Giovanni Gentile, il filosofo del Fascismo. Intervista con A. James Gregor Stampa E-mail

Giovanni Gentile, il filosofo del Fascismo

Intervista con A. James Gregor

a cura di Francesco Algisi

 

gregor gentile  A. James Gregor (New York, 1929) è professore emerito di Scienza della Politica presso l'Università della California, Berkeley. Ha insegnato Filosofia, Scienze politiche e Strategie di Guerra in diverse Università, oltre che presso il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti e la Marine Corps University. Membro della scuola di Studi superiori in Scienze Sociali presso l'Università ebraica di Gerusalemme, è stato nominato Cavaliere dell'Ordine al Merito della Repubblica Italiana. È autore di oltre trenta volumi. In versione italiana sono stati pubblicati i seguenti: "L'ideologia del Fascismo" (Edizioni del Borghese, 1974); "Il Fascismo: interpretazioni e giudizi" (Volpe, 1976; Pellicani, 1997); "Sergio Panunzio: il sindacalismo e il fondamento razionale del Fascismo" (Volpe, 1978); "Roberto Michels e l'ideologia del fascismo" (Volpe, 1979); "Giovanni Gentile: il filosofo del Fascismo" (Pensa Multimedia, 2014). Sul tema affrontato in quest'ultimo saggio, abbiamo rivolto all'Autore alcune domande.

  Prof. Gregor, quali erano la "giustificazione", il "fondamento logico" (pag.31) e la "coscienza" (pag.174) che Giovanni Gentile fornì al Fascismo?

  Ciò che Giovanni Gentile fornì al Fascismo con la sua "logica", la sua "coscienza", e la sua "giustificazione" deriva dal carattere della sua epistemologia (e forse dalla sua metafisica). Gentile era convinto che la realtà mostrasse tutte le proprietà della mente, dello spirito e/o della coscienza: la scelta, la razionalità, la libertà. Egli credeva che noi, come comunità e come individui, fossimo (in un certo senso ultimo) responsabili per il mondo. Vedeva il mondo come una nostra creazione. (Era un immanentista: non siamo noi nel mondo, il mondo è dentro di noi.) Si oppose all'idea che ci troviamo in un mondo "esterno" finito - con oggetti materiali a noi contrapposti. Invece, pensava che il mondo fosse un prodotto della nostra coscienza collettiva e individuale. Abbiamo costruito la realtà accettando o rifiutando ciò che ci è stato insegnato (a partire dalle regole di prova, per esempio). Un tempo ci veniva insegnato che la terra era piatta, e lo accettammo. Ora riteniamo che sia una sfera - con la stessa fiducia (in parte perché abbiamo ampiamente accettato regole rigorosamente scientifiche delle prove). Diciamo di "scoprire" la realtà esterna - ma noi non "scopriamo" come gli esploratori scoprono gli oggetti. Accettiamo o rifiutiamo ciò che abbiamo imparato - i criteri di verità, per esempio - attraverso una decisione consapevole, un atto di volontà - e così modelliamo il mondo e ogni cosa in esso. In effetti, siamo in ultima analisi responsabili per il mondo in cui viviamo. (Piuttosto che cercare di definire la filosofia di base gentiliana in poche battute, suggerisco ai lettori di leggere la "Teoria generale dello Spirito come Atto Puro" di Gentile.) Questo tipo di concezione del mondo e della nostra funzione in esso ci rende, individualmente e separatamente, responsabili. Viviamo in un universo intensamente morale. Dobbiamo essere responsabili, disposti e preparati al sacrificio per la creazione di un mondo che soddisfi la nostra sensibilità morale. La questione fondamentale è: che tipo di mondo vorremmo creare per noi e i nostri figli? Gentile ci offre alcune linee-guida negli articoli che scrisse alla fine della Grande Guerra. (Si vedano, per esempio, "Dopo la vittoria" e alcuni degli articoli che pubblicò sulla stampa nazionalista subito dopo la fine della guerra.) Una volta che accettiamo le nostre responsabilità, ci impegniamo a operare e ad adempiere ai nostri doveri. Per Gentile, la responsabilità dei cittadini è quella di operare per la restaurazione della grandezza della loro comunità - che sarebbe parte del processo di autorealizzazione. La sua visione di un'Italia futura trascendeva quella presente – l'"Italietta" del suo tempo. Sarebbe stata un'Italia priva di quel senso di inferiorità derivante dalle umiliazioni subite dalle "Grandi Potenze". Prefigurò la sua Italia futura come una nazione potente - eccezionale nelle sue prospettive -, una "Terza Roma", popolata da una "Nuova Umanità" educata ai doveri morali. L'Italia da lui prefigurata sarebbe stata un'Italia industrializzata, capace di proiettare la sua influenza nel mondo. Per realizzare tutto questo, gli Italiani avrebbero dovuto essere pronti al sacrificio, al lavoro, e alla realizzazione di sé. Tutto ciò deriva dalla convinzione che siamo responsabili per il mondo in cui viviamo - e che lasceremo ai nostri figli. Gentile vide l'educazione come strumento principale per la trasformazione degli Italiani (si veda il suo "La riforma dell'educazione"). Auspicò tutto questo prima dell'avvento del Fascismo. Fu, in effetti, un fascista prima che ci fosse il Fascismo.

  Come vanno intese le convinzioni "totalitarie" (pag.56) di Gentile?

  Poiché era un immanentista, Gentile concepiva la società non come distinta dall'uomo, ma come una realtà allo stesso immanente - in interiore homine. Non siamo noi nella società, la società è dentro di noi. Chiarito questo punto, ci rendiamo conto che noi e la società siamo una sola realtà - siamo una "totalità"; la vera natura dell'umanità è totalitaria. Impariamo gli uni dagli altri; se i nostri progetti non sono formule vuote, dobbiamo realizzarli insieme; dobbiamo creare un'unione di intenti e superare le differenze. Dobbiamo creare un'unione coesa. Questo sarebbe stato realizzato attraverso un'educazione paziente, ma severa. (Si veda l'intera discussione in "Genesi e Struttura della Società".) Una simile comunità totalitaria - in cui la comunità e l'individuo sono una realtà unica - può trovare la propria espressione in un solo uomo (che Roberto Michels definì "carismatico"). Gentile vide l'individuo e lo Stato come una realtà sola – un'unione di fedi, sentimenti e aspirazioni - che possono trovare la propria espressione in un Capo.

  Perché ritiene "singolare" (pag.136) il carattere del totalitarismo gentiliano?

  Conosciamo tutti la storia dei "totalitarismi": quella della Germania di Hitler, dell'Unione Sovietica di Stalin, della Cina di Mao, e della Cambogia di Pol Pot. L'unità è stata conquistata con la violenza. Il numero delle vittime è stato spaventoso. Gentile non vide la violenza come strumento per raggiungere l'unità in una comunità e la storia dell'Italia fascista, per quanto immorale e violenta, non conobbe i crimini di Hitler, Stalin, Mao o Pol Pot. (C'era un passo dove citò il manganello come uno "strumento morale", ma la sua storia personale fu molto più liberale). Cercò di convincere, piuttosto che costringere, i suoi avversari (e il giorno del suo assassinio stava per ottenere il perdono delle autorità per l'antifascismo di alcuni figure universitarie). Si oppose strenuamente a quelli che vedeva come avversari filosofici e politici, ma la violenza repressiva era estranea al suo modo di pensare.

  Qual è il rapporto di Gentile con il liberalismo (cfr. pag.75)? È d'accordo con chi ritiene che in origine Gentile fosse liberale?

  Il termine "liberalismo" ha assunto svariati significati. Gentile si oppose a quel liberalismo che vedeva la società come il prodotto di un contratto sociale, un accordo tra gli individui. Gentile vedeva gli esseri umani come intrinsecamente sociali. Nel XIX secolo ci furono alcune forme di liberalismo che concepivano la realtà umana come intrinsecamente sociale (la "teoria dei sentimenti morali" di Adam Smith e la "psicologia sociale" di Darwin). Nel XX secolo, il liberalismo è diventato decisamente individualistico e le comunità sono state viste esclusivamente come il risultato di accordi tra individui (alla stregua di Hobbes, Locke, Hume, per esempio).

  Qual è l'"eredità del pensiero hegeliano" condivisa sia dal marxismo sia dal Fascismo (pag.105)?

  Hegel intese gli esseri umani come "esseri collettivi". Marx accolse tale concetto e vide ogni uomo come una "Gemeinwesen", una comunità. Gentile e molti intellettuali fascisti similmente concepivano gli esseri umani come "sociali" - che trovano nella società una parte inalienabile della loro essenza distintiva.

  Qual è il "significativo senso morale" che portava l'attualismo ad anteporre la comunità all'individuo (pag.107)?

  Per Gentile, la comunità era l'essenza della persona. Egli riteneva che l'individuo anomico, antisociale fosse incapace di giungere all'autorealizzazione. Poiché il nostro dovere morale è quello di autorealizzarci (sii uomo), sarebbe immorale se agissimo in modo asociale.

  Come va interpretata la definizione di "movimento religioso" attribuita da Gentile al proprio idealismo (cfr. pag.119 n.68)?

  Un movimento il cui principale scopo è quello di fornire una visione morale come guida della vita umana - la cui essenza è di insegnare la virtù all'umanità - è essenzialmente religioso.

  L'attualismo è compatibile con la religione cattolica?

  Gentile chiaramente pensava di sì. Si veda il suo saggio, "La mia religione", scritto nel 1943. Altrettanto chiaramente, il Vaticano non la pensava allo stesso modo. E scelse di mettere le sue opere all'Indice come "eretiche". Tuttavia, il Vaticano permise che le spoglie mortali di Gentile trovassero sepoltura in terra consacrata (come di solito avviene per i cattolici "in regola").

  Quali aspetti rendevano il Regime fascista la "variante inconfondibile dello Stato gentiliano neo-hegeliano" (pag.123)?

  Nel 1929, la giustificazione filosofica del Fascismo era chiaramente gentiliana. Mentre la "Dottrina del fascismo" ufficiale venne firmata da Mussolini, la prima parte, quella che conteneva i postulati filosofici, venne redatta interamente da Gentile. Mussolini vi apportò solo lievi modifiche editoriali.

  Quale ruolo esercitava il legame etnico (cfr. pag.125) nell'idea di nazione propria del Fascismo gentiliano?

  Per Gentile, il termine "etnico" aveva solo un riflesso culturale. Esso non conteneva alcun significato biologico. Gentile non attribuì alla biologia (razza) alcuna influenza specifica sulla storia di una nazione. Concepiva solo un'influenza spirituale, cioè non materiale, nel dominio del comportamento umano.

  Quale ruolo era assegnato alla Chiesa cattolica nello Stato gentiliano (cfr. pag.136)?

  La Chiesa era una componente della nazione - in linea di principio, non poteva porsi in opposizione alla nazione. Gentile vedeva la Chiesa come una parte inestricabile della comunità nazionale. Non posso aggiungere altro con sicurezza su questo tema perché non conosco alcuna discussione specifica di Gentile sulla questione. Ci sono molte osservazioni pertinenti nei suoi "Discorsi di religione", ma ho difficoltà a dare una risposta definitiva all'interessante quesito che mi ha posto.

  Sergio Panunzio – si legge a pag.138 – era "in disaccordo politico con l'attualismo". Come si concilia questo con il fatto che la sua "teoria generale del fascismo" era "inevitabilmente attualista" (pag.139) sul piano dei "suoi fondamentali principi filosofici"?

  È chiaro che Sergio Panunzio e Gentile ebbero disaccordi personali - di cui non conosco l'origine e le cause - ma erano fondamentalmente d'accordo nel ritenere che la base della filosofia politica fascista dovesse essere neohegeliana. Panunzio convenne che solo un fondamento idealista avrebbe potuto sostenere lo "Stato etico".

  Era fondata l'accusa di "collettivismo" che Guido Cavalucci mosse nel 1933 contro l'attualismo e a difesa del liberalismo (cfr. pag.141)?

  Senza dubbio. L'attualismo di Gentile era neohegeliano, fondamentalmente collettivistico, ostile all'individualismo, cioè all'anti-collettivismo, del liberalismo politico.

  Quali sono le "legittime critiche filosofiche" (pag.144) che possono essere mosse verso l'attualismo?

  L'attualismo, come ogni sistema filosofico, è suscettibile di critiche su una varietà di aspetti filosofici. Per esempio, se l'attualismo sostiene che noi, come singoli esseri coscienti, creiamo il nostro mondo, allora esso può essere inteso come una forma di solipsismo, soggettivismo estremo, in cui l'individuo esiste, come in un sogno, limitato esclusivamente a se stesso - senza essere mai veramente parte di una comunità. L'attualismo diventa una filosofia dell'assurdo. (Gentile discute questo tema in diverse opere, poiché l'obiezione gli era nota). Altri hanno criticato l'attualismo insistendo sul fatto che il mondo (e il Fascismo come parte del mondo) è sempre in movimento e mai finito. Come si fa a impegnarsi per qualcosa che è in continuo cambiamento, con proprietà non permanenti? Come possiamo prefigurare gli sviluppi futuri? La risposta di Gentile è che dobbiamo costantemente operare per costruire il nostro futuro. Gentile pensava che la dimensione infinita del mondo esterno fosse tale da permetterci di anteporre lo scopo morale alla convenienza e all'interesse personale.

  Che cos'è la "morale formalistica" dell'attualismo di cui si legge a pag.160?

  Quando la guerra del 1939-1945 si rivelò catastrofica per l'Italia, molti Italiani cominciarono a percepire come semplicemente formali i concetti di "dovere", "onore", "lotta" e "obbedienza"; essi desideravano che l'Italia si "radicalizzasse" – sull'esempio tedesco (Julius Evola, tra gli altri, aveva auspicato un tale cambiamento nel corso del Regime).

  Quali elementi validi trovò Gentile nel pensiero di Baruch Spinoza (cfr. pag.166)?

  Gentile inserì Spinoza nella tradizione idealista e nella catena dei pensatori che contribuirono all'evoluzione del neoidealismo italiano. Spinoza era un immanentista - vedeva tutti noi come una realtà sola con Dio (Gentile, parimenti immanentista, vedeva Dio come un tutt'uno con noi. Per questo, la Chiesa considerava Gentile censurabile come panteista). Gentile era così convinto dell'importanza del ruolo di Spinoza nella storia dell'idealismo che parlò in sua difesa, anche quando gli intellettuali del Regime si opponevano a Spinoza in quanto esponente della filosofia "ebraica". Durante gli ultimi mesi della guerra, Gentile difese Spinoza con un notevole rischio personale.

  Quando e in che modo si allontanò, nella pratica, il Regime fascista dagli ideali gentiliani (cfr. pag.174)?

  Un fatto è evidente: Gentile rifiutò di accogliere le differenze biologiche come significative. Rigettò ogni riferimento alla razza, per esempio, come filosoficamente (quindi storicamente) importante. Quando il Regime decise di assumere una posizione antiebraica, Gentile continuò a difendere i suoi studenti e colleghi ebrei. Non fece pubbliche proteste perché da sempre credeva di dover cambiare lo Stato dall'interno, piuttosto che come un critico esterno. Egli non esitò a offrire posti di lavoro ai colleghi ebrei per un certo tempo dopo l'introduzione della legislazione antiebraica. Difese i filosofi ebrei nella storia della filosofia. Non era affatto entusiasta dell'alleanza con la Germania nazionalsocialista e non fu un sostenitore del coinvolgimento dell'Italia nella Seconda guerra mondiale come alleata della Germania di Hitler. (Durante la Grande Guerra, invece, Gentile fu un ardente sostenitore della partecipazione dell'Italia come alleata dell'Intesa.) Mentre non si oppose mai apertamente all'alleanza con i Tedeschi, non fece nulla per sostenerla. Quando il Regime (nel tentativo apparente di ingraziarsi la Germania razzista) promosse la sua visione di un "razzismo fascista", Gentile, in qualità di intellettuale di spicco, non vi prese parte. Non pubblicò nulla sulla "Difesa della razza", la rivista semi-ufficiale sostenitrice di una sorta di razzismo fascista. Rimase fedele al Regime, perché era convinto che solo con il Regime la sua idea di una "Grande Italia" avrebbe potuto sopravvivere.

  Lei scrive che Gentile fornì al "collettivismo fascista" la "questione etica" (pag.179), che invece mancava al collettivismo marxista. Che cosa significa?

  Il collettivismo di Gentile si basava sulla volontaria e consapevole adesione delle persone. Egli rifiutò di sostenere l'uso della violenza per raggiungere l'uniformità politica. Questa non è la sede per esaminare le violazioni evidenti, in pratica, dei principi di Gentile compiute dal Regime. Ciò che è in questione qui è la ragione dell'obbedienza. Gentile fornì i principi che hanno reso immorali la violenza e la coercizione (allora come oggi). Fornì una coscienza che il Regime violò a proprie spese. È ovvio, naturalmente, che tutti i sistemi politici violano quelli che sono generalmente accettati come principi morali in un dato momento o nell'altro, per una ragione o per l'altra. La differenza è che alcuni sistemi politici hanno una logica morale per il loro agire e altri no. Così, Hitler sostenne il suo sistema morale (una sorta di darwinismo sociale rinvenibile nel suo "Mein Kampf") fondato sul bene pubblico che avrebbe comportato la distruzione di coloro che non potevano o non volevano conformarvisi (taluni per ragioni biologiche su cui non avevano alcun controllo). I marxisti, a loro volta, non hanno mai avuto una logica relativa all'obbedienza politica. Marx riteneva che i principi morali fossero semplicemente sottoprodotti del sistema economico esistente – per cui gli individui non potrebbero essere ritenuti responsabili. Egli credeva che l'obbedienza politica si sarebbe spontaneamente creata in qualche modo come un "riflesso" del sistema produttivo. Lenin, senza rimorsi, sarebbe stato, come fu, un sostenitore di purghe omicide per ottenere l'obbedienza politica. Il suo pensiero non era in contrasto con i principi marxisti - perché né Marx né Engels sostennero principi morali particolari. Conseguenza di tutto ciò è che il numero dei prigionieri politici giustiziati in Italia impallidisce se paragonato a quello di altri sistemi totalitari (il periodo della Repubblica sociale, con la pesante influenza germanica, dovrebbe essere considerato separatamente). Niente di tutto questo può essere assunto come scusante per qualsiasi sistema politico che compia omicidi di massa dei propri cittadini. La preoccupazione, qui, è la giustificazione morale impiegata in ogni istanza.

  Il filosofo Emanuele Severino ha affermato che "non era Gentile a essere fascista, ma il fascismo a tentar di essere gentiliano" (cfr. "Il Fatto quotidiano" del 17 dicembre 2013). Che cosa ne pensa?

  Non conosco l'intervista a Emanuele Severino cui fa riferimento, ma se ho inteso la citazione riportata, è perfettamente vera. Credo che Gentile stesso sarebbe d'accordo. Sono convinto che ci furono molti fascisti che videro il loro sistema come un tentativo di realizzare le elevate istanze dell'attualismo. So che molti erano profondamente delusi. Gentile sapeva che il Regime non soddisfaceva i presupposti filosofici che aveva fissato. Lo difese per la fedeltà alla sua visione dell'Italia futura e per la sua personale lealtà a Mussolini. Pagò con la vita la sua decisione.

  Quali elementi la inducono a scrivere che il Fascismo, "in qualsiasi modo venga inteso, è più probabile trovarlo nella Cina "comunista", che nelle industrializzate Europa o Nord America" (pag.21)?

  Pensiamo alla Repubblica popolare cinese di oggi. Con la scomparsa di Mao Zedong, i Cinesi hanno effettivamente abbandonato ogni traccia di marxismo. Con Deng Xiaoping si sono impegnati a fare ancora una volta della Cina l'"Impero di mezzo" - la potenza egemone in Asia. La Cina non è più "il malato d'Asia". I Cinesi sono stati chiamati a lavorare, obbedire e sacrificarsi per la loro Patria. La proprietà privata è stata ripristinata (sempre sotto il controllo del Partito) perché sostiene in modo più efficace la rapida industrializzazione di quella che era stata un'economia sottosviluppata (anche sotto Mao). Le differenze di reddito sono permesse purché contribuiscano a realizzare i fini dello Stato. Il lavoro è controllato dal Partito, e gli scioperi, in generale, sono vietati. I dirigenti del Partito rivestono uno status speciale: sono diventati i "carismatici" del sistema. Se visita la Cina di oggi, troverà orgoglio dove un tempo c'era umiliazione. Lo Stato controlla l'educazione e promuove il patriottismo, così come i progressi tecnologici che hanno trasformato la società cinese e fatto del suo esercito una forza riconosciuta dalle "Grandi Potenze". Parate militari e bandiere spiegate spronano la popolazione. I successi passati della Cina sono esaltati ed entusiasmano i giovani. Una visione del futuro è trasmessa ai giovani attraverso l'educazione generale e la propaganda del partito. Pechino sostiene il ritorno alla madrepatria dei "territori perduti". L'irredentismo è uno dei motivi più presenti nella politica estera della nuova Cina. Il sistema mostra, semmai, pochi tratti che potrebbero essere facilmente identificati come "marxisti". Per molti, la politica della Cina contemporanea ricorda il Fascismo europeo. È inimmaginabile che un sistema simile possa emergere in qualcuno dei principali Paesi industrializzati – se non come conseguenza di una catastrofe senza precedenti.


8 aprile 2015

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