Ucraina tra Russia e Occidente. Intervista con Gaetano Colonna Stampa E-mail

Ucraina tra Russia e Occidente

Intervista con Gaetano Colonna


a cura di Francesco Algisi

 

colonna ucraina  Gaetano Colonna, dottore di ricerca in storia antica, insegna letteratura italiana e storia nelle scuole superiori. Cultore di storia contemporanea, ha pubblicato "La Resurrezione della Patria, per una storia d'Italia" (Tilopa, 2004) e "Medio Oriente senza pace" (Edilibri, 2009). Collabora con la rivista telematica 'www.clarissa.it' e cura il blog 'gcolonna.wordpress.com'. Su "Graal. Rivista di scienza dello spirito", è da anni in corso di pubblicazione un suo saggio intitolato "La missione dell'Europa. Identità europea e triarticolazione sociale". Per i tipi di Edilibri ha dato alle stampe nei mesi scorsi il volume di sintesi storica e geopolitica "Ucraina tra Russia e Occidente", una delle migliori analisi uscite finora sulla vicenda ucraina. Il libro si legge con profitto e interesse grazie alla lucidità dell'esposizione, una qualità di cui l'Autore dà prova anche nell'intervista seguente.

  Prof. Colonna, quali furono, nel 1919, le "valide ragioni strategiche" (pag.17) che mancarono alle potenze occidentali per sostenere il concetto wilsoniano di autodeterminazione dei popoli nel caso dell'Ucraina?

  Direi che fu da un lato la stessa ipocrisia del concetto wilsoniano di autodeterminazione, che celava precisi interessi anglosassoni all'apertura dei mercati centro-europei e alla disintegrazione della Russia come potenza europea. La paura anticomunista, poi, condizionò le scelte nell'Europa orientale, in modo particolare rispetto alla Polonia che, come forse ho accennato nel testo, doveva essere un baluardo contro la Germania e al tempo stesso contro il bolscevismo – mettendo così le premesse per quanto avverrà nel 1939.

  Perché, ancora trent'anni dopo la fine della Seconda guerra mondiale, gli Usa e l'Urss vedevano nella Germania "l'elemento di maggiore pericolosità sul continente europeo" (pag.65)?

  La Germania rappresenta tuttora la questione centrale della storia contemporanea europea: il mondo anglosassone e quello slavo, per ragioni diverse che sarebbe troppo lungo discutere qui, sono pienamente consapevoli del fatto che la cultura tedesca è fondante per il mondo contemporaneo (dal romanticismo alla psicanalisi, giusto per intenderci). Il fatto che l'Europa contemporanea non possa che essere organizzata intorno al propulsore tedesco rimane l'elemento essenziale della preoccupazione anglosassone anche nel secondo dopoguerra, e dunque tuttora. Mentre per la Russia, la Germania esercita da sempre un'attrazione che nemmeno due guerre mondiali sono riuscite in realtà a ridurre.

  Lei scrive che, durante tutta la Guerra fredda, per gli Stati Uniti "il neutralismo di ogni genere e tipo" fu "il vero e proprio pericolo numero uno" (pag.76). Potrebbe chiarire brevemente questo punto?

  Lo si chiarisce in modo fattuale: tutti coloro che hanno cercato di realizzare una terza forza ugualmente distante da comunismo e liberismo sono stati annientati – ovunque abbiano tentato questa via: dall'Europa, al Sud America, all'Asia, all'Africa. L'equidistanza non era possibile per gli Usa in particolare: meglio un Paese schierato col mondo comunista di uno che tentasse una via autonoma. Il nazionalismo arabo ha pagato un prezzo altissimo per questa ragione. Personalmente ritengo che le cosiddette primavere arabe degli ultimi anni, anziché essere quella sbandierata manifestazione proto-democratica con cui sono state dipinte dai media, rappresentino la chiusura definitiva del conto aperto dell'Occidente atlantico con i regimi di terza forza del nazionalismo arabo nei primi anni Sessanta.

  A pag.84 si legge che Leonid Kuchma, presidente dell'Ucraina dal 1994 al 2004, cercò di soddisfare "sia le aspettative dell'Occidente sia quelle della Russia e insieme, nel far questo, di ricavare il maggior possibile vantaggio per il Paese". Che giudizio dà di questa "politica multi-vettoriale", fondata "sullo spregiudicato bilanciamento fra Occidente e Russia" (pag.99) e costruita per "giocare sui due tavoli, rispettivamente, della cooperazione economica e commerciale con la Russia e dell'avvicinamento all'ombrello militare della Nato" (pag.87)?

  Credo che fosse la sola politica fattibile per un Paese che ha la storia e la collocazione geopolitica e culturale dell'Ucraina, soprattutto dopo settant'anni di sistema sovietico. Ovviamente correndo gravi rischi, come abbiamo visto. Ci sarebbe poi da fare un discorso più analitico che nel libro non era possibile fare: personalmente ritengo che Kuchma abbia giocato su due tavoli, ma alcuni ambienti ucraini si sono spinti molto avanti e in profondità per collegarsi sul piano dell'intelligence agli apparati occidentali.

  Come interpreta il fatto che, nell'estate del 2000, l'Ucraina fornì all'Iraq di Saddam Hussein "sistemi radar Kolchuga in grado di avvistare velivoli nemici fino a 600-800 chilometri di distanza, nonostante questa vendita rientrasse fra quelle proibite dalle risoluzioni Onu seguite alla guerra del 1991" (pag.87)?

  Tentativo di acquisire delle carte da giocare nei confronti degli Usa, come successo a molti che si bilanciavano allo stesso modo, da Mattei a Sadat...

  Lei scrive che la rielezione di Putin nel 2004 genera l'"esigenza per l'Occidente che l'Ucraina abbandoni ogni politica "multivettoriale" ed esca dall'area di influenza russa" (pag.89). La politica putiniana non era, tuttavia, già chiara fin dal primo mandato al Cremlino? Non possono essere state altre le motivazioni, legate forse alla collocazione geopolitica dell'Ucraina, come spiega Brzezinski nella "Grande scacchiera"?

  Credo che gli Usa abbiano pensato di poter condizionare Putin come avevano fatto con Eltsin: non dimentichiamo che alcuni dei mentori iniziali di Putin erano schierati nel campo liberista, filo-occidentale.

  Qual è il ruolo esercitato dagli Usa nella nascita del GUAM (Georgia, Ucraina, Azerbaigian e Moldova) nel 1997, con Kuchma al potere a Kiev, vista la natura "anti-CSI" (pag.93) di tale organismo?

  Dai documenti ufficiali Usa che ho letto direi che gli Usa sono stati gli sponsor principali dell'operazione, che fra l'altro completava la cintura di sicurezza settentrionale rispetto al "Medio Oriente allargato", come ho spiegato in un altro mio libro, "Medio Oriente senza pace".

  Nel 2004, Kuchma designò V. Yanukovich come proprio successore alla presidenza dell'Ucraina (cfr. pag.94). Esistono analogie fra queste due figure, soprattutto sul piano della politica "multivettoriale"?

  Assolutamente sì: con la differenza che Yanukovich è molto meno "politico" di Kuchma, che, venendo dall'apparato ex-sovietico, a mio avviso sapeva muoversi assai meglio anche a livello internazionale.

  Come interpreta "l'impiego da parte dei servizi Usa dei nazionalisti ucraini" nei recenti avvenimenti che hanno colpito Kiev (cfr. nota 17 di pag. 95)?

  Ho visto qualche studio, di cui almeno uno citato in nota, che documenta in maniera ineccepibile la continuità di "impiego" dei nazionalisti ucraini da parte degli apparati nordamericani, dagli anni Quaranta ai giorni nostri: non dimentichiamo le importantissime comunità di ucraini profughi in Usa che svolgono un lavoro di lobbying e di tipo culturale intensissimo, da quanto ho potuto vedere.

  Il quotidiano "La Stampa" del 3 dicembre 2014 riferiva la seguente notizia: "Sono cittadini ucraini solo da alcune ore i tre neo-ministri delle Finanze, dell'Economia e della Salute, Natalia Jaresko, Aivaras Abromavicius e Alexander Kvitashvili. Prima del via libera del Parlamento alle nomine, il presidente ha concesso loro la cittadinanza. La Jaresko è ad di un fondo di investimenti del gruppo Horizon Capital e ha lavorato in Ucraina negli ultimi 20 anni, dopo aver ricoperto incarichi al Dipartimento di Stato Usa. Abromavicius è partner della società di investimenti East Capital e il cittadino georgiano Kvitashvili è stato ministro della Salute e del Lavoro nel governo di Tbilisi". Che cosa ne pensa?

  Non mi sorprende! Torno a quanto detto nella risposta precedente. Vi sono uomini e donne ucraini nati in Usa che sono stati direttamente "trasferiti" dagli uffici governativi americani a quelli ucraini, passando attraverso revolving doors economiche o diplomatiche: basti il caso, da me analizzato in dettaglio, della moglie di Jushchenko.

  Perché ritiene che la già ricordata politica dello "spregiudicato bilanciamento fra Occidente e Russia" seguita da Kuchma abbia compromesso il "consolidamento dello Stato e dell'identità nazionale dell'Ucraina" (pag.100)?

  Perché l'Ucraina, essendo etnicamente e culturalmente divisa in due parti, nel momento in cui quella politica fosse stata messa alla prova sul piano internazionale avrebbe provocato con ogni evidenza la spaccatura del Paese, cosa che è infatti avvenuta. Qualcosa di simile, in effetti, ricorre anche, secondo me, nella storia della ex-Jugoslavia, a proposito dei tentativi (da sinistra in questo caso) di terza-forzismo.

  Yanukovich – si legge a pag.106 – "nei suoi quattro anni di presidenza non farà altro che tentare di dare continuità di bilanciamento fra Mosca e l'Occidente". Perché, dunque, i media occidentali lo presentano "come un uomo di Putin"?

  Beh, i media occidentali, per come sono finanziati oggi e gestiti da sempre, preparano l'opinione pubblica a quello che deve accadere, proprio come oggi sta avvenendo per le prossime terribili tragedie che attendono il Medio Oriente...

  Che giudizio dà della figura di Yanukovich?

  Ha tentato l'impossibile, consapevole secondo me della posta in gioco. Se vogliamo rozzamente, se vogliamo dipendendo da ambienti economici "forti" del Paese – ma credo sia stato sinceramente convinto di stare giocando una partita decisiva per la salvezza dell'unità e dell'indipendenza dell'Ucraina. A me pare, ad esempio, che le richieste di sostegno economico da lui rivolte alla Ue fossero del tutto ragionevoli: non si comprende perché la Ue, che voleva tanto avvicinare l'Ucraina, le abbia regolarmente respinte, mettendo Yanukovich in un posizione difficilissima anche sul piano interno.

  Lei scrive che le sanzioni abbattutesi "copiose sull'economia della Russia dopo l'annessione della Crimea", oltre a non "preoccupare eccessivamente Putin", "possono aiutarlo" (pag.116). Secondo lei, potrebbero risultare idonee, contrariamente all'intenzione di chi le ha promosse, a preservare Mosca dall'influenza occidentale, rafforzando l'identità nazionale russa?

  Credo che Putin sia consapevole di questa opportunità per il futuro della Russia. Purtroppo la Russia, dopo tanti anni di marxismo-leninismo, ha ancora poco chiari i fondamenti della propria identità. L'opera di un Solženitsin, ad esempio, sarebbe stata tutta da valorizzare da questo punto di vista, ma non mi pare che questo sia (ancora?) accaduto. Si rischiano quindi di nuovo lotte ideologiche invece di un lucido lavoro di ricostruzione, come quello tentato appunto dal grande scrittore russo.

  In una recente intervista, Romano Prodi ha affermato che, a seguito delle sanzioni contro Mosca, le "esportazioni americane verso la Russia sono aumentate" (Corriere della sera, 8 marzo 2015)...

  Succedeva già durante la Guerra Fredda: il sistema "Vodka-Cola" in gran parte si è mantenuto. Non dimentichiamoci che la "globalizzazione" coinvolge comunque anche la Russia.

  Lei scrive che "il nuovo "eurasianesimo" [...] per paradosso si nutre dello stesso pensiero geopolitico su cui si basa Brzezinski" (p.130). Come si spiega questo?

  A rischio di sembrarle "dietrologista", le matrici sono comuni, per fare della Russia un Paese asiatico invece che europeo, quale esso è. Ma è un discorso molto serio che meriterebbe un libro a parte.

  Qual è la "missione storica in senso mazziniano" dell'Europa (p.131)?

  Fare di essa l'equivalente continentale della "Roma dei Popoli". Mi sono occupato di questo nel mio "La Resurrezione della patria". Mi permetto di rimandarla a quel testo solo per brevità.

  Lei auspica per l'Europa "forme di organizzazione sociale completamente rinnovate" (pag.133). A che cosa si riferisce?

  Da molti anni mi sto occupando della triarticolazione dell'organismo sociale derivante dal pensiero di Rudolf Steiner: ritengo che sia una delle poche proposte realmente nuove espresse dal pensiero europeo nel Novecento.

  Che cosa può trarre di valido dal pensiero di Steiner l'Europa odierna?

  Sul piano della riorganizzazione sociale, come le ho accennato, moltissimo. Non affronto qui gli aspetti spirituali perché ovviamente ci porterebbero su di un terreno molto diverso, anche se per me del tutto complementare.

  Lei assegna alla Russia il "ruolo fondamentale" di "barriera a difesa del libero sviluppo dell'Europa" (pag.131). Ravvisa nella "nuova potenza cinese" una minaccia per l'Europa?

  Penso che la Cina possa diventarlo in meno di mezzo secolo: intanto è già in atto una colonizzazione economica cinese dell'Europa. Se poi, come io credo avverrà a medio termine, Cina e Stati Uniti trovassero delle convergenze sul piano economico e su quello etico (un certo confucianesimo si sposa bene con certe linee del protestantesimo), l'Europa dovrebbe riconsiderare completamente la propria posizione filo-atlantica. A mio avviso, oggi dovremmo cominciare a prepararci culturalmente a questa svolta.

  Condivide ciò che scriveva Sergio Romano sul "Corriere della sera" del 9 luglio 2014, secondo il quale l'Ucraina può "conservare la sua unità soltanto se accetta di essere neutrale e di avere buone relazioni con tutti i suoi vicini"?

  Non credo che la neutralità sia più possibile, come dicevo a proposito delle terze forze. Penso sia più realistico ipotizzare una divisione di fatto del Paese, quella che si è già prodotta. Si determina così una delle tantissime "faglie calde" di cui gli anglosassoni hanno costellato la loro idea di pace e democrazia universale. Sperando che un giorno non si colleghino tra loro.

26 marzo 2015

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