Il Fascismo di sinistra. Intervista con Ivan Buttignon Stampa E-mail

Il Fascismo di sinistra. Intervista con Ivan Buttignon

a cura di Francesco Algisi

 

buttignon_compagno-duce.jpg  Nato nel 1977, Ivan Buttignon è collaboratore didattico e cultore di Storia contemporanea presso l'Università di Trieste e assistente e ricercatore di Storia delle comunicazioni di massa presso l'università di Udine.  Particolarmente interessato al Ventennio mussoliniano, è autore di apprezzati saggi monografici, tra i quali: Garibaldi e la croce celtica, Il ruolo totalitario delle riviste bibliografiche nel ventennio fascista e Le influenze culturali del Governo Militare Alleato negli anni 1945-1954. Di Ivan Buttignon è recentemente uscito, per i tipi di Hobby & Work, Compagno Duce, un saggio divulgativo dedicato alla storia del Fascismo di sinistra. Riguardo al tema sviluppato in quest’ultimo volume, abbiamo rivolto alcune domande all’Autore.

  Dottor Buttignon, quale influenza esercitò la corrente di sinistra del Fascismo durante il Ventennio?

  La natura dell’influenza è anzitutto politica, nel senso che le varie fazioni di sinistra cercano di ispirare, e a volte persino suggestionare, il Duce. Chiedono, attraverso vari canali (colloqui diretti, lettere, articoli) più giustizia sociale, più decisione nella lotta contro i parassiti sociali (identificati poi nei “borghesi”), più sensibilità verso le tematiche ambientali, giungendo talvolta a disegnare e proporre una nuova civiltà rurale.
  In secondo luogo, l’influenza può dirsi culturale. La sinistra si esprime precipuamente attraverso correnti culturali atte a reclutare giovani leve. Pensiamo a quelle letterarie di “Strapaese” e “Stracittà”. Un caso a parte, e più generale, è quello delle riviste gufine, definite spesso seminari fisiologicamente di sinistra.

  Lei scrive che il Fascismo rivoluzionario è “spiritualistico”. Che cosa significa?

  Il Fascismo rivoluzionario è un fenomeno indubbiamente complesso. Parlo infatti di “macrocomponente”, perché eterogenea al suo interno. Ma una caratteristica comune ai gruppi che le compongono è proprio quella della spiritualità. Vale a dire che il loro pensiero è tendenzialmente astratto, utopistico, protratto verso un futuro idealistico e scandito da venature quasi mistiche. Anche i desiderata più concreti, come possono essere quelli ecologisti, sociali, antiborghesi, poggiano sulla fede in valori quasi religiosi.

  Tra i fascisti di sinistra si può annoverare anche il Federale di Milano Mario Giampaoli?

  Questa domanda mi permette di trattare, seppur brevemente, un argomento a me caro, omesso per questioni di economia di spazi. Mario Giampaoli rappresenta un uomo del Fascismo delle origini, quindi di sinistra. Assieme a molti altri ma forse più di tutti, cerca di garantire un margine di continuità tra ideali sansepolcristi e politiche fasciste. Viene rimosso assieme ad altri gerarchi “dissidenti” (proprio perché più che mai fascisti) del calibro di Leandro Arpinati. Giampaoli, secondo l’imputazione, condurrebbe una vita eccessivamente agiata e decorosa. L’”amico degli operai” è così accusato di essere un dissipatore. Nessuno ci crede ma il repulisti prosegue indisturbato.

  Un capitolo del libro s’intitola “A Mosca! A Mosca!”. Chi erano i fascisti che nutrivano simpatie per la Russia bolscevica?

  Romano Bilenchi e Marcello Gallian, come certa parte dell’universo intellettuale fascista, tradiscono simpatie per l’Unione Sovietica. Anche alti gerarchi come Alessandro Pavolini e Giuseppe Bottai dimostrano di parteggiare per la dittatura bolscevica, vista come un potenziale e utile alleato. Secondo questa “corrente”, la rivoluzione rossa e quella nera rappresentano le due facce di una stessa medaglia. Sono manifestazioni di un unico spirito rivoluzionario. Preciso però che il comunista, e precisamente leninista viscerale, Nicola Bombacci avversa Stalin. Lo considera un traditore della linea leninista, quella realmente rivoluzionaria. La storia dimostra che quanto sostenuto da Bombacci ha un certo fondamento. Banalizzo per semplificare, la relativa tregua sociale raggiunta con la N.E.P. assomiglia, almeno in parte, a quella che va concretizzandosi in Italia tra il ’25 e il ’38.

  Vi era tra gli intellettuali fascisti chi espresse esplicita ammirazione per la figura di Stalin?

  Direi che nell’orbita fascista i simpatizzanti di Stalin non mancano. Renzo Bretoni, per esempio, pubblica Il trionfo del fascismo nell’Urss, con uno Stalin che saluta romanamente in copertina. Lo stesso Duce segnala ed elogia pubblicamente il volume. Felice Chilanti, fervido fascista prima e convinto comunista poi, saluta con favore l’accordo Hitler-Stalin. Nel suo articolo Stalin contro la democrazia registra un apprezzabilissimo processo di avvicinamento della politica staliniana a quella mussoliniana. Uscendo dai ranghi fascisti, aggiungo che lo stesso Hitler dimostra una profonda stima per il dittatore sovietico, come ben evidenzia John Lukasc nella sua biografia sul Fuehrer.

  Quali affinità ideologiche ravvisavano i fascisti di sinistra tra l’Italia e la Russia?

  Bolscevismo e fascismo sono considerati parimenti il logico sviluppo di un rifiuto del capitalismo e del parlamentarismo. Siamo negli anni Trenta: l’odio fascista è tutto diretto verso la classe liberale, quindi moderati e borghesia. Non anche il socialismo, ormai dissolto e quindi percepito come meno nemico e meno lontano. Il comunismo è interpretato, in molti casi, quale superamento del socialismo, e per questo fratello del fascismo. Non mancano comunque le critiche mosse da sinistra, che vedono nell’Urss un incompleto (e perciò insufficiente) tentativo di rivoluzione anticapitalista.

  Auspicavano un’alleanza tra i due Paesi?

  Come ho già indicato, un’alleanza tra i due regimi è auspicata da molti, anche all’esterno della compagine di sinistra. Questo perché le risorse minerarie dell’Unione sovietica stuzzicano anche la grande industria. Diversi industriali, infatti, giungono a ripensare la pregiudiziale comunista in vista di un’alleanza seppur solo economica.
  Infine mi piace ricordare come sin dai primi anni Quaranta la sinistra fascista preme per una pace separata con l’Urss; la destra propone lo stesso con gli Alleati. Il Duce ascolta i primi e cerca insistentemente di convincere Hitler a firmare una pace separata con l’Urss.

  Come accolsero la partecipazione italiana all’Operazione Barbarossa?

  Implicitamente, ho appena risposto. La sinistra fascista è contraria all’intervento dell’Italia in Unione sovietica. Una volta scoppiato chiederà l’immediato abbandono di quel fronte. I volontari – ora sappiamo che in realtà non lo sono mai stati – raggiungono la terra straniera male equipaggiati e poco vestiti; esemplari le scarpe di cartone. La guerra è subito vista come assurda perché mossa contro un potenziale alleato, ma anche ingiusta e iniqua nei confronti degli stessi “volontari”.
  Sarebbe interessante conoscere la reazione degli intellettuali italiani a fronte dell’aggressione tedesca in territorio russo. Il materiale che ho trovato in questo senso è, per ovvi motivi, decisamente scarso.

  La dirigenza sovietica approvò – o addirittura ispirò – l’appello ai “fratelli in camicia nera” lanciato dal PCI nel 1936?

  L’appello ha un precedente, quello del ’19. Le premesse programmatiche sono anche precedenti e si ravvisano nella sintesi nazional-popolare gramsciana.  Togliatti considera il fascismo un “regime reazionario di massa”. Secondo la strategia togliattiana, ogni massa, seppur fascista, è soggetta a iniziative politiche del Partito comunista. Ecco quindi che su “Lo Stato operaio” del luglio ’36 compare un editoriale intitolato “Largo ai giovani” (slogan fascista) in cui si elogiano i giovani littori per il loro “anticapitalismo, per quanto vago e contraddittorio”. Secondo l’articolo ciò è sintomo di una nuova coscienza che nella società italiana sta maturando. E infatti il mese successivo sullo stesso foglio Togliatti lancia il leggendario appello ai “fratelli in camicia nera” sotto forma di articolo intitolato “Per la salvezza dell’Italia riconciliazione del popolo italiano”. Voglio notare che siamo nel ’36, nel pieno consenso del regime. Ciò che interessa è che l’autore del richiamo indica il Risorgimento e il mito nazionale quali orizzonti ideali imprescindibili.  È proprio questo lo snodo della questione. Sappiamo che la direzione sovietica mal sopporta la soluzione più volte ipotizzata dai comunisti italiani della “via italiana al socialismo”. Ai sovietici non piace un partito autonomo e padrone a casa sua. Ogni documento sovietico che riguardi l’Italia lo conferma.  Credo quindi che sia azzardato sostenere quanto hanno affermato in molti e cioè che alla regia di questa operazione ci sia l’Urss. Penso anzi che questa iniziativa sia esemplare del tentativo di emancipazione, seppur timido e singhiozzante, della dirigenza comunista dall’ingerenza dell’Unione sovietica. E credo sia tipico degli schemi tattici di Togliatti. Quegli schemi d’ingegneria strategica che ben sanno liquidare l’intransigenza.

2 marzo 2010

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