Il Mullah Omar. Intervista con Massimo Fini Stampa E-mail

Il Mullah Omar. Intervista con Massimo Fini

a cura di Francesco Algisi

 

fini_mullah  Massimo Fini scrittore e giornalista, è autore di La Ragione aveva Torto? (1985, 20096), Il Conformista (1990, 2008), Nerone. Duemila anni di calunnie (1993, 2008), Catilina. Ritratto di un uomo in rivolta (1996, 2008), Il denaro «Sterco del demonio» (1998, 2008), Di[zion]ario erotico. Manuale contro la donna a favore della femmina (20002), Nietzsche. L’apolide dell’esistenza (2000, 2009), Il vizio oscuro dell’Occidente. Manifesto dell’Antimodernità (2002 e 2004), Sudditi. Manifesto contro la Democrazia (20043), Il Ribelle. Dalla A alla Z (2006), Ragazzo. Storia di una vecchiaia (2008), Il Dio Thoth (2009), Senz’anima. Italia 1980-2010 (2010). A teatro Fini è stato, come attore e autore, insieme a Eduardo Fiorillo e Francesca Roveda, Cyrano, se vi pare

  Dottor Fini, nel suo recente saggio Il Mullah Omar (Marsilio, pagg.144, Euro 16,50) si legge (pag. 50) che gli Usa avrebbero avuto la possibilità di uccidere Bin Laden fin dal 1998. Perché, secondo lei, non lo fecero?

  Questo rimane un mistero. Probabilmente serviva che Bin Laden rimanesse in Afghanistan in modo da fornire il pretesto per un attacco successivo. Il dato certo è che Clinton formulò al Mullah Omar la proposta di eliminare il capo di Al Qaeda; il Mullah, attraverso il suo ministro degli Esteri, si dichiarò d’accordo alla condizione però che gli Stati Uniti si assumessero da soli la responsabilità dell’assassinio. I talebani avrebbero fornito agli Usa le informazioni necessarie per portare a termine l’operazione. Essi erano assolutamente d’accordo sul fatto concreto di eliminare Bin Laden: il leader di Al Qaeda, infatti, rappresentava un problema anche per loro, visto che gli Stati Uniti continuavano a bombardare il territorio afghano uccidendo un mucchio di persone (eccetto Bin Laden…).

  Nel 2000 il Mullah Omar decise “autonomamente di bloccare la coltivazione del papavero da cui si ricava l’oppio” (pag.51). Come si spiega questa decisione maturata a quattro anni dalla presa del potere dei talebani?

  Il Mullah Omar, per la verità, sia nel ’98 sia nel ’99, quindi già due anni dopo la presa del potere, aveva proposto all’agenzia dell’Onu per la lotta al narcotraffico di bloccare la coltivazione del papavero in cambio del riconoscimento internazionale del governo talebano; ma l’Onu aveva risposto negativamente. È chiaro che il traffico dell’oppio serviva ai talebani – come era servito a tutti i governi precedenti – per comprare grano dal Pakistan. Poiché il Corano proibisce sia la produzione sia il consumo di stupefacenti, il Mullah Omar aveva inizialmente concesso una speciale licenza ai contadini per coltivare il papavero e ricavarne l’oppio. Nel 2000 evidentemente ritenne più importante, al di là delle questioni economiche, rispettare il Corano e prese quella decisione abbastanza straordinaria che nessuno è mai riuscito ad adottare né in Afghanistan né altrove. Non solo la prese, ma la attuò. Analizzando i diagrammi, si nota che nel 2000-2001 la produzione afghana di oppio venne pressoché azzerata. Bisogna capire la personalità di un uomo come il Mullah Omar, per il quale il Corano è più importante dell’economia.

  Quindi, la deroga iniziale era dovuta alla situazione di emergenza…

  Sì, perché, in questo Paese totalmente impoverito dalla resistenza contro i sovietici prima e dalla guerra civile poi, è chiaro che, come diremmo noi, primum vivere deinde philosophari. In seguito, il Mullah Omar cercò di sfruttare la proibizione della coltivazione dell’oppio per ottenere il riconoscimento internazionale. Alla fine, comunque, decise di proseguire sulla via del divieto per una ragione ideologica e religiosa superiore a qualsiasi altro fine.

  Lei sembra giustificare la distruzione dei due Buddha “incastonati fra le rocce delle montagne che sovrastano Bamiran” (pag.55)…

  Mi metto nella logica talebana, non nella nostra. In un Paese dove le immagini (comprese quelle del Leader supremo) erano proibite, quelle due grandi statue rappresentavano un formidabile e intollerabile strumento di propaganda non solo religiosa ma anche politica. Non giustifico naturalmente quell’atto, ma cerco di capire perché sia stato compiuto.

  Chi, secondo lei, aveva interesse a uccidere il comandante Massud il 9 settembre 2001, due giorni prima degli attentati contro le Torri Gemelle?

  Solo gli americani. I talebani sapevano che, morto Massud, sarebbe sorta una nuova guida dei ribelli del Panshir. Bin Laden - che era stato portato in Afghanistan proprio da Massud e Rabbani per combattere un altro signore della guerra, Hekmatyar – era in buoni rapporti con il Leone del Panshir e non aveva alcuna ragione per assassinarlo. Se gli americani erano intenzionati a occupare l’Afghanistan con l’aiuto dell’alleanza del Nord, Massud sarebbe diventato il leader naturale del nuovo governo di Kabul; e, visto che, a differenza di Karzai, era un afghano dalla testa ai piedi, avrebbe detto agli Usa: “grazie per l’aiuto che ci avete dato per liberarci dai talebani, ma adesso tornatevene a casa!”. Quindi avevano interesse a eliminarlo.

  La figura di Massud, dunque, era un ostacolo per i piani americani sull’Afghanistan…

  È abbastanza singolare che Massud sia stato ucciso il 9 settembre 2001 da due arabi che si erano spacciati per cinereporter. Da qui a ipotizzare che sussista un legame tra l’assassinio di Massud e l’abbattimento delle Torri Gemelle, tuttavia, c’è un passo che io non intendo compiere. Il fatto è che i piani americani per attaccare l’Afghanistan – e l’Iraq… – sono precedenti all’11 settembre di qualche mese (come hanno rivelato il Washington Post e il New York Times). Quindi, se gli Usa avevano comunque intenzione di attaccare e occupare l’Afghanistan, l’Alleanza del Nord sarebbe stata il loro unico alleato indispensabile e Massud sarebbe diventato tremendamente ingombrante proprio per la sua personalità. Quindi, l’ipotesi vale sia nel caso in cui quello contro le Torri Gemelle sia stato un attentato vero e proprio organizzato da Bin Laden sia che si sia trattato di un autoattentato ordito sempre da Bin Laden in qualità di agente della Cia. La sola certezza che abbiamo risiede nel fatto che Massud, per gli americani, doveva morire. Nell’ultimo messaggio che gli fece pervenire, il Mullah Omar lo invitò a non allearsi con gli americani perché poi sarebbero stati loro a occupare e governare il Paese: Massud rifiutò la proposta segnando così non solo il destino dell’Afghanistan ma anche il proprio.

  Dal libro emerge qualche dubbio riguardo alla versione ufficiale fornita dagli americani sugli attentati dell’11 settembre…

  Riporto, senza sposarla, una tesi che circola largamente, cioè che sia stato un autoattentato. Naturalmente è ovvio che Atta e gli altri non erano agenti dei servizi segreti ed erano in totale buona fede, perché un agente segreto può far tutto tranne che suicidarsi. Se però Bin Laden fosse stato un agente della Cia, potrebbe averli convinti a compiere gli attentati senza che essi sapessero di fare in realtà un servizio proprio agli Stati Uniti. Siamo in un campo dove non ci sono prove o certezze. Ciò che hanno fatto adesso gli americani con l’uccisione postuma di Bin Laden ci rende sospettosi riguardo a ogni azione firmata dagli Usa. Tuttavia, abbattere due grattacieli consciamente richiede un certo passaggio ulteriore piuttosto grosso. Ciò che a me interessa sottolineare, comunque, è questo: un Paese, l’Afghanistan, è stato occupato e distrutto in base a un pretesto.

  Riferendosi alla fase di conquista dell’Afghanistan negli anni ’90, lei scrive (pag.21) che “le armi i talebani se le sono dovute conquistare da soli strappandole ai nemici”. Non è un po’ forzata questa tesi?

  No, perché non c’è nessuna prova che il famoso ISI abbia fornito armi ai talebani, i quali si sono battuti con armi convenzionali in dotazione anche ai loro nemici. La storia successiva, quella dal 2001 a oggi, dimostra che non ci sono stati legami con i servizi segreti pakistani. Infatti, mentre i mujaheddin in lotta contro l’Unione sovietica erano stati riforniti di missili terra-aria (gli Stinger) per poter contrastare in qualche modo la superiorità aerea sovietica, questi poveracci non hanno neanche un missile e devono combattere con armi antidiluviane contro i bombardieri e i droni senza nessuna possibilità di contrastarli. Se il Pakistan fosse il loro alleato occulto, qualche missile Stinger gliel’avrebbe dato. La verità è un’altra: il Pakistan ha appoggiato politicamente i talebani e ha offerto loro qualche aiuto economico, ma il sostegno decisivo è stato quello fornito dai ragazzi pakistani delle madrasse, i quali sono accorsi a combattere al fianco dei talebani afghani. Questo è stato l’apporto vero e significativo, non quello dei governi o dei servizi segreti.

  La resistenza antiamericana in Afghanistan col tempo è andata intensificandosi…

  Gli uomini del Mullah Omar hanno cambiato strategia. Si sono resi conto che con le classiche tecniche di guerriglia avrebbero potuto fare ben poco contro un esercito che non sta sul campo e utilizza solo i bombardieri (spesso addirittura invisibili). Perciò hanno dovuto ricorrere agli attentati kamikaze che sono in totale contrasto con la loro cultura. Inizialmente il Mullah Omar era contrario sia per ragioni di principio sia per ragioni molto pratiche (gli attentati terroristici ovviamente provocano vittime civili: i talebani non intendono inimicarsi la popolazione sul cui appoggio si sostengono, altrimenti non si capirebbe una resistenza di dieci anni contro il più potente esercito del mondo), ma poi consentirà di ricorrervi.  D’altra parte, la situazione attuale è molto diversa rispetto a quella degli anni ’80, quando non c’era bisogno degli attentati kamikaze poiché i sovietici stavano sul campo con i loro carri armati. Gli occupanti americani, invece, sono “invisibili”: stanno rintanati nelle città e bombardano.

  La resistenza afghana è diventata più temibile solo grazie agli attentati?

  No. Bisogna anche considerare che, nel corso degli anni, ai talebani propriamente detti si sono aggiunti altri gruppi e altre parti della popolazione, gente che con i talebani non aveva mai avuto niente a che fare o li aveva addirittura combattuti: oggi l’insurrezione non è più un fatto semplicemente talebano, ma nazionale. Del resto lo spirito nazionale degli afghani è noto: grazie a questo spirito hanno cacciato gli inglesi nell’Ottocento e i sovietici nel Novecento. E cacceranno anche gli americani. A combattere i sovietici c’erano tutti: pashtun, azara, tagiki, uzbeki. Costoro possono massacrarsi per il possesso di una valle, ma si sentono innanzi tutto afghani e, di fronte ai crimini, alla violenza e alla prepotenza degli occupanti, desiderano una sola cosa: che gli stranieri se ne vadano. Questo è confermato anche dagli ultimi reportage. L’insurrezione non è più solo talebana, ma è un’insurrezione del popolo afghano nel suo complesso.

  Quindi lei prevede che gli americani verranno sconfitti e dovranno lasciare l’Afghanistan?

  A differenza della guerra contro il Vietnam, dalla quale sono usciti senza subire sostanzialmente il ridimensionamento della propria potenza, in Afghanistan gli Usa hanno coinvolto la Nato: perciò, se venissero sconfitti, si scioglierebbe l’Alleanza atlantica. Ecco il motivo per cui restano a Kabul, pur sapendo benissimo che non potranno mai vincere una guerra contro un intero popolo: dovrebbero massacrare tutti gli afghani. La cosa più ragionevole che potrebbero fare sarebbe raggiungere un accordo col Mullah Omar. Questo per gli Usa è un boccone molto duro da inghiottire, perché hanno classificato il Capo talebano come terrorista internazionale (cosa assolutamente non vera) e hanno posto su di lui una taglia da 25 milioni di dollari. Non so per quanto tempo ancora gli americani potranno sopportare questa situazione, soprattutto dal punto di vista economico: in una fase di crisi economica pesantissima, spendono quaranta miliardi di dollari l’anno per mantenere 130mila uomini in Afghanistan. Come ha detto un generale russo, “bisogna lasciare agli afghani la libertà di decidere da soli il proprio destino”, invece di cercare di imporre loro i nostri valori, che sono totalmente estranei a quella popolazione nel suo complesso (non solo ai talebani).

  Un eventuale accordo con il Mullah Omar rappresenterebbe per gli americani e per la Nato una sconfitta…

  Con la morte postuma di Bin Laden – come ha scritto anche il Washington Post –, gli attentati dell’11 settembre sono stati vendicati e non ha più senso restare in Afghanistan. In realtà non aveva senso neanche prima, perché Al Qaeda è scomparsa dall’Afghanistan per lo meno dal 2001. La stessa Cia ha calcolato che, su 50mila guerriglieri, 359 sono stranieri (ceceni, uzbeki, turchi, cioè non arabi wahabiti che hanno in testa il jihad contro l’Occidente). Dire che si è in Afghanistan per combattere il terrorismo internazionale è grottesco. Lo era anche senza la morte di Bin Laden, adesso diventa ancora più evidente per l’opinione pubblica. Hanno ucciso il capo dei terroristi: ora, dunque, una exit strategy non farebbe perdere completamente la faccia agli Usa. L’uccisione di Bin Laden – finta, nel senso che il capo di Al Qaeda è morto sette anni fa – sarebbe un buon motivo per potersi ritirare da Kabul in modo sufficientemente dignitoso.

 

16 maggio 2011

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