L’ebreo nazista. Intervista con Alessandro Moro Stampa E-mail

L’ebreo nazista. Intervista con Alessandro Moro

a cura di Francesco Algisi

 

moro_ebreonazista  Alessandro Moro, padovano, medico oculista, ha pubblicato alcuni studi storici sulla Seconda Guerra Mondiale: Deutsche Besetzung Zara, 1943 l’anno dell’Armistizio e 1945 dalla guerra alla pace. È anche autore dei seguenti romanzi: I misteri di Zara (2005), Attacco al Mantegna (Helvetia, 2006) e L’ebreo nazista (Helvetia, 2008). Si dedica alla pittura e ha effettuato numerose mostre personali e collettive in Italia e all’estero.

  Dottor Moro, quale messaggio intende far emergere dalla storia narrata nel romanzo L’ebreo nazista?

  Il messaggio di fondo è la critica al concetto di categoria morale. Non si è buoni o cattivi per l’appartenenza a un gruppo (sociale, economico, etnico, culturale etc. etc.) ma esclusivamente per le azioni personali. L’ebreo che, secondo la vulgata post-genocidio, in quanto ebreo dovrebbe essere automaticamente buono come va giudicato una volta che transita nel gruppo dei persecutori nazisti? Allo stesso modo gli antinazisti che distruggono città intere, costringono all’esodo milioni di persone, annientano venerabili opere d’arte, diventano buoni solo perché combattono contro i nazisti? Ho sempre considerato immorale l’automatico pregiudizio assolutorio nei confronti dei massacri perpetrati con i bombardamenti aerei americani a fronte della condanna senza appello contro coloro che uccidono “a mano”. Il massacro tecnologico è altrettanto mostruoso di quello “primitivo”.

  Chi è l’ebreo nazista che dà il titolo al volume? Giacomo, il console o Adolf Hitler?

  Tutti. Giacomo, il console, il Führer sono tre ebrei che combattono per il nazionalsocialismo. Sta al lettore collegarli al titolo del romanzo, a sua scelta. Credo che dal punto di vista letterario evitare di suggerire al lettore un’unica soluzione della storia sia stimolante e produttivo di sue successive elaborazioni fantastiche. Il fatto che lei me lo chieda mi conferma della bontà della scelta.

  Un capitolo interessante è quello sul cassidim

  Il capitolo del cassidim serve solo a illustrare il tormento interiore di Giacomo di fronte ai sacrifici morali che gli vengono richiesti. Serve inoltre a mostrare il massacro vedendolo dalla parte degli uccisori, a illustrare i loro pensieri. Lo stesso avviene nell’ampia pagina dedicata all’attentato di via Rasella visto dalla parte di chi subì l’attacco. In pratica ho compiuto l’operazione che oggigiorno fanno continuamente i giornalisti occidentali nei resoconti dedicati agli attacchi terroristici dei talebani in Afghanistan, giustamente definiti dai nostri media terroristici. Ebbene l’archetipo di questo modo inaccettabile di condurre le operazioni militari fu appunto via Rasella. È uno degli aspetti del libro, il cui messaggio fondamentale è, però, quello ho parlato prima.

  Perché Giacomo nutre tanta ostilità verso le proprie origini (ebraiche)?

  Una visita all’attuale museo ebraico di Berlino servirebbe più di tante parole. Una straordinaria serie di testimonianze documentali, scritte e fotografiche illustra il processo di assimilazione della comunità ebraica tedesca in seno alla nazione tedesca avvenuto fra il 1870 e il 1930. Liberati dalle proibizioni secolari ad esercitare professioni, a partecipare alla vita culturale, a militare nell’esercito, moltissimi ebrei tedeschi puntarono ad essere assimilati dal corpo del popolo tedesco, convertendosi al cristianesimo oppure abbandonando in silenzio le pratiche dell’ebraismo. In pratica rifiutarono il loro essere ebrei a favore dell’assorbimento nel germanesimo che li attraeva e li affascinava (anche per motivi pratici).  I soldati tedeschi di origine ebraica che combatterono in Polonia durante la I guerra mondiale rimasero sconvolti dalla scoperta delle grandi comunità israelitiche che vivevano all’Est in condizioni di estrema arretratezza. Le lettere inviate alle famiglie da questi militari testimoniano il disgusto per una forma di ebraismo visto come causa di una condizione umana inaccettabile e la volontà di considerarsi solo ed esclusivamente tedeschi pienamente inseriti nel corpo sociale della Germania. Di ciò reca ampia testimonianza anche il celebre Le origini culturali dei III Reich di George Mosse (famoso studioso ebreo che andrebbe obbligatoriamente letto da chi si interessa della materia). Del resto il senso di estraneità dell’ebreo verso il contesto in cui vive e, in ultima analisi, anche per se stesso è una delle caratteristiche più spesso rintracciabili nella letteratura ebraica che non sia strettamente ortodossa. Nel caso del mio personaggio il suo scivolare in un mondo che è l’antitesi del suo originario è anche la conseguenza degli entusiasmi tipici della gioventù (mi sono ispirato ai  tanti miei amici di origine borghese divenuti simpatizzanti delle brigate Rosse nel ’68), del fascino esercitato da un cattivo maestro come il professor Casarin, modellato sulle figure di Toni Negri, di Sofri, di Scalzone, e come loro, alla fine, attento a imboscarsi per sfuggire alle proprie responsabilità.

  Che cosa rese possibile l’incontro e la fusione degli opposti (ebrei e nazisti) cui si allude a pagina 303?

  Il paragrafo da Lei citato è un puro esercizio letterario e serve a collegare la storia con il titolo della stessa. Vorrei ribadire che stiamo parlando di un romanzo, in cui l’invenzione e i colpi di scena sono l’essenza stessa dell’opera. Non è un libro di storia. Hitler non era ebreo, il suo odio per gli ebrei è la conclusione di una storia plurisecolare che coinvolge tutti i popoli europei, abbondantemente studiata e oramai priva di misteri. La mia invenzione si colloca sullo stesso piano delle rivisitazioni della storia romana effettuate nei suoi fortunati romanzi da Massimo Valerio Manfredi.

  “L’ossessione per la purezza razziale è un concetto molto ebraico. Inventato da loro. Il popolo eletto”, afferma Globocnik nel testo. Questo è anche il punto di vista dell’Autore?

  Si. Sono fermamente convinto che sia stato l’ebraismo a inventare il concetto di purezza razziale. Sono i fatti a dimostrarlo. Per diventare ebreo era inizialmente necessario essere figli di padre ebreo. A partire dai secoli immediatamente prima della nostra era si può essere ebrei solo se se si è figli di donna ebrea. È quindi un fatto esclusivamente biologico (sarà poi arricchito dall’educazione che riceverà il bambino, ma in sostanza nessun bambino non nato da madre ebrea viene allevato nell’ebraismo). Le possibilità di divenirlo per conversione sono scoraggiate al massimo e solo attraverso studi ed esami estremamente complicati per i non ebrei. Il proselitismo, ovvero la propaganda dell’ebraismo presso i non ebrei, non esiste assolutamente. Per gli ebrei l’individuo nato ebreo non potrà mai uscire dagli spazi culturali, psicologici e pratici dell’ebraismo. Anche se convertito al cristianesimo, resterà sempre ebreo. Esattamente quello che sosteneva la legislazione razziale dello Stato nazionalsocialista, che, peraltro, era ancora meno riduttiva in quanto considerava ebreo qualsiasi individuo nato da almeno un genitore ebreo. Quindi si è ebrei solo grazie ai propri cromosomi. Come definiamo un concetto del genere? Lo si chiami come si vuole, ma si basa su principi di appartenenza biologica assolutamente estranei a qualsiasi altra cultura di qualsiasi epoca e di qualsiasi paese (per diventare cittadini romani basta riconoscere la divinità dell’imperatore, cristiani si diventa con il battesimo, musulmani con un rito aperto a chiunque etc.). In questa definizione non è insito alcun giudizio morale, né positivo né negativo. Se l’ebraismo ha bisogno di una appartenenza biologica, va benissimo. Ognuno è libero di definire i limiti della propria appartenenza a qualcosa. In tal caso però non si può bollare come nemico dell’Umanità chi sostiene che appartengono al popolo tedesco solo coloro che biologicamente sono nati da genitori tedeschi. Si tratta esattamente di due facce di una stessa testa.

  Nel rapporto L’antisemitismo in Italia nel 2008 realizzato dal Centro di documentazione ebraica contemporanea (CDEC), si legge che il romanzo L’ebreo nazista presenta l’ebraismo “come una religione barbara e razzista volta allo sterminio dei ‘nemici’” nonché come la fonte ispiratrice del razzismo nazionalsocialista…

  La citazione completa del paragrafo che mi riguarda è la seguente: “La tesi del libro è che tutti i principali esponenti del nazionalsocialismo, a partire dal Führer, fossero ebrei e che il loro razzismo fosse ispirato dai testi religiosi ebraici. L’ebraismo emerge quindi come una religione barbara e razzista volta allo sterminio dei nemici.” La mia capacità di farmi capire deve essere modesta se l’avere citato (nell’introduzione) una serie di personaggi nazisti indubitabilmente di origine ebraica fa esprimere al commentatore una frase del genere. Che Milch o Heydrich o Rugge, pur essendo figli di ebrei, abbiano raggiunto posizioni di prestigio nello stato nazista è un fatto non una tesi. Idem per le citazioni bibliche. Pensare che Dio uccida i suoi figli egiziani o i suoi figli filistei per fare piacere ai suoi figli ebrei, a mio parere, può sembrare normale a qualcuno, ma è certamente inaccettabile per chi non è ebreo.

11 luglio 2010

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