Il conflitto russo-ucraino. Intervista con Eugenio Di Rienzo Stampa E-mail

Il conflitto russo-ucraino

Intervista con Eugenio Di Rienzo


a cura di Francesco Algisi

 

direnzo russo-ucraino  Eugenio Di Rienzo insegna Storia moderna presso la Facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Roma "La Sapienza". Direttore della "Nuova rivista storica", ha all'attivo, tra gli altri, i seguenti volumi: "Napoleone III" (2010), "Il Regno delle Due Sicilie e le Potenze Europee, 1830-1861" (2012), "Le potenze dell'Asse e l'Unione Sovietica, 1939-1945" (in collaborazione con Emilio Gin, 2013), "Afghanistan. Il Grande Gioco, 1914-1947" (2014). Nei mesi scorsi, con Rubbettino Editore ha pubblicato il saggio intitolato "Il conflitto russo-ucraino. Geopolitica del nuovo dis(ordine) mondiale", cui è dedicata questa intervista.

  Prof. Di Rienzo, perché l'eventuale ingresso dell'Ucraina nella NATO potrebbe costituire il presupposto "per la definitiva disintegrazione della Russia come Grande Potenza" (pag.7)?

  Nel nuovo «Grande Gioco» teso a mantenere l'egemonia politica Usa sulle economie emergenti, l'Ucraina rappresenta indubbiamente una delle pedine fondamentali. Lo è perché con i suoi 46 milioni di abitanti e i sui 700mila chilometri quadrati di estensione è il secondo Stato più grande d'Europa. Lo è per la ricchezza delle sue risorse minerarie non ancora completamente sfruttate così come per quelle risorse agricole che nel 2013 avevano spinto la Cina a voler acquisire oltre 3 milioni di ettari di fertilissime «terre nere». Lo è per il passaggio di circa 40.000 chilometri di gasdotti che la collegano alla Russia e alla zona del Mar Caspio e che soddisfano il 25-31% dei bisogni energetici dell'UE (e il 43% dell'Italia). Lo è da un punto di vista strategico perché condivide un lunghissimo e pianeggiante confine con la Russia, privo di ostacoli naturali e quindi fatalmente esposto ai rischi di una penetrazione militare. Lo è perché è padrona (o meglio, lo era) di due porti sul Mar Nero, Odessa e Sebastopoli, indispensabili per l'economia della Federazione Russa e unica porta d'accesso della flotta russa al Mediterraneo e quindi a quell'area di fondamentale importanza geostrategica che va dalle coste del Medio Oriente all'Africa settentrionale e, attraverso il canale di Suez, al Mar Rosso, al Golfo Persico e all'Oceano indiano. Lo è infine perché l'Ucraina è parte integrante del «Grande spazio» eurasiatico, di cui la Russia dopo il XVII secolo rivendica l'egemonia. Ed è qui che ritorna in gioco il futuro politico dell'Ucraina: la Nazione che per risorse naturali, popolazione, apparato industriale, posizione strategica potrebbe fare la differenza e fornire al futuro blocco eurasiatico la massa critica per avere un peso specifico paragonabile a quello delle economie occidentali. In estrema sintesi, Putin si trova di fronte a questa situazione: la Russia da sola è priva di un volume economico e demografico paragonabile a quello dell'UE; la Russia, inserita nell'Unione Eurasiatica, potrebbe acquistarlo; una Russia amputata dell'Ucraina e un'Ucraina unita all'UE, come prefigurato dal «falco» statunitense Zbigniew Brzezinski, sostenitore di una risposta armata dell'Alleanza Atlantica all'«aggressione di Putin contro Kiev», costituirebbero un'irreparabile sconfitta di Mosca. Il peso geostrategico dell'Ucraina in Eurasia è pari almeno a quello dell'Italia nello spazio mediterraneo. E qui vorrei ricordare che Regno Unito e Stati Uniti hanno scatenato conflitti sanguinosi per molto, molto meno: la guerra per il controllo di Grenada, nel 1983, quella per il possesso delle Malvinas, nel 1982.

  Su quali basi rileva, rispetto alla Cina, la maggiore abilità della Russia "a muoversi sulla scacchiera geopolitica" (pag.10)? E, rispetto all'Iran, la minore abilità "a muoversi sul terreno dei conflitti regionali"?

  A differenza di Pechino, Mosca aveva instaurato, fino all'insorgere dell'"imbroglio ucraino", una salda partnership non solo economica ma anche politica e diplomatica con alcuni importanti Paesi dell'Unione Europea (Francia, Italia) e con lo Stato-guida dell'area euro, la Germania. A differenza dell'Iran, ma anche della Cina, che pure oggi è alle prese con il separatismo musulmano e turcofono del Sinkiang, la Federazione Russa non è riuscita ad assicurare, invece, la sicurezza dei suoi "sotto-sistemi imperiali", in Asia centrale e nel Caucaso, che rimangono esposti al contagio dell'islamismo radicale e militare. La classe dirigente moscovita che, in età zarista, poi durante la stagione sovietica e ancora oggi, si è sempre identificata nel destino imperiale della Russia, si trova ora a confrontarsi con una frontiera con la Cina che è un incubo strategico, con una frontiera con l'Europa che ha costituito nel passato la più grave minaccia alla sopravvivenza della Nazione russa ma soprattutto con una frontiera con l'Islam che è un incubo culturale.

  Perché ritiene che, "con l'intervento in Ucraina", Putin abbia "inflitto all'Occidente un'imprevista quanto mortificante sconfitta" (pag.11)?

  Il progetto d'integrare politicamente l'Ucraina nell'UE e nella NATO mi pare, fino a questo momento, fallito. Con gli accordi di Minsk la fragile tregua si è rivelata una vittoria per Mosca. Sia che i centri ribelli del Doneck possano essere destinati a divenire un'altra Republika Srpska (uno «Stato nello Stato» che condizionerà il processo decisionale di Kiev e ne minaccerà l'esistenza come la Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina fece con Sarajevo) o a dar vita a una nuova Abcasia (e cioè a creare il terreno di un «conflitto congelato» sempre sul punto di tornare ad essere «caldo»), Putin ha acquisito un eccezionale strumento di pressione per indebolire Kiev e condizionare la sua politica estera per gli anni a venire. Il processo di chiusura della crisi per via negoziale rischia, infatti, di trascinarsi per un tempo indefinito, forse per sempre. Nessun leader ucraino potrà sottostare al diktat dei capi dei rivoltosi, che guidano la proxy war dichiarata da Mosca, né le forze separatiste si rassegneranno a rinunciare alle loro rivendicazioni. Un conflitto civile irrisolto, trasformatosi in uno stato di cessate il fuoco a tempo indeterminato - che conosce l'imperversare di scontri intermittenti poiché molte delle milizie pro-Kiev sono scettiche e addirittura contrarie ai capitolati di Minsk - sarà un peso insopportabile per qualsiasi governo ucraino. Il risultato più importante raggiunto da Putin è così quello di aver mantenuto aperto un fronte di guerra nell'est del Paese che costituirà un'arma di ricatto formidabile per impedire l'ingresso dell'Ucraina nella Nato e che ha intanto costretto Kiev a rimandare alla fine del 2015 la formalizzazione dell'accordo di associazione con l'Ue che il Parlamento ucraino avrebbe dovuto ratificare il 16 settembre 2014. Questo è il quadro, a giugno 2015. Certo un diretto sostegno militare di USA e NATO all'Ucraina potrebbe mutare la situazione, ma a rischio di trasformare la petite guerre ucraina in una guerra guerreggiata tra Occidente e Russia.

  Che cosa rende "comprensibile (se non del tutto giustificata)" (pag.18) la russofobia dei nazionalisti ucraini?

  Sicuramente il peso schiacciante della memoria storica dell'holodomor, lo sterminio per fame causato dalla collettivizzazione agraria forzata imposta da Stalin tra il 1932 e il 1933 che costò la vita a milioni di ucraini. Fu questo tragico e palpitante ricordo che spinse la popolazione dell'Ucraina occidentale a fiancheggiare l'invasore nazista dal 1941 al 1944, a collaborare nell'esecuzione dello sterminio ebraico, a perpetrare una feroce pulizia etnica contro la minoranza polacca, mentre le provincie orientali rimasero fedeli a Mosca per tutto il corso del secondo conflitto mondiale, pagando a caro prezzo questa fedeltà. La memoria storica che, per dirla con Marx, preme come «un incubo sulla vita degli uomini», è stata spesso cattiva consigliera nel determinare le loro azioni. Credo che lo sia anche oggi.

  Lei scrive che "Una nuova «cortina di ferro» sta per essere eretta dal Baltico al Mar Nero, al Caspio, da Tallinn a Varsavia, da Kiev a Bucarest, da Tbilisi a Baku" (pag.51). Chi trae vantaggio da questo scenario "che taglierà in due l'Eurasia e interromperà arterie secolari"?

  Sicuramente gli Stati Uniti, che hanno avversato in tutti i modi, legittimi e illegittimi, il sogno di Charles de Gaulle: la nascita di un grande spazio di cooperazione economica e politica paneuropea, esteso da Lisbona a Vladivostok. Non certo l'Unione Europea che si troverebbe a dover "adottare" e assistere uno «Stato fallito», economicamente e politicamente, come l'Ucraina. Uno Stato che costituisce l'esatto contrario di un organismo politico nazionale nel senso classico del termine, dove neppure la maggioranza etnica titolare ucraina costituisce una Nazione unificata, omogenea e coesa.

  Alle pagg. 55-56 si legge che "le ritorsioni deliberate dagli USA e da una riluttante Unione Europea [...] hanno sicuramente indebolito la Russia riportandola alla catastrofica situazione vissuta sotto il governo di Boris El'cin". Eppure adesso pare che il quadro sia meno drammatico. Come scriveva Alberto Brambilla su "Il Foglio" del 21 aprile 2015, l'economia russa è in ripresa: "La Borsa di Mosca è una delle migliori quest'anno. Il rublo, dopo avere perso metà del suo valore nei confronti del dollaro, sta risalendo. I tassi di interesse per i prestiti creditizi retrocedono dai picchi post-sanzioni. E le riserve valutarie sono salite a circa 10 miliardi di euro, vicino ai livelli precrisi". Anche il settimanale "L'Espresso" del 28 maggio 2015 riferiva che "L'economia russa si indebolisce a una velocità inferiore al previsto. Nel primo trimestre del 2015 il Prodotto interno lordo è sceso su base annua dell'1,9 per cento, meno del 2,6 per cento atteso dagli analisti. Grazie al recupero del prezzo del petrolio, il ministro dell'Economia Alexei Ulyukayev ha migliorato le sue stime: nel 2015 il Pil scenderà del 2,8 per cento, meno del 3 previsto in precedenza."...

  Calcoli che il mio libro è stato chiuso in tipografia, a fine dicembre 2014, quando la maggior parte degli analisti internazionali dava l'economia russa prossima al default. Per parte mia, però, anche allora non condividevo in toto questa previsione, che i fatti si sono incaricati di smentire. Allora scrivevo che difficilmente le rappresaglie USA e UE, alle quali Putin ha risposto con contro-sanzioni che hanno messo in crisi non solo il settore agroalimentare della zona meridionale dell'euro ma anche il comparto industriale della «locomotiva tedesca», avrebbero potuto avere lo stesso effetto sui rapporti commerciali tra Russia e il resto del mondo incentrati principalmente sull'esportazione di energia (ma anche di armamenti e materie prime). Questi rapporti legano la Federazione alla Turchia, ora corteggiatissima da Washington, Londra, Parigi per il suo rinnovato ruolo di «sentinella del Mar Nero», ai futuri partners dell'Unione Economica Eurasiatica, al filo-statunitense Giappone, assetato di gas russo dopo il massiccio ritorno al nucleare per usi civili deciso dal governo conservatore di Shinzō Abe e desideroso di chiudere la disputa territoriale sulle Isole Senkaku. Un informale patto di cooperazione e di concertazione e stretti vincoli di mercato uniscono poi Mosca ai Paesi del Medio Oriente esportatori di greggio, in particolare al Qatar (acerrimo rivale della Russia nella crisi siriana ma disposto a fiancheggiarla all'interno del Gas Exporting Countries Forum per contrastare il programma energetico dettato da Washington e dal regime saudita), all'Iran, agli altri Brics e soprattutto al colosso economico della Cina. Ciò detto, bisogna però aggiungere che lo stato dell'economia russa, ancora troppo dipendente dalla vendita di gas e petrolio, arretrata e sofferente nel settore agricolo e in quello dei beni di consumo, resta ancora molto fragile e che questa fragilità si potrà accentuare se le provocazioni degli Usa la costringeranno, come in parte è già accaduto e sta ora accadendo, a riprendere la corsa agli armamenti.

  Chi, "all'interno delle mura del Cremlino", potrebbe promuovere la rimozione di Putin (pag.56)?

  Il vero nemico interno di Putin non è nel clan economico liberale, guidato dal ministro delle Finanze russo Anton Siluanov, ma è rappresentato dal «partito della guerra» che spinge per un diretto e massiccio coinvolgimento di Mosca nella guerra civile ucraina e che sogna di vedere le armate russe spingersi fino ai confini della Polonia. Dotato, com'è, di un forte carisma, di un larghissimo consenso, di indubbie doti di statista, Putin ha saputo e saprà tenere a bada questo avversario. Lo stesso dubito che riesca a fare Obama con i «falchi» del Pentagono e del Dipartimento di Stato. In politica, si sa, contano moltissimo le qualità morali e intellettuali, di cui l'attuale Presidente americano sembra scarseggiare.

  Perché il ruolo di Potenza imperiale (Derzhava) è "indispensabile alla [...] sopravvivenza" della Russia "come organismo politico sovrano" (pag.65)? La Russia non potrebbe continuare a esistere come "Media Potenza regionale"?

  Senta, per non farla tanto lunga, le ribalto la domanda. Gli Stati Uniti, la Cina, che sono Potenze imperiali a tutti gli effetti, non si potrebbero rassegnare a esistere come Media Potenza regionale? Se l'avvento delle magnifiche sorti e progressive della politica estera democratica è così tanto a cuore dell'amministrazione Obama allora dia per prima l'esempio: abdichi alla supremazia all'interno della NATO, smantelli le basi militari statunitensi che coprono la carta geografica del globo, rinunci alla sua egemonia economica e finanziaria mondiale, si limiti a perseguire il suo "destino manifesto" nello spazio che va dai confini del Canada a quelli del Messico. Non si può chiedere a un Impero di tornare a essere Nazione senza rischiare un'implosione interna e senza provocare una grave manomissione dell'equilibrio strategico globale. Non lo si può chiedere agli Stati Uniti e alla Cina, né tantomeno alla Russia che è nata come Impero e non è mai stata Nazione nell'accezione che la cultura storica e politica europea ha dato a questo vocabolo. Certo, c'è chi a Washington a Londra e forse anche a Bruxelles sogna di fare ritornare la Russia ai confini del Principato di Moscovia, ma mi lasci dire che se questo qualcuno esiste veramente è un pazzo o un criminale.

  Come giudica la proposta avanzata da Zbigniew Brzezinski relativa all'"utilizzazione del «modello finlandese» come possibile exit strategy del Cremlino, per disinnescare gli effetti esplosivi del cambio di fronte ucraino" (pag.26)?

  È una proposta che sa tanto di machiavellismo al ketchup. Dopo la seconda guerra mondiale per tutto il corso della Cold War, la Finlandia restò un Paese non allineato, estraneo sia al Patto di Varsavia sia alla NATO. Il non allineamento di Helsinki consentì di neutralizzare un pericoloso focolaio di tensione e permise alla Nazione finnica di realizzare un vero e proprio miracolo economico, che la portò a passare da Paese poco sviluppato, eminentemente agricolo, a Paese industriale, grazie ai buoni rapporti economici intrattenuti con Russia e Occidente. Certo, ora, Kiev potrebbe seguire questo esempio a suo vantaggio e disinnescare la crisi a vantaggio di tutti. Ma non è questo il «modello finlandese» cui pensa Brzezinski. Nel nuovo ordine europeo, la Finlandia è ormai parte integrante della zona euro, nonostante i tentativi d'infiltrazione economica di Mosca, si situa all'interno del nocciolo duro dell'UE e si appresta, insieme alla Svezia, a divenire membro della Nato. Coerentemente con questo scenario Brzezinski è arrivato a sostenere che la soluzione dell'attuale congiuntura poteva consistere nel favorire la nascita di un'Ucraina proiettata verso l'Occidente ma non ostile alla Russia. In questo modo l'Ucraina sarebbe stata sì «finlandizzata» ma dall'UE e dagli USA e non già da Mosca. L'obiettivo esplicito di questa proposta era quindi quello di bloccare lo sviluppo dell'Unione Economica Eurasiatica, confidando che l'esempio della scelta nazionale di Kiev fosse seguito dalle ex Repubbliche sovietiche del centro-Asia e potesse ritemprarne la resistenza contro i presunti tentativi russi di mutilarne progressivamente la sovranità.

 

9 giugno 2015

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