La vittoria del 1934. Intervista con Alessandro D’Ascanio Stampa E-mail

La vittoria del 1934. Intervista con Alessandro D’Ascanio

a cura di Francesco Algisi

 

dascanio_vittoriadel1934  Alessandro D’Ascanio, laureato in Scienze politiche con una tesi in Storia dell’Italia contemporanea dal titolo Lo scacchiere mediorientale nella politica estera italiana. Il centro-sinistra e la guerra dei sei giorni, ha conseguito il Dottorato di ricerca in “Critica storica giuridica e economica dello sport” presso l’Università di Teramo. Cultore della materia presso la cattedra di sociologia dei fenomeni politici dell’Università “G. D’Annunzio” di Chieti, collabora all’attività della cattedra di Storia del Novecento della Facoltà di Scienze politiche dell’università di Teramo. Autore di numerosi saggi e articoli pubblicati su riviste di storia contemporanea e in volumi collettanei, ha recentemente dato alle stampe il libro La vittoria del 1934. I Campionati Mondiali di Calcio nella politica del Regime (Solfanelli, 2010).

  Dottor D’Ascanio, la funzione principale assegnata dal Regime fascista al gioco del calcio consisteva nel "distogliere le masse dalle preoccupazioni quotidiane e da eventuali azioni rivendicative", come sostiene Pierre Milza nella citazione che lei riporta a pag. 124 del suo libro?

  La posizione di Milza pone l’accento in maniera forse troppo unilaterale sulle finalità propagandistiche, “ipnotizzatrici”, dissuasive del football, che in sostanza sarebbe divenuto nel Regime fascista una sorta di strumento atto a rendere mansuete e inoffensive le masse proletarie sotto il profilo della lotta politica. Senza dubbio, tale finalità di controllo sociale, per certi aspetti subdola e strumentale, era presente nei disegni della dirigenza fascistizzata del calcio italiano accompagnandosi però ad altri motivi politici ed ideologici: la mobilitazione nazionalizzante, l’espressione sportiva dell’“armonico collettivo”, per dirla con una locuzione utilizzata da Emilio Gentile, la ricerca di un primato calcistico internazionale da spendere in chiave allusiva e simbolica sul terreno della diplomazia, la volontà di promuovere uno sport considerato affine all’immagine ideale di un italiano nuovo virile e combattente, un insieme pertanto, non necessariamente coerente, di funzioni e di letture fasciste del football.

  Qual era il tipo di gioco adottato dalla Nazionale italiana durante il Ventennio?

  A parte considerazioni di natura tattica, che esulano del tutto dalle finalità del mio studio e che nel dibattito sportivo dell’epoca occupavano un rilevo del tutto marginale, il gioco della squadra italiana veniva esaltato per caratteristiche che finivano per andare molto al di là del dettaglio tecnico o dell’organizzazione della squadra in campo. Si ponevano in grande enfasi le caratteristiche di ardimento, grinta, freschezza fisica, integrità morale, sprezzo del pericolo, cameratismo, spirito di gruppo dei calciatori azzurri, sottolineando costantemente la stretta correlazione tra caratteristiche di gioco e tratti “antropologici”, per così dire, dei giocatori, in un rimando costante tra sport e politica, sport e società, sport e comunità nazionale italiana. L’enfasi sui moduli, sugli schemi di gioco era veramente di là da venire, il dibattito tra “metodo” e “sistema”, il ruolo degli “avanti”, il fatto che si giocasse sostanzialmente con tre difensori, tutta la vasta gamma di tematiche relative al tipo di gioco resta fuori dai commenti e dalle cronache sportive dei Campionati mondiali del 1934.

  Nell’Italia fascista, l'attenzione maggiore veniva posta sul collettivo o sui grandi campioni?

  Come ho cercato di mettere in evidenza nelle risposte precedenti e, naturalmente, nel libro non bisogna cadere nella riduzione semplificatrice di attribuire una scelta univoca alle varie opzioni che si pongono innanzi ai costruttori del calcio fascista. In una prima fase, soprattutto nel corso degli anni Venti, sembra prevalere un’esaltazione del football come gioco di squadra, più in linea con gli orientamenti socializzanti, dopolavoristici, camerateschi con i quali si cercava di connotare tale disciplina sportiva. A partire dall’inizio degli anni Trenta, si va affermando viceversa una concezione dello sport-spettacolo che coinvolge anche il calcio attraverso i fenomeni del campionismo, del professionismo, dell’esaltazione giornalistica, letteraria e cinematografica del grande calciatore, del beniamino popolare che pare mettere all’angolo il ruolo del collettivo, dell’insieme, del gruppo, della squadra. Ad ogni modo, soprattutto per ciò che concerne la Nazionale azzurra, il campionismo non avrebbe mai prevalso in maniera schiacciante sul collettivo, permanendo un certo bilanciamento tra i due poli estremi. Tra l’altro, la dialettica tra grandi campioni e collettivo non era l’unica che caratterizzava il football italiano dell’epoca: vi era quella molto discussa tra campanilismi di club e prevalenza della nazionale, tra professionismo e dilettantismo, tra funzione aggressiva sul piano internazionale e funzione pacificatrice e altro ancora, a comporre una ricca polisemia di significati lontana da un’idea unica e omologante del calcio nazionale.

  Tra i gerarchi fascisti chi mostrava maggiore attenzione verso il gioco del calcio?

  Leandro Arpinati, per anni stretto collaboratore di Mussolini presso il Ministero dell’Interno, ricoprì la carica di presidente della FIGC dal 1926 al 1933, assumendo la veste di autentico ispiratore del calcio fascista. Nel corso del 1933 fu bruscamente sostituito da Giorgio Vaccaro, gerarca di rango minore, su richiesta di Achille Starace, segretario del PNF, in virtù di una bega tra dirigenti fascisti tipica delle dinamiche politiche del Regime, descritta peraltro con toni ironici da Antonio Ghirelli nel suo volume sulla storia del calcio italiano.

  Chi, invece, era meno entusiasta tanto da chiedersi se l'impegno richiesto per la promozione dei Campionati di calcio del '34 "fosse giustificato da un ritorno consistente in termini di consenso interno e di prestigio internazionale" (pag. 98)?

  Si trattava di quella schiera di dirigenti fascisti più tradizionalmente conservatori, di una destra meno attenta alle esigenze delle masse, nazionalista in un’accezione più antica del termine che, in generale, non riconosceva particolare rilievo allo sport e trovava bizzarro che, in un’epoca di crisi economica, ci si impegnasse nell’organizzazione di una parata sportiva internazionale.

  Quale fu l’atteggiamento del Duce rispetto ai Mondiali del 1934?

  Mussolini si viene convincendo progressivamente dell’importanza dell’evento, vista la partecipazione delle squadre straniere, l’attenzione della stampa internazionale, la folta presenza di pubblico alle partite. Potremmo dire che egli si appropria dell’evento in corso d’opera senza esserne stato né l’ispiratore, né tanto meno un convinto sostenitore nelle fasi di preparazione.

  Come si spiega la defezione dell'Inghilterra in occasione dei Campionati di calcio del 1934 (cfr. pag.74)?

  Si trattò di una defezione dovuta essenzialmente a ragioni di natura sportiva, di orgoglioso e altezzoso rifiuto da parte dei pionieri di una disciplina sportiva a confrontarsi con squadre considerate alla stregua di dilettanti della domenica. L’atteggiamento isolazionista inglese era volto a non riconoscere legittimità ad altre scuole calcistiche nazionali che andavano affermandosi in quel torno di tempo come le nazionali dell’Europa danubiana, le squadre sudamericane, la stessa squadra italiana. Fu una scelta miope, dimostrata del resto dal grande interesse con il quale il Campionato del Mondo venne seguito in Gran Bretagna, attraverso la stampa, la radio e i filmati cinematografici.

  La partita vinta dall'Italia contro la Spagna (1-0) - si legge a pag. 187 - "suscitò vigorose proteste tra i giornalisti spagnoli". Era fondata l'accusa di parzialità rivolta contro l'arbitro che ebbe a dirigere quell'incontro?

  Si trattò di una gara di grande intensità agonistica, alimentata dal furore e dalla proverbiale grinta delle due compagini latine, che venivano già dalla gara precedente finita in parità. A lungo si parlò e si scrisse dell’arbitraggio di tale gara rispetto a singoli episodi di gioco. Difficile stabilire la fondatezza delle proteste spagnole che, per la verità, furono circoscritte e sostanzialmente archiviate l’indomani dell’incontro.

  Nonostante le contestazioni spagnole, la Nazionale italiana vinse meritatamente i Campionati del Mondo del 1934?

  L’Italia era sicuramente una delle squadre più forti e credo si possa affermare che la sua vittoria sia stata sostanzialmente meritata. Certo l’ambiente casalingo mise la squadra azzurra nelle migliori condizioni, ma l’idea che il Regime fascista abbia agito sotto banco per favorire la squadra azzurra attraverso pressioni sugli arbitri credo possa essere annoverata tra le leggende semplificatorie che spesso accompagnano il racconto di tale evento.

  Il fatto di aver ospitato i Campionati del ’34 favorì in qualche modo la conquista italiana del titolo mondiale?

  Come dicevo poc’anzi, il clima casalingo aiutò gli azzurri, ma al  pari di qualunque squadra ospitante di un evento sportivo internazionale. Naturalmente, il disegno propagandistico avrebbe raggiunto il suo culmine solo attraverso una vittoria azzurra sul suolo nazionale. Ciononostante, anche in caso di sconfitta sul campo, la FIGC avrebbe potuto comunque vantare un indubbio successo organizzativo.

  Al termine dei Campionati, Jules Rimet dichiarò: "Ho avuto l'impressione che durante questa Coppa del mondo, il vero presidente della FIFA fosse Mussolini". Come interpreta tale affermazione?

  Rimet si riferiva all’attenzione prioritaria che la stampa internazionale aveva riservato a Mussolini in occasione dei suoi arrivi tra gli applausi  negli stadi in occasione delle partite dell’Italia e, più in generale, al tono decisamente fascista che la FIGC aveva conferito all’organizzazione dell’evento, presentandolo in buona sostanza come realizzazione del Regime, come indicatore plateale della sua capacità costruttiva. Non credo che, nelle parole di Rimet, si nascondesse una critica nei confronti dell’Italia del tempo, soprattutto alla luce di altre sue dichiarazioni coeve che mostravano un convinto apprezzamento nei confronti dell’organizzazione italiana.

 

27 maggio 2011

Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo.

© RIPRODUZIONE RISERVATA