DemoNOcrazia. Intervista con Matteo Simonetti Stampa E-mail

DemoNOcrazia. Intervista con Matteo Simonetti

a cura di Francesco Algisi

 

simonetti_demonocrazia  Matteo Simonetti (1971), giornalista pubblicista dal 2005, alterna l'attività letteraria a quella musicale, sia didattica sia concertistica. Ha esordito come articolista sulla stampa nazionale nel 2002, dalle pagine del mensile Area. Ha collaborato, prima come critico musicale e poi anche come analista politico e culturale, con i quotidiani Secolo d'Italia, L'Indipendente e Liberal e con le riviste Percorsi di cultura politica e La Destra, anche con proprie rubriche settimanali. Attualmente scrive per Il Borghese e per il giornale telematico Giornaledelribelle. Ha pubblicato: Stasera dirige Nietzsche (Pantheon, 2005), saggio che si occupa del rapporto tra musica e politica; Per un manifesto della destra (Nuove Idee, 2006), scritto insieme con il sen. Luciano Magnalbò, saggio che intendeva individuare nuovi orientamenti per una destra conservatrice italiana; e il recente DemoNOcrazia (Solfanelli, 2010), in cui ha sviluppato una lucida critica nei confronti dell’inganno democratico.

  Dottor Simonetti, tra i "filosofi importanti" che "hanno sottolineato i limiti" del sistema democratico lei ricorda (pag. 5), oltre a Spirito, Michels, Pareto e altri,  anche Norberto Bobbio. Quali elementi utili ha offerto il politologo torinese alla sua analisi? E in quali opere li ha rinvenuti?

  Certamente l'atteggiamento di Bobbio di fronte alla democrazia non è di critica alle fondamenta di tale sistema politico, come ad esempio lo ritroviamo nei pensatori dell'Elitismo o in quelli della Rivoluzione Conservatrice. Più che altro siamo di fronte al tentativo di evidenziare alcune "derive applicative" di ciò che Bobbio chiama "metodo democratico". Egli ritiene che, nonostante il raggiungimento di una democratizzazione politica, sia mancata una democratizzazione della società, anche se sembra che il filosofo non giunga mai a sospettare che si tratti non di devianze ma di pecche sistemiche. La menzione di questi "limiti" della democrazia da parte di Bobbio è evidente in tal senso in Il futuro della democrazia (Einaudi, 1984) e nell'intervista Che cos'è la democrazia, del 18 febbraio 1984, rilasciata alla Fondazione Einaudi. Sembra che, e va detto, Bobbio si muova in un'ottica marxista latente, visto che identifica la realizzazione della democrazia politica con la democrazia nelle scelte della fabbrica e nei processi produttivi in generale. Anche tale preminenza dell'aspetto economico e quindi quantitativo su quello spirituale e quindi qualitativo lo distanzia notevolmente dalle critiche che provengono da "destra" (Spengler, Evola...).

  Lei considera "un espediente utile" (pag. 25) la proposta formulata da Albert O. Hirschman "di introdurre la possibilità di votare più volte nella giornata". Potrebbe esserlo anche l’introduzione del voto ponderato? Nietzsche, per esempio, auspicava "vantaggi di ogni genere per i padri che mettono al mondo figli in abbondanza; in certi casi, aumento del numero dei suffragi attribuiti" (cfr. Volontà di potenza, 733)…

  Certamente, nel passo che lei cita, sostengo che tali aggiustamenti possano rivelarsi "espedienti utili", ma subito dopo aggiungo: "A meno che non si tratti di un'arma a doppio taglio...". Questo per dire che si tratta appunto di espedienti, come lo sarebbe anche quello del voto ponderato basato sul numero dei figli. Nel caso specifico dell'idea di Nietzsche, la logica sarebbe quella di far decidere chi dovrà forgiare lo Stato non solo per sé ma per la prole, e potrebbe essere cosa sensata. Ma non sempre la prolificità va di pari passo con la capacità di giudizio e si potrebbe ricadere nello stesso caso di arma a doppio taglio. Meglio sarebbe allora basare la ponderatezza sul grado di discernimento politico del votante, che prima di votare dovrebbe dar prova di sapere che cosa sta facendo. Si porrebbe però il problema di come eleggere con voti non ponderati coloro i quali dovrebbero decidere cosa significhi tale grado di "discernimento politico", in una sorta di vortice di aporie facilmente immaginabile. Tale vortice si arresterebbe solamente con un atto di autorità. In mancanza di una Tradizione che normi la società attraverso una serie di gradi del potere, di ruoli sociali, di appartenenze, serie che sia condivisa dal popolo in maniera tangibile, sensibile oltre che razionale, è impossibile, unicamente con delle regole, uscire dal marasma del democraticismo. Occorrerebbe quindi un'operazione culturale piuttosto che legislativa.

  Scrivendo che il comunismo sovietico ha rappresentato una "sorta di protezione dal crimine" (p.46), intende darne una valutazione (parzialmente) positiva?

  In particolare mi riferivo agli studi sull'aumento della criminalità nell'ex Unione Sovietica al termine dell'era comunista, condotti da Cusano e Innocenti. Storicamente, ogni volta che lo Stato è forte tende ad estinguere quei crimini, legati alla predazione individualistica, che possono minare la stabilità del sistema. Scippi, omicidi, violenze, atti teppistici ecc., ai quali l'homo homini lupus si dedica quando il contratto sociale è labile e si incarna in una forma di vigilanza allentata, mal si accordano con un sistema come quello comunista che, anzi, proprio sul senso di insicurezza dell'individuo fonda la sua sopravvivenza. Solo in tal senso, in quanto sistema ordinato, il mio giudizio sul comunismo sovietico è positivo. Dal punto di vista politico invece il mio giudizio è totalmente negativo, anche perché rappresenta l'altra faccia del materialismo positivista, altrimenti incarnatosi nel liberalismo democratico. Da non sottovalutare poi il fatto che col comunismo diminuisce il citato tipo di crimini ma aumentano i crimini di Stato, come ben sanno, ad esempio, i cittadini dei Paesi baltici, ancora oggi restii a festeggiare la caduta del nazifascismo.

  Quando scrive di alcuni Stati che si sono sottratti "al giogo dei banchieri" (a pag.83), è chiara l’allusione all'Italia fascista e alla Germania nazionalsocialista…

  Certamente, anche se in maggior misura alla Germania nazista e alle modalità della sua rinascita economica dopo Weimar. Purtroppo tale digressione storica non sarebbe entrata nel contesto del mio libro né, credo, entrerebbe in questo contesto.

  Dopo essere giunto alla coscienza del lettore, come può "trasformarsi in un atteggiamento congruente" (pag. 95) il messaggio contenuto in DemoNOcrazia?

  Si tratta essenzialmente di porsi, di fronte al politicamente corretto e a ciò che viene comunemente spacciato per verità, in un atteggiamento critico e pronto allo smascheramento dei condizionamenti psichici con i quali oggi le élite economiche ci bombardano per renderci gregge. Bisogna essere contemporaneamente informatori e testimoni ed evitare che tali condizionamenti si sedimentino automaticamente in noi. Evitando, per esempio, l'abitudine al consumo di farmaci e alimenti che hanno nel profitto il motivo della loro esistenza, la passiva accettazione di prodotti culturali fatti per il controllo delle masse, dalla musica pop a quella fintamente elitaria delle avanguardie "colte". E poi occorre divenire molle pronte a scattare se mai si verificasse un congiungimento di situazioni tali che fosse possibile rallentare il ciclo della decadenza di quest’epoca. Scattare individualmente e collettivamente, attivando quelle reti che negli anni occorre tessere per unire soggetti "risvegliati" e in qualche modo simili. In generale però direi che l'atteggiamento da perseguire con il maggiore sforzo è la realizzazione nietzschiana di ciò che si è, al di là di utilitarismi ed edonismi dell'immediato. Ognuno di noi deve sentire se stesso come protagonista di un compito (il che non significa adottare un atteggiamento messianico, proprio della controparte!) che ci si autoimpone. Certo, ci si avvicina moltissimo ad una visione del mondo più estetica che morale...

  Lei definisce "anacronistici" i "fantasmi del passato" di Ion Mota e l'"antica armatura" di Unamuno (cfr. pag. 99)…

  Anacronistici rispetto al sentire della massa odierna, non certo perché oggi non ripresentabili.

  In che cosa consiste l'"illuminazione conoscitiva" cui dovrebbe giungere l'uomo per diventare "libero di autodeterminarsi" (pag. 105)?

  Qui entriamo nel problema davvero più importante della filosofia di tutti i tempi: il rapporto tra libertà e causalità, tra scelta e determinismo. Nietzsche supera, o tenta di farlo, questo impasse ammettendo che l'individuo possa pervenire ad un certo punto ad uno stato nel quale, come in un giardino, gi è dato potare, curare, sistemare le piante che sono i lati del suo carattere, anche se non può piantarne di nuove o eliminare quelle esistenti. Giungere a questo stato non è nelle possibilità dell'individuo e dipende da fattori esterni ad esso, ma una volta che vi sia arrivato, si apre per lui come una sorta di stato di libertà. Venire a contatto con alcune idee, ad esempio quelle che cerco di comunicare al lettore con il libro, non può essere frutto di una scelta. Un bambino non può decidere di divenire libero in tal senso e che lo divenga è il risultato di una alchimia, anche se si tratta di uno stato che a volte presenta combinazioni, coincidenze e situazioni così strane da non sembrare casuali. Quando la catena casuale di ogni proprio gesto è stata compresa allora si crea come un "momento zero" dal quale parte una certa libertà, che non è mai assoluta come dicevo, ma relativa. Qui bisognerebbe introdurre il concetto nietzschiano del volere se stessi, ma andremmo troppo oltre...

  Tra gli "esempi di individui che stimolino all'azione" (pag. 111), accanto a Don Chisciotte, san Francesco e D'Annunzio, si trova Valentino Mazzola. Come spiega tale accostamento?

  La figura di Valentino Mazzola è molto significativa e per diversi aspetti. Sarebbe lungo parlare della biografia del capitano del Grande Torino: invito i lettori ad approfondirla. Mi limiterò ad alcuni accenni: innanzitutto c'è l'aspetto del sacrificio del singolo all'interno del gruppo di appartenenza, il capitano che si rimbocca le maniche al suono della tromba, cioè l'autorità della guida che conduce il gruppo essendone parte, non la "star" del calcio odierno che si perde in doppi passi e nel frattempo si sistema il ciuffo. Poi c'è l'aspetto "sociale" del Grande Torino, opera d'arte nata per sublimazione da un ambiente sociale certamente non agiato; c'è quello storico legato alla società e alla cultura fascista, come emerge ad esempio dal film "Ora e per sempre" di Vincenzo Verdecchi; c'è infine quello legato al destino e alla tragicità della vita, che si concretizza nel dramma di Superga, che si lega alle visioni del mondo di Unamuno e Jaspers, autori molto presenti nel mio libro.

  Quali testi suggerirebbe ai lettori desiderosi di giungere all’"illuminazione conoscitiva"?

  Quelli di autori che hanno uno sguardo ampio, un approccio olistico: su tutti Nietzsche, Spengler e il Leopardi dello Zibaldone.

 

30 maggio 2011

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