Giorgio Manganelli
Lettere familiari Con un testo di Giorgio Vasta
Edizioni Nottetempo, pagg.288, € 18,50
Nel fitto intreccio di scrittura e biografia che attraversa tutta l'opera di Giorgio Manganelli, "Lettere familiari" si configura come un documento letterario di eccezionale densità affettiva e intellettuale, capace di rivelare un volto meno noto, se non addirittura celato, dello scrittore milanese. Edito per i tipi di Nottetempo, il volume raccoglie una selezione di lettere private, in gran parte inedite, che Manganelli indirizzò nell'arco della vita ai membri più prossimi della propria cerchia affettiva – la madre, la figlia, l'ex moglie, talvolta amici stretti – dischiudendo al lettore l'intimità di un'esperienza vissuta, registrata attraverso una lingua che non rinuncia mai alla propria complessità stilistica.
Il titolo del volume richiama immediatamente un doppio registro: da un lato, la sfera domestica e relazionale, dall'altro l'eco di un genere canonico – le epistulae familiares – che nella tradizione umanistica funge da veicolo per riflessioni morali e culturali, pur mantenendo una patina di quotidianità. In questa oscillazione tra il privato e il letterario si inscrive il progetto editoriale, che ha il merito di offrire al lettore contemporaneo un accesso inedito alla voce manganelliana. Non si tratta semplicemente di un "corpus" documentario, ma di una raccolta che rende visibile l'attrito tra il ruolo pubblico dell'autore e le sue dinamiche interiori, tra la maschera dell'ironia corrosiva e i tremori della solitudine.
La scrittura epistolare diventa così strumento di investigazione del sé, nonché di elaborazione affettiva: uno spazio in cui l'autore si abbandona, si esibisce, si protegge e si espone, procedendo per flussi verbali tanto controllati quanto emotivamente saturi. La lingua manganelliana, anche nella comunicazione privata, resta una lingua di tensione e ambivalenza, costantemente in bilico tra la lucidità analitica e il barlume del delirio.
La specificità delle "Lettere familiari" emerge con particolare forza nella cura con cui Manganelli sa trasfigurare le minuzie del quotidiano in materia verbale incandescente. Eventi apparentemente marginali – un malessere fisico, una preoccupazione per la figlia, un disguido domestico – vengono elaborati come sintomi, segnali attraverso cui l'autore articola una poetica del frammento e della vulnerabilità. In ciò, l'epistolario si avvicina alla scrittura diaristica, ma ne conserva la natura dialogica: ogni lettera presuppone un destinatario concreto, e questo vincolo relazionale modula la densità del discorso, alternando momenti di trasparenza affettiva a fasi di opacità e torsione linguistica.
Manganelli non rinuncia alla propria idiosincratica arte dell'iperbole, né all'ossessivo gioco di sovrapposizione tra significante e significato, ma la tensione barocca della sua prosa si misura qui con la tenerezza, la perdita, la malattia, e soprattutto con la morte, che – come scrive Giorgio Vasta nel denso testo di accompagnamento – "smaglia il tempo", producendo uno strappo che la scrittura tenta invano di ricucire.
L'apparato introduttivo e critico firmato da Giorgio Vasta non si limita a contestualizzare le lettere, ma funge da vera e propria soglia interpretativa. Vasta legge Manganelli "intromettendosi tra i bisbigli degli innamorati o dei fratelli", ovvero assumendo una postura ermeneutica discreta, partecipe, quasi medianica. La sua è una scrittura che non descrive ma evoca, non analizza ma entra in risonanza con il ritmo interno dell'opera, seguendone le vibrazioni emotive.
L'effetto complessivo è quello di un commento che non appesantisce il testo originario, ma lo dilata, lasciando emergere il senso profondo di un epistolario che non è solo testimonianza, ma anche performance del sentire. L'approccio di Vasta, affine per sensibilità al Manganelli scrittore di "labirinti" e "segni", restituisce dignità letteraria al documento personale, evitandone ogni riduzione a reliquia biografica.
Le "Lettere familiari" vanno lette come una soglia tra generi, ma anche tra registri dell'esistenza. Vi si ritrovano molti dei tratti distintivi della scrittura manganelliana – la predilezione per l'ossimoro, l'incedere arguto, l'immaginazione come esercizio di evasione e difesa – ma filtrati da una vulnerabilità che raramente emerge con altrettanta chiarezza nelle opere maggiori. La dimensione privata non attenua l'ambizione letteraria; piuttosto, la orienta verso nuovi territori, dove la soggettività si fa documento incarnato, terreno di sperimentazione formale e affettiva.
In un'epoca in cui la narrazione dell'intimità è spesso ridotta a esibizione o confessione, questo libro si impone come un esempio alto di come la scrittura possa restituire la complessità del vivere senza cedimenti al sentimentalismo. Non è un caso che proprio la morte, tema pervasivo e ineludibile, appaia come il punto di massima densità: il momento in cui la parola, pur nella sua impotenza, tenta il gesto impossibile della consolazione.
Il volume illumina un aspetto meno frequentato del grande prosatore, restituendo un'immagine più intima, ma non meno intellettualmente vibrante, del suo percorso. L'intervento di Giorgio Vasta ne esalta il valore senza sovrapporsi, tracciando un sentiero ermeneutico che è insieme affettuoso e rigoroso. Un libro che interroga le dinamiche del legame e della perdita, della parola e del silenzio, offrendosi come oggetto di studio e, al contempo, come esperienza estetica e affettiva di rara profondità.
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