che precede la marcia su Roma è sicuramente il periodo aureo dello squadrismo, e rappresenta sempre un punto di riferimento per gli squadristi, che lo usano però anche a fini strumentali e di affermazione politica, per esempio rivendicando il loro ruolo nelle spedizioni punitive, i socialisti picchiati, i crimini commessi, la lunghezza delle fedine penali.

  Quali sono i "tratti aristocratici" della violenza dei vecchi squadristi cui allude a pag.179?

  Sono i tratti non criminali, quelli riconducibili alla pedagogia del manganello e alla difesa e propaganda delle idee fasciste. Ovviamente si tratta del punto di vista fascista.

  Quali erano gli elementi fondanti della "cultura squadrista" (pag.194)?

  Si tratta di una cultura politica forgiata dalla militanza violenta nelle squadre e dall'esperienza della vita comunitaria nelle squadre, trasformata ma anche legittimata dalla creazione di un mito dello squadrismo e dalla permanenza di legami sociali, di cameratismo e di identità tra i vari squadristi, che spesso vanno al di là delle divisioni locali e politiche.

  Come va intesa l'opposizione "pre-politica" al Regime da parte degli squadristi (cfr. pag.195)?

  Si tratta innanzitutto dell'opposizione di una parte degli squadristi, e nel libro mi riferisco in particolare agli squadristi mandati al confino e privi di appoggi o legami politici. Essi, più o meno incidentalmente, si fanno portavoce talvolta di forme di protesta che prescindono da una precisa scelta politica, come nel caso del malcontento per la scarsità di cibo, per l'inefficienza del Regime, per l'incapacità del fascismo di risolvere i problemi delle masse contadine. Certamente, se a protestare è un vecchio squadrista piuttosto che un ex-militante socialista l'imbarazzo è ben più grande per il Regime.

  Che cosa intende con l'espressione "forte anticonformismo" degli squadristi (pag.195)?

  Anche in questo caso, si tratta di un'espressione che ho usato in riferimento a un preciso gruppo di squadristi: quelli privi di appoggi politici e mandati al confino. Vale anche qui quanto ho detto nella risposta precedente. Essi non sono disposti ad accettare l'ubbidienza e la sudditanza che il Regime vorrebbe imporre, anche attraverso lo strumento del confino, che assume una chiara funzione di disciplinamento.

  Qual è l'origine dell'ostilità degli squadristi verso i valori "borghesi" (pag.207)?

  L'espressione è di Mauro Canali, e anche in questo caso è usata in relazione a un gruppo specifico di squadristi. D'altra parte, molte camicie nere avevano origine borghese, come il già ricordato Mario Piazzesi, che potremmo definire un "figlio di papà". Ma è certamente vero che per molti (ma non per tutti!) l'esperienza nelle squadre d'azione e poi anche nel dopo-marcia si presentava come fortemente anticonformista, e questo ha sicuramente influenzato una certa ritrosia, un certo spirito anti-borghese delle squadrismo.

  Perché definisce "eretica" la condotta di Arconovaldo Bonacorsi (pag.259)?

  Perché Bonacorsi mantiene una forte autonomia, agisce da squadrista prima ancora che da militare o politico nelle Baleari, spesso incurante delle conseguenze politiche e anche diplomatiche delle sue azioni.

23 marzo 2015

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