Gela 1943. Intervista con Fabrizio Carloni Stampa E-mail

Gela 1943. Intervista con Fabrizio Carloni

a cura di Francesco Algisi

 

carloni_gela  Fabrizio Carloni, nato a Roma nel 1953, vive e lavora a Napoli. Laureato in Scienze Politiche, è storico e giornalista e collabora con i quotidiani del Mezzogiorno «Roma» e «Il Denaro» e con i periodici «Storia Militare», «Nuova Storia Contemporanea» e «Storia & Battaglie». Nel 2009, per i meriti acquisiti nell’ambito degli studi sulla Campagna d’Italia 1943-1945, gli è stato conferito il premio «Alexander B. Austin-Stewart G. Sale-William J. Munday Memorial Journalistic Prize». Autore di San Pietro Infine 8-17 dicembre 1943. La battaglia prima di Cassino (Mursia, 2003) e Il corpo di spedizione francese in Italia. 1943-1944 (Mursia, 2006), ha da poco pubblicato il volume intitolato Gela 1943 (Mursia, pagg.182, Euro 15,00), in cui ha portato alla luce le verità nascoste dello sbarco americano in Sicilia.

  Dottor Carloni, a chi va ascritta la responsabilità della mancata ostruzione “con barricate o facendo collassare edifici con esplosivi” (cfr. pag. 24) delle strade di Gela in vista dello sbarco americano del luglio 1943?

  La fascia litoranea di tutte le aree che rientrano tra quelle per cui è ipotizzabile uno sbarco nemico - di norma vengono sgombrate per garantire una “zona di rispetto” che serve a tenere il campo di tiro libero - permette la predisposizione di campi minati e di ostruzioni ed ostacoli che la rendano di difficile transitabilità per il nemico. Queste misure non vennero attuate né in Sicilia, né in Corsica o Sardegna dalle truppe italiane che le presidiavano, per motivi legati alle difficoltà di riallocare la popolazione per mancanza di mezzi di trasporto, di benzina, lubrificanti, locali adatti, derrate alimentari. In più, all’atto dello sbarco in Sicilia, alla popolazione mancava la maggior parte del necessario e l’abbandono delle abitazioni e della terra che garantivano un tetto e il poco che serviva a sopravvivere avrebbero determinato disordini difficili da controllare. I tedeschi, dopo l’armistizio del settembre 1943, emisero decreti di sgombro delle linee di costa nelle regioni rimaste sotto il loro controllo.

  Perché i ricordi degli avvenimenti del luglio ’43 presso la cittadina di Gela sono andati distrutti (cfr. pag. 119 n.4)?

  Le amministrazioni pubbliche succedutesi a Gela e nella maggior parte delle cittadine siciliane dopo la fine della guerra, hanno cercato di far dimenticare gli avvenimenti dolorosi collegati allo sbarco. Si è sempre data grande enfasi alla “liberazione” da parte soprattutto degli americani, nei cui confronti, per la grande affinità che derivava dal fenomeno (massiccio in Sicilia) dell’emigrazione, ci si sentiva legati. Delle migliaia di civili derubati, vessati ed uccisi, dei bombardamenti indiscriminati e molte volte inutili si è parlato sempre molto poco e sempre meno. Alle cerimonie per l’anniversario dello sbarco del 10 luglio 1943, i rappresentanti ufficiali statunitensi sono sempre invitati graditi e speciali. A Gela, in particolare, per la vicinanza delle basi militari USA.

  Come mai i militari americani fucilarono Giuseppe Mangano, podestà di Acate, e non gli riconobbero “le guarentigie previste dalle leggi di guerra” (pag.37)?

  Giuseppe Mangano, in fuga da Acate (Ragusa), di cui era il sindaco, con la moglie, il fratello ufficiale medico ed il figlio Valerio di 17 anni, incappato nel secondo posto di blocco statunitense nel centro di Vittoria, la mattina dello sbarco, esibì ai paracadutisti americani le sue credenziali di podestà; probabilmente prese i nemici per militari tedeschi ed alzò la voce. Fu trascinato via con il fratello ed il figlio mentre la moglie Melina ed altre due donne che li accompagnavano furono gettate in un terraneo di una palazzina nel centro del paese. Nel pomeriggio i due Mangano adulti furono fucilati ed il ragazzo (Valerio alla vista della scena si era gettato con una pietra verso il plotone di esecuzione) fu assassinato con una baionettata alla gola. Molti militari americani erano ubriachi e tutti avevano un documentato odio verso i membri del Partito Nazionale Fascista. Giuseppe Mangano aveva probabilmente esibito i documenti da cui risultava il suo ruolo o lo aveva rivendicato. Ernesto, il fratello, per la fretta della fuga da Acate, aveva i pantaloni della divisa e la giacca del pigiama e dovette essere considerato un militare che aveva cercato di dissimulare il suo stato spogliando l’uniforme. Per di più era reduce dalla Russia e si rivolse, sembra, agli americani parlando il poco tedesco che conosceva. Il cadavere di Ernesto non fu mai trovato.

  La resistenza opposta agli americani da alcuni adolescenti di Gela, che lanciarono “bombe a mano dal campanile della Chiesa Madre” (pag.56), fu un episodio isolato?

  La resistenza dei ragazzi a Gela è stata enfatizzata. Nel primo giorno dello sbarco, dovunque nelle aree investite dagli americani e, soprattutto, dagli inglesi, si verificarono episodi di resistenza da parte di civili. Molti sono documentati e riguardano soprattutto la discesa nella notte tra il 9 e 10 luglio di paracadutisti che furono affrontati da civili armati anche di fucili da caccia e che, in molti casi, guidarono i reparti italiani alla ricerca dei nemici sbandati ed in fase di riorganizzazione.

  Tali episodi ricordano, per certi versi, le azioni compiute dai “franchi tiratori” descritti da Curzio Malaparte nella Pelle...

  La resistenza dei fascisti a Firenze, Napoli, Torino nacque dall’ideale politico molto sentito dopo la proclamazione della Repubblica Sociale Italiana, che dette ad una parte della popolazione del Nord  la percezione di un Fascismo nuovo e delle origini che potesse risorgere. In Sicilia il Fascismo in quella fase della guerra (1943) era arrivato, nella considerazione degli isolani affamati, ai minimi storici. Chi si oppose alla invasione lo fece per amor di patria e nell’illusione che lo sbarco, nelle prime fasi, si potesse ancora respingere, anche grazie ai tedeschi che godevano di un gran rispetto come soldati. La scena dello sfascio delle istituzioni civili e militari, la notizia della caduta di Augusta e Siracusa, subito diffusasi, la fame generalizzata, lo strapotere alleato, non incoraggiarono il protrarsi di fenomeni di resistenza.

  Come si spiega il rifiuto da parte delle forze statunitensi dell’offerta di resa avanzata dal vicebrig. Pancucci (cfr. pag. 77)?

  Gli americani utilizzavano allora, come nelle altre guerre in cui sono stati coinvolti sino ai giorni nostri, la potenza di fuoco in maniera indiscriminata; una volta cominciato a sparare, ricondurre i militari americani a livello di singoli, di squadra e di reparti che garantiscono l’”accompagnamento” alle regole della “disciplina di fuoco” è impresa ardua e per ufficiali molto carismatici.

  Come interpreta la “scelta politica” (cfr. pag. 129 n. 12) di non conferire la medaglia d’oro al v. m. al tenente carrista Angiolino Navari, immolatosi a Gela “per la maggiore grandezza e gloria della Patria”?

  Come ho evidenziato nel mio lavoro, molti intellettuali di Gela, sino agli anni Sessanta, guidati dal Prof. Nunzio Vicino, si sono dati da fare per commutare la medaglia d’argento alla memoria in una d’oro peraltro meritata. Angiolino Navari fu un eroe puro che è stato dimenticato anche nel paese di origine (Forte dei Marmi) per motivi di opportunità, perché combatté contro gli Alleati che di lì a poche settimane sarebbero diventati, anche in maniera ufficiale, i “liberatori”. È lo stesso motivo per il quale, dopo la testimonianza dei Carabinieri Francesco Caniglia ed Antonio Cianci, che hanno consentito la rivelazione della strage di Passo di Piazza, le istituzioni come il Ministero della Difesa  ed una parte dell’Arma dei Carabinieri hanno evitato che quella tragedia avesse qualsiasi seguito istituzionale. Il prof. Francesco Perfetti nella sua presentazione al mio lavoro ha evidenziato molto bene questi motivi di “Ragion di Stato”. Gli ergastoli comminati dal Tribunale militare di Roma agli assassini tedeschi della Padule di Fucecchio sanzionano comportamenti del tutto assimilabili a quelli tenuti dagli americani a Gela. Il Senatore Andrea Augello, in occasione dell’uscita in libreria mio ultimo libro, chiese dalle colonne del quotidiano romano Il Tempo l’apertura di un fascicolo da parte della Procura militare sugli avvenimenti di cui anche lui ha scritto per Mursia. Cosa è stato di quella istanza?

 

27 maggio 2011

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