Chiesa e Impero in Russia. Intervista con Giovanni Codevilla Stampa E-mail

Chiesa e Impero in Russia
Intervista con Giovanni Codevilla

a cura di Francesco Algisi

 

codevilla_chiesa  Giovanni Codevilla insegna Diritto ecclesiastico comparato presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Trieste. Ha al suo attivo diverse pubblicazioni, fra le quali: Stato e Chiesa nell’Unione Sovietica (Milano, 1972), Le comunità religiose nell’URSS. La nuova legislazione sovietica (Milano, 1978), Religione e spiritualità in URSS (Roma, 1981), La libertà religiosa in Unione Sovietica (Milano, 1985), Dalla rivoluzione bolscevica alla Federazione Russa (Milano, 1996), Stato e Chiesa nella Federazione Russa (Milano, 1998), Laicità dello Stato e separatismo nella Russia di Putin (Milano, 2005), Lo zar e il patriarca (2008), oltre a numerosi articoli pubblicati in Italia e all’estero. Recentemente ha dato alle stampe il volume Chiesa e Impero in Russia. Dalla Rus’ di Kiev alla Federazione Russa (Jaca Book, pagg.683, Euro 29,00)

  Prof. Codevilla, la “NEP religiosa” promossa da Stalin durante la Grande guerra patriottica riscosse l’unanime consenso della dirigenza sovietica?

  È difficile immaginare che cosa avessero in testa i dirigenti sovietici del tempo: certamente il ricordo delle repressioni staliniane contro coloro che erano sospettati di allontanarsi dalla linea del condottiero (vožd) Stalin era in tutti assai vivo; non si può comunque dimenticare che la fedeltà alla linea del partito e in particolare le convinzioni ateistiche sono sempre state un requisito indispensabile per poter accedere alla dirigenza sovietica. Per questo l’introduzione della “Nep religiosa” ha creato sconcerto e smarrimento soprattutto nelle campagne: sono note lettere di presidenti di kolchoz e di propagandisti del partito in cui si chiede di spiegare le ragioni dell’improvviso mutamento della politica ecclesiastica comunista. I dirigenti della sezione di propaganda del partito si affrettano a spiegare che la concezione sovietica della religione non è affatto mutata e che il cambiamento è dovuto esclusivamente a motivi di carattere tattico determinati dalla guerra. Ad una lotta aperta e senza quartiere si vuole sostituire un lavoro prevalentemente educativo da parte dei funzionari del partito. Non a caso, proprio nell’autunno del 1944 vengono approvate due importanti ordinanze, una del Komsomol e l’altra del Comitato centrale del partito, relative all’organizzazione della propaganda scientifico-educativa. In buona sostanza, il partito intende ottenere che siano evitate azioni repressive nei confronti della religione e della Chiesa e che la lotta antireligiosa sia condotta solo sul piano ideologico, senza repressione di carattere amministrativo, nel rispetto della legalità socialista. Ricordo che secondo i dati del censimento del 1937 il 56,7% dei cittadini dichiaravano di essere credenti e di questi il 75,3% appartenevano all’Ortodossia: questi dati dimostrano che la lotta cruenta contro la Chiesa non aveva dato i risultati sperati e anche per questo si decide di modificare i metodi della lotta antireligiosa.

  Tra le alte gerarchie dell’Urss vi fu chi aderì in maniera sincera e convinta alla “NEP religiosa” staliniana, non ravvisando in essa uno strumento di politica interna e internazionale?

  Non mi consta che ciò sia avvenuto tra gli esponenti della gerarchia sovietica, mentre prevalentemente a livello periferico non mancano gli esponenti del partito che iniziano a frequentare la chiesa, pensando che si stia per porre termine alla lotta antireligiosa.

  Perché la sinfonia tra le autorità sovietiche e il clero ortodosso perdurò sino al 1947/48, ben oltre quindi la conclusione della Grande guerra patriottica?

  È una sinfonia sui generis: è vero che numerosi sacerdoti ed esponenti della gerarchia sono liberati dai lager e possono riprendere il loro apostolato e che non sono pochi i nuovi vescovi che vengono ordinati, ma si deve comunque ricordare che anche durante gli anni della “Nep religiosa” non mancano le condanne di credenti e sacerdoti: nel 1943 sono più di mille i sacerdoti arrestati e di questi la metà viene fucilata e nel periodo 1944-1946 i religiosi condannati a morte sono oltre cento all’anno. Dal 1947 cessa il periodo di tregua e nel 1948 si riavvia la repressione antireligiosa: su 70 membri dell’episcopato (il patriarca, 3 metropoliti, 24 arcivescovi e 42 vescovi) in carica al 1° Gennaio 1948 ben 32 subiranno procedimenti giudiziari nel corso dell’anno. Per la Chiesa cattolica la tregua termina prima del 1947 con l’avvio della politica antivaticana alla quale vengono sollecitati ad aderire tutti gli esponenti delle altre Chiese cristiane. È questo il periodo in cui lo Stato intende sfruttare al massimo l’attività della Chiesa ortodossa sul piano internazionale, aggregando ad essa anche le Chiese protestanti in funzione anticattolica e per questo si propone di dar vita nel 1945 al cosiddetto Vaticano moscovita (Moskovskij Vatikan). Dopo aver respinto l’aggressione tedesca con l’aiuto delle Chiese e dei credenti e dopo aver liquidato la Chiesa greco-cattolica in Ucraina e nelle regioni circostanti il partito non ha più la necessità dell’aiuto della Chiesa per conseguite i propri fini politici. I membri del Soviet per gli Affari dei culti religiosi, governato da sempre da uomini del KGB, vengono accusati di aver trasformato il Soviet da organo di sorveglianza e di controllo in organo di aiuto e di sostegno ai clericali. Riprende dunque con l’antico vigore la lotta antiecclesiastica e a farne le spese sono anche quegli esponenti del partito che si erano avvicinati alla religione e alla Chiesa. Per spiegare la portata della svolta del 1948 basterà citare la direttiva congiunta del Ministero della Sicurezza dello Stato e della Prokuratura dell’URSS del 26 ottobre 1948, la quale stabilisce che quanti erano stati condannati per delitti contro lo Stato e il cui periodo di reclusione si è concluso devono essere nuovamente arrestati e deportati. Le vittime di questo provvedimento vengono chiamate in gergo ripetenti (povtorniki), e non mancano tra loro i sacerdoti, i quali, dopo avere scontato la pena ex art. 58 del Codice penale (attività antisovietiche), erano ritornati a svolgere la propria missione religiosa.

  Secondo Gennadij Andreevič Zjuganov, leader del KPRF, la storia dell'Urss è stata caratterizzata dalla lotta fra due contrapposte correnti interne al PCUS: da un lato, il "partito del nostro paese", "ispirato - come si legge in un articolo di Andrea Panaccione pubblicato sul n.32 della rivista Giano - ai valori del patriottismo e della grandezza dello Stato russo (uno Stato a cui viene attribuita fin dalle origini una vocazione imperiale e i cui valori fondanti, per il periodo pre–sovietico, sovietico e post–sovietico, rimangono quelli della classica triade del ministro della pubblica istruzione dello zar Nicola I, Sergej Uvarov: l’autocrazia, l’ortodossia e quella che Uvarov chiamava la narodnost’, spesso tradotto come popolo, nazionalità, principio nazionale, ma che dovrebbe connotare soprattutto la particolare e permanente natura del popolo russo), e "il partito di questo paese", estraneo alla tradizione nazionale e che nella Russia ha visto soltanto "un’arena per realizzare le proprie ambizioni e vanità smisurate e per intrighi di potere, un vero e proprio poligono per esperimenti sociali avventati" (Stato e potenza, Parma, 1999, p.105). Il primo è il partito dei costruttori e dei difensori della patria [...], che dopo la rivoluzione del 1917, resa "inevitabile" dalla crisi russa, e chiusa l’esperienza tragica della guerra civile, si è dedicato alla ricostruzione del paese e all’accrescimento della sua potenza". Di questo partito, secondo Zjuganov, avrebbero fatto parte Šokolov, Korolëv, Žukov, Kurčatov, Stachanov, Gagarin. Il secondo, invece, è "il partito di Trockij e di Kaganovič, di Berija e di Mechlis, di Gorbačëv e di El’cin, di Jakovlev e di Ševarnadze" (cfr. Stato e potenza, cit.). Nei rapporti tra le autorità sovietiche e la Chiesa ortodossa russa è possibile ravvisare qualche traccia della lotta tra le due correnti di cui sopra?

  Il tema del patriottismo e della grandezza dello Stato russo è geneticamente presente in tutti coloro che hanno sangue russo nelle vene, al di là delle loro opinioni politiche e persino del loro passaporto. La tesi di Zjuganov mi sembra volere complicare una questione molto semplice. Del resto se volgiamo lo sguardo al passato dobbiamo sempre rifarci alle due correnti fondamentali del pensiero russo che trovano la loro origine nella frattura creata da Pietro il Grande. Mi riferisco agli slavofili e agli occidentalisti. Entrambi assegnano alla Russia un ruolo salvifico: ex oriente lux! I primi ritengono che il popolo russo sia il popolo teoforo e che la salvezza del mondo debba essere rinvenuta nell’Ortodossia; i secondi pensano che una salvezza esclusivamente mondana debba comunque venire attraverso la Russia.

  Nel libro, lei accenna a un “esercito ortodosso russo” (cfr. pag.410 n.502)…

  Nella tradizione russa il concetto di Patria è strettamente legato a quello di Ortodossia. La “Nep religiosa” nasce proprio per aggregare la popolazione contro il nemico e per la difesa della Patria che diventa per ciò stesso anche difesa dell’Ortodossia. I russi chiamano la Seconda Guerra Mondiale Grande Guerra Patriottica: si combatte contro i nemici della Patria e, quindi dell’Ortodossia, come si diceva in epoca zarista, “per la Santa Rus’ e per la fede ortodossa” (Za Rus’ svjatuju i veru pravoslavnuju). Anche nella Russia liberata dal comunismo l’esercito è tornato a essere il difensore dell’Ortodossia, perché la Chiesa ortodossa è oggi come in passato il fondamento della statualità russa. Il patriarca Kirill insiste molto su questo concetto della statualità russa ortodossa (Russkaja Pravoslavnaja Gosudarstvennost’), che è alla base della concezione sinfonica dei rapporti tra sacerdotium e imperium.

  Durante la Grande Guerra Patriottica come furono i rapporti tra la Chiesa ortodossa russa e l’Armata rossa?

  L’Ortodossia ha dato un grande contributo alla rinascita dello spirito patriottico così caro alla Russia. L’Armata Rossa, strettamente legata al partito comunista, si è limitata ad attuare la politica del PCUS sospendendo temporaneamente l’ostilità verso la Chiesa.

  Un autore assai citato nel suo libro, Michail Škarovskii, ha riferito (cfr. La Croce e il potere, La Casa di Matriona, 2003) che “il maresciallo L. A. Govorov, comandante del fronte di Leningrado, espresse più volte pubblicamente le proprie convinzioni religiose, e, dopo la battaglia di Stalingrado, anche il maresciallo V.N. Čujkov cominciò a frequentare la chiesa. Tra i credenti era largamente diffusa la convinzione che il maresciallo G. K. Žukov portasse sempre con sé, sulla sua macchina, un'icona della Vergine di Kazan'”. Questi, allorché “fu inviato alla fine degli anni '40 a comandare il distretto militare di Odessa, passando da Kiev consegnò a una chiesa la sua «icona di guerra», chiedendo che fosse collocata nel santuario”. Come vanno interpretati questi fatti?

  Credo che il sentimento religioso sia nel codice genetico dei russi e che esso, dopo anni di cruenta persecuzione, si sia manifestato dopo lo scoppio della guerra. Gli episodi citati da Škarovskij, storico assai rigoroso, sono del tutto verosimili.

  È vero che nell’inverno del 1941 Stalin fece caricare su un aereo l'icona della Madre di Dio di Tichvin, che si trovava nella chiesa di Sant'Aleksij, con l'ordine di sorvolare Mosca?

  L’episodio viene riferito negli ambienti ecclesiastici vicini all’estremismo ortodosso e anche in quelli xenofobi dello schieramento politico comunista in cui sono fortemente radicati sentimenti slavofili e patriottici. Stalin avrebbe ordinato al suo pilota personale, A.E. Golovanov, divenuto poi maresciallo dell’aviazione, di alzarsi in volo in condizioni climatiche difficili sulla città di Mosca, portando l’icona miracolosa della Madre di Dio di Tichvin accompagnata da un sacerdote ortodosso e da un piccolo coro femminile che cantava l’inno Akathistos per impetrare la protezione della Vergine sulla città di Mosca. Si dice che grazie a un intervento soprannaturale Mosca sia stata risparmiata dall’attacco nazista. In questi ambienti ecclesiastici si accredita la tesi di uno Stalin fedele ortodosso; del resto anche lo stesso Škarovskij riferisce di uno Stalin che viveva momenti mistici. Negli ambienti più ostili al mondo occidentale, mi riferisco ai neocomunisti e ai neoslavofili, vi è oggi una diffusa riabilitazione di Stalin, che giunge al punto di rappresentarlo su un’icona che si trova a Mosca nella chiesa di san Nicola in Starovagan’kovskij pereulok. Stalin è raffigurato, peraltro senza i simboli grafici della santità, accanto alla santa Matrona di Mosca (1885-1952), paradossalmente costretta dal regime a vivere in clandestinità a causa della sua fede. Stalin avrebbe visitato la santa nel 1941 e, durante l’incontro, la Matrona gli avrebbe predetto la vittoria sul nazismo. Un episodio simile era accaduto nel 2008 nella località di Strel’na nei pressi di San Pietroburgo: l’igumeno Evstafij Žakov, aveva esposto alla venerazione dei fedeli accanto alle icone anche l’immagine di Stalin raffigurato accanto alla santa principessa Olga uguale agli apostoli. Il patriarcato di Mosca è del tutto contrario a simili paradossali manifestazioni, come espressamente e ripetutamente dichiarato dal protoierej Vsevolod Čaplin, presidente del Dipartimento sinodale del patriarcato per i rapporti tra la Chiesa e la società. Non si può tuttavia negare che questi sentimenti siano diffusi negli ambienti sopra citati in cui si rimpiange soprattutto la grandeur dell’epoca staliniana.

  Lei riporta (pagg.488-489) alcuni brani apologetici su Stalin tratti dalle lettere di esponenti del clero ortodosso, a partire dal patriarca Aleksij I, il quale ebbe a definire – il 6 marzo 1953 - il Capo bolscevico “indimenticabile […] e grande edificatore della felicità popolare”. Il 9 marzo 1953, il patriarca affermò che grazie all’autorità di Stalin “molte cose buone e nobili […] sono state fatte dal nostro Governo alla nostra Chiesa”. Come si spiega tale atteggiamento che non mutò nemmeno con la destalinizzazione?

  La spiegazione va rinvenuta nel fatto che la gerarchia ortodossa veniva di fatto selezionata e nominata dalla polizia politica. Talvolta, tuttavia, le scelte del partito si rivelavano sbagliate, come nel caso del vescovo chirurgo Luka Vojno Jaseneckij che non ha mai rinunciato alla sua missione di pastore e ha affrontato per questo il lager. Lo stesso vale per Nikodim Rotov, metropolita di Leningrado e Minsk, morto improvvisamente in Vaticano nel settembre 1978, e per altri. Basta leggere quanto ho scritto a proposito del rapporto Furov (p. 538 e ss.). Ancora oggi una parte rilevante dell’episcopato deve essere considerata di nomina sovietica.

  Come giudica la figura di Georgij Grigor’evič Karpov, l’uomo chiave della politica ecclesiastica sovietica?

  Georgij Grigor’evič Karpov, come del resto il suo predecessore Evgenij Tučkov, proviene dai ranghi della polizia politica da sempre incaricata di gestire la politica ecclesiastica. Membro del partito comunista dal 1920, è una figura chiave nella storia delle relazioni tra Stato e Chiesa nell’URSS. Tutta la sua carriera si svolge nell’ambito della polizia politica: nel 1922 è già un funzionario dirigente del Commissariato del popolo degli Affari Interni, con il grado di capitano. Dal 1936 è vicedirettore della sezione della Direzione della Sicurezza dello Stato che si occupa della lotta alla controrivoluzione ecclesiastica e settaria. Dal febbraio 1941 è maggiore della Sicurezza dello Stato e nel 1945 consegue il grado di general-major e viene nominato a capo della sezione del Commissariato del popolo degli Affari Interni che si occupa della Chiesa. È un alto burocrate che nella sua lunga carriera si è sempre adoperato per attuare le direttive del partito comunista sovietico.

 In seguito alla morte di Stalin – si legge a pag.520 – la campagna ateistica riprese “con accresciuta virulenza in tutto il Paese”. Perché accadde questo?

  Si deve sottolineare che la svolta della “Nep religiosa” è una mossa esclusivamente tattica per ottenere l’aiuto dei fedeli nella resistenza al nazismo. La legislazione antireligiosa e antiecclesiastica non è stata affatto abrogata in quegli anni, ma semplicemente disapplicata. E ciò significa chiaramente che il partito non intendeva affatto rinunciare all’idea di edificare una società senza Dio e senza Chiesa. La sospensione delle ostilità contro la Chiesa e i credenti è stata la ricompensa temporaneamente concessa in cambio dell’aiuto contro la Germania nazista.

 Lei dedica molto spazio al problema della Chiesa cattolica di rito orientale, ossia ai cosiddetti uniati…

  Si tratta di un problema quanto mai complesso che la storiografia ortodossa, come pure quella occidentale, ha affrontato quasi sempre in modo molto superficiale. Si è detto che l’Unione di Brest è semplicemente il frutto delle manovre politiche dei gesuiti e del re di Polonia per spezzare l’unità dell’Ortodossia e rafforzare le posizioni del cattolicesimo romano. Ma questa tesi è ormai respinta anche dagli studiosi ortodossi più attenti come Boris Florija. In realtà io non nego che sui fatti del 1596 abbia influito la politica, ma ritengo doveroso affermare che lo spirito dell’Unione di Firenze era ancora assai vivo, che la nascita del patriarcato di Mosca nel 1589 abbia influito in maniera determinante sui vescovi delle eparchie rutene che non intendevano affatto rompere i rapporti con Costantinopoli e sottomettersi a Mosca. Si aggiunga che il ruolo assegnato alle confraternite ortodosse aveva fortemente sminuito l’autorità dei vescovi ortodossi della Rutenia, i quali nutrivano la speranza di riacquistare dignità unendosi a Roma per mantenere la propria autonomia e per ottenere uno status uguale a quello riservato all’episcopato cattolico nella Rzeczpospolita polacco lituana. Ripeto: il problema è molto complesso e non può essere risolto con formule prefissate. La scelta dei vescovi ruteni di unirsi a Roma è anche una risposta all’annoso problema della collocazione della Russia tra Occidente e Oriente: essi scelgono la prima opzione, a differenza dei Vecchi Credenti, di cui pure scrivo a lungo, i quali operano una scelta che potremmo definire orientale.

 

28 aprile 2012

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