Il gerarca con il sorriso. Intervista con Aldo Grandi Stampa E-mail

Il gerarca con il sorriso. Intervista con Aldo Grandi

a cura di Francesco Algisi

 

grandi_pallotta  Aldo Grandi, nato a Livorno nel 1961, vive e lavora a Lucca. Giornalista professionista, ha lavorato per il Corriere della Sera e per La Nazione. Ha pubblicato numerosi volumi tra cui Autoritratto di una generazione (1990), Fuori dal coro. Ruggero Zangrandi. Una biografia (1998), Giangiacomo Feltrinelli. La dinastia, il rivoluzionario (2000), I giovani di Mussolini (2001), La generazione degli anni perduti. Storie di Potere Operaio (2003), Insurrezione armata (2005), Gli eroi di Mussolini. Niccolò Giani e la Scuola di mistica fascista (2004), L’ultimo brigatista (2007). Grandi ha dedicato alla figura di Guido Pallotta Il gerarca con il sorriso (Mursia, 2010, pagg.380, Euro 22,00), un saggio biografico realizzato sulla base della documentazione rinvenuta presso l’archivio, finora inedito e sconosciuto, della famiglia Pallotta.

  Dottor Grandi, che cosa intendeva Guido Pallotta con l’espressione “bonifica integrale” che pose nel sottotitolo di Vent’anni, il quindicinale della gioventù universitaria piemontese?

  Integrale nel senso di totale. Pallotta sosteneva la necessità di procedere a una fascistizzazione integrale della vita politica, amministrativa e spirituale del popolo italiano, liberandola da quei residui e residuati dell'Italietta borghese e pantofolaia che identificava con quella di Giolitti sempre prona e pronta al compromesso. Il fascismo, al contrario, doveva dar vita all'Uomo nuovo.

  L’accusa lanciata da Velso Mucci sulle colonne del Selvaggio (cfr. pag. 106), secondo cui i Guf sarebbero stati “insufficienti, ridotti a semplici organi amministrativi”, aveva un fondamento?

  Non è da escludere che, in taluni casi, i Guf possano essere stati insufficienti a contenere e sviluppare la goliardia e il senso critico dei giovani fascisti. Tuttavia sembra strano che, vista la notoria vivacità della gioventù di ogni tempo, essi fossero ridotti a semplici palestre di conformismo. Non erano, sicuramente, serbatoi di antifascismo per ovvie ragioni.

  Nello scritto inedito riportato a pag. 180 del libro, vi sono alcuni riferimenti alla Messa di Pasqua cui Pallotta aveva assistito “sulle rive verdi dell’Ascianghi”. Qual era il rapporto di Pallotta con la religione cattolica?

  Guido Pallotta era un fervente fascista nel senso più ampio e totalizzante del termine. La religione era uno degli aspetti con i quali il fascista doveva confrontarsi, ma più un dato di fatto che la necessità di una ricerca spirituale.

  A che cosa alludeva la madre di Pallotta nella lettera del 13 giugno 1936 (cfr. pag. 191), in cui parlava di “ingiustizie” subite dal figlio Guido “nell’ambiente universitario” torinese?

  Pallotta era un iperattivo, grande organizzatore, pieno di entusiasmo e, soprattutto, fascista convinto. Impegnava, così, tutto se stesso nell'attività politica e non soltanto aggiungendo alla volontà anche la consapevolezza e la convinzione. Poteva, quindi, e dava, sicuramente, fastidio a chi non possedeva sia la sua vitalità e il suo attivismo, sia la sua convinzione e la passione spirituale. Per cui finiva per essere considerato un ambizioso e un lacchè quando, invece, altri non era che un giovane ispirato dall'Idea e dal duce.

  “Non è giovane – scriveva il gerarca (cfr. pag. 220) – chi preferisce […] la sala da ballo allo stadio”…

  Non condivido. Dopo settant'anni, lo stadio è diventato quel che tutti vediamo la domenica, ossia un luogo dove sfogare gli istinti più deleteri, quanto alla sala da ballo, mi sembra che non ci sia molta differenza e anche quella abbia assunto il ruolo di luogo del nulla o giù di lì.

  In base a quanto riportato a pag. 242, Guido Pallotta temeva che la Germania potesse “diventare troppo più potente di noi”. Scrisse anche (cfr. pag. 249): “se questa guerra l’indebolisse un po’ [la Germania], non sarebbe male per noi”. Non sembrava particolarmente filo-tedesco…

  Pallotta era filo-mussoliniano e, come Mussolini, pensava di poter competere da grande potenza sullo scacchiere internazionale. Eppure aveva viaggiato, eppure era stato negli Stati Uniti. Egli credeva nella ineluttabilità della storia e dell'avvento del fascismo inteso come ultimo e unico sbocco di civiltà. Non aveva in simpatia Hitler, ma la sua visione di politica estera era squisitamente italiana e aveva Mussolini al centro. Tutto il resto era strumentale.

  Che opinione aveva Pallotta del Nazionalsocialismo tedesco?

  Lo considerava, sicuramente, una sorta di rivoluzione ideologica che aveva portato fuori il popolo tedesco dalle miserie del dopoguerra e della Repubblica di Weimar. Con il fascismo era il credo politico che stava per soppiantare la vecchia Europa, i popoli giovani contro quelli, ormai, vecchi. Nessun senso di inferiorità, comunque, o di subalternità.

  Come accolse la notizia della firma del Patto Ribbentrop-Molotov (agosto 1939)?

  Non emergono particolari considerazioni, anche se la politica pragmatica di Pallotta lascia credere che egli abbia compreso, da subito, la mossa tattica di Hitler che voleva togliersi di dosso il rischio di incorrere in un duro conflitto su troppi fronti. Hitler odiava il bolscevismo al pari e forse più di Mussolini: l'alleanza con la Russia di Stalin fu un gesto strumentale.

  Dalle lettere che il gerarca scrisse ai genitori nel 1938-1939 (cfr. pagg. 242, 248 e 248) non traspare un grande entusiasmo per la guerra che stava per scoppiare…

  Pallotta si era, appena, sposato. La moglie soffriva di depressione e non voleva stare sola. Lui stesso era preoccupato, più che per sé, per lei e per i suoi due fratelli. La guerra, per lui, rappresentava un richiamo irresistibile.

  Guido Pallotta partecipò, in qualità di relatore, al convegno promosso a Milano dalla Scuola di Mistica Fascista nel febbraio 1940. A quando risalivano i suoi primi contatti con Niccolò Giani?

  Pallotta aveva qualche anno in più di Giani, ma ne apprezzava la fede intransigente e l'intelligenza. Tra i due era sorta subito una certa simpatia e affinità politica. Giani vedeva nell'amico quello che lui non era, ossia un uomo capace di sparare a zero a destra e a manca, cosa che, per lui, era molto difficile.

  Come interpreta la rimozione di Pallotta dal Direttorio del PNF nell’autunno 1940?

  Senza particolari motivi. Comunque sia Mussolini voleva dare una sterzata e ci riuscì, cercando di circondarsi da uomini sempre più ligi al potere.

 

23 gennaio 2011

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