Umberto Vincenti
21 aprile 753 La fondazione immaginata
Rogas Edizioni, pagg.154, € 16,70
Nel saggio "21 aprile 753. La fondazione immaginata", Umberto Vincenti prosegue il suo percorso di indagine sulle origini di Roma, intrecciando storia, mito e diritto in un'opera che si distingue per rigore metodologico e profondità analitica. Il volume, pubblicato da Rogas, si inserisce in una trilogia ideale che comprende "Il Palatino e il segreto del potere" (2022) e "I primi Romani" (2023), con i quali condivide un impianto interdisciplinare e una spiccata attenzione per la costruzione simbolica del potere nelle prime fasi della civiltà romana.
Vincenti affronta in questo libro uno dei topos più sedimentati della cultura occidentale: la fondazione di Roma da parte di Romolo il 21 aprile del 753 a. C., data che la tradizione annalistica e antica ha tramandato con inflessibile precisione. Ma è proprio su questa precisione, e sulle sue implicazioni ideologiche, che si esercita la critica dell'autore. L'obiettivo non è tanto quello di confutare l'evento fondativo in quanto tale, quanto di decostruire il racconto che lo ha modellato nel tempo, riconoscendone la natura eminentemente politica e performativa.
Attraverso una disamina serrata delle fonti letterarie (Livio, Plutarco, Dionigi di Alicarnasso, Varrone) e archeologiche, Vincenti indaga non la verità storica della fondazione, bensì il momento e il contesto in cui l'idea stessa di una fondazione precisa e databile è stata concepita. La tesi centrale del libro è che il racconto del 21 aprile sia il prodotto di un processo di elaborazione culturale e politica, in cui l'autorità romana — tanto in epoca monarchica quanto repubblicana e imperiale — ha proiettato sul passato le proprie esigenze di legittimazione e continuità.
In questa prospettiva, Romolo appare meno come figura storica e più come costrutto mitico-funzionale: un uomo di potere immaginato, al quale attribuire ex post una missione sacrale e una autorità indiscussa. Non è un caso che la narrazione si faccia via via più articolata e dettagliata proprio nei momenti in cui Roma ha bisogno di consolidare la propria immagine di città eterna, dotata di un imperium sine fine assegnatole dagli dèi.
Vincenti esplora con attenzione le modalità narrative con cui la fondazione è stata plasmata, rivelando come il mito sia servito a stabilire una sorta di "costituzione simbolica" della città. L'apparato concettuale del libro si avvale, in tal senso, di un lessico giuridico-politico preciso ma mai eccessivamente tecnico, che consente una lettura accessibile anche al pubblico accademico non specialistico. L'autore riesce a coniugare l'analisi delle istituzioni con l'indagine storica della mentalità collettiva, rendendo evidente quanto l'identità di Roma si sia costruita attorno a un racconto fabbricato, reiterato e continuamente adattato ai mutamenti del potere.
Un ulteriore merito dell'opera risiede nella sua capacità di collocare il mito fondativo romano all'interno di una più ampia riflessione comparativa sulle narrazioni delle origini in altre culture antiche. Senza mai indulgere in facili analogie, Vincenti accenna a parallelismi significativi con i modelli greci, mesopotamici e biblici, suggerendo che la costruzione della memoria fondativa sia un tratto ricorrente nei processi di statualizzazione e di legittimazione politica.
Il testo è corredato da un apparato critico accurato, che include un ricco repertorio di citazioni, un indice delle fonti e una bibliografia essenziale ma ben calibrata. La scrittura, asciutta ma intensa, riflette la consolidata esperienza dell'autore come giurista e storico delle istituzioni, capace di valorizzare tanto l'esegesi puntuale quanto le implicazioni più ampie della materia trattata.
"21 aprile 753. La fondazione immaginata" si propone, dunque, come un'opera di sintesi e di rilancio. Sintesi, perché raccoglie e sistematizza le riflessioni che Vincenti ha sviluppato in anni di studio sulle origini della civiltà romana. Rilancio, perché propone una prospettiva nuova, in cui la fondazione di Roma non è un dato da accettare passivamente, ma un dispositivo ideologico da interrogare criticamente. Questo approccio rende il libro non solo un contributo significativo alla romanistica, ma anche un esempio virtuoso di come la storia del diritto possa dialogare proficuamente con l'antropologia, la filologia e la teoria politica.
|