Il verde e il nero. Intervista con Ivan Buttignon Stampa E-mail

Il verde e il nero. Intervista con Ivan Buttignon

a cura di Francesco Algisi

 

buttignon_verde  Ivan Buttignon, già noto ai nostri lettori per aver pubblicato Compagno Duce, ha recentemente dato alle stampe un nuovo libro: Il verde e il nero. Maccari, Malaparte, Soffici: i fascisti che anticiparono l'ambientalismo (Hobby & Work Publishing, pagg.253, Euro 16,50). Tale pubblicazione, frutto di una lunga ricerca condotta su fonti d’archivio, ricostruisce la vita e l’opera di Mino Maccari, dedicando particolare attenzione all’esperienza di Strapaese e della rivista Il Selvaggio (1924-1943) oltre che alle figure di Curzio Malaparte, Ardengo Soffici, Leo Longanesi, Camillo Pellizzi e Ottone Rosai (gli amici di Maccari). Sul contenuto del volume, che verrà presentato a Colle di Val d’Elsa il 21 maggio 2011 per iniziativa dell’Associazione culturale “Mino Maccari”, abbiamo rivolto alcune domande all’Autore.

  Professor Buttignon, per quale ragione la "politica fiorentina di Mino [Maccari] urta addirittura Arnaldo Mussolini" (pag. 41)?

  La politica fiorentina è tutta tesa a scalzare i collaboratori non letterati e a puntare tutto su quelli di alto profilo (Rosai, Lega, Soffici, Agnoletti, Malaparte e molti altri), di cui Maccari si circonda e la sua rivista si avvale. È il ’26 quando la direzione del Selvaggio si trasferisce nella capitale toscana, allo stesso indirizzo della Voce di Malaparte. Ciò coincide con il cambio di guardia nella direzione: Maccari sostituisce Bencini. Il nuovo direttore, un po’ disilluso (l’uso del manganello è ormai dimenticato e anzi precluso dal Regime) e un po’ incattivito (per lo stesso motivo), trasforma il suo foglio in un organo di “diuturna, assillante, spavalda satira di costume” (come la definisce Giuliano Manacorda in Storia della letteratura italiana tra le due guerre). Con poesie al vetriolo e disegni al cianuro gli strapaesani fanno strage degli avversari, a cominciare dal “nemico naturale”, lo stracittadino Massimo Bontempelli, protetto da Arnaldo, fratello del Duce. L’operazione irrita perciò il direttore del Popolo d’Italia. Dal ’31 Maccari e i suoi si faranno beffe della Scuola di Mistica Fascista, creatura di Arnaldo, ma la sede fiorentina è già abbandonata.

  Lei scrive (pag. 43) che Maccari condannò "con veemenza" la guerra di Spagna. Egli, quindi, si schierò dalla parte dei repubblicani spagnoli?

  Gli strapaesani avversano il conflitto e a maggior ragione la partecipazione italiana. Il coro, nella sede del Selvaggio, è unanime. La stessa cosa succede a Bologna nella redazione dell’Italiano di Longanesi, un’altra rivista autenticamente strapaesana. Diversi strapaesani si schierano espressamente con i repubblicani e alcuni di loro (Elio Vittorini in testa) organizzano una partecipazione militare a sostegno degli avversari di Franco. Cosa che però non sarà messa in atto, anche per non contraddire la posizione, granitica in ambiente strapaesano, di netta contrarietà alla guerra civile spagnola.

  Perché scrive che la gerarchia mussoliniana fu "ottusamente filo-franchista" (pag.43)?

  I motivi sono essenzialmente due. Primo: Franco è un reazionario che ha l’appoggio dei demoplutocrati (contrariamente a quanto spesso ci ostiniamo a credere). Al tempo molti fascisti, precisamente i più scafati politicamente, colgono immediatamente quanto una sconfitta repubblicana equivalga a una vittoria del peggior capitalismo. Di più: prevedono l’eliminazione biologica dei veri falangisti (vale a dire gli irriducibili seguaci di José Antonio Primo de Rivera) per mano di Franco, cosa che puntualmente e spietatamente avverrà. Secondo: soprattutto negli ambienti di sinistra del PNF, si discute sulla scarsa affidabilità e lealtà dei franchisti, che al momento opportuno non ricambieranno il favore. Ancora una volta, insomma, la storia dà ragione agli strapaesani e alla sinistra fascista in generale.

  Come mai la letteratura critica si è sempre occupata quasi esclusivamente del Maccari artista, ignorando quello politico (pag.53)?

  Qui entriamo nella questione storiografica. Come tutte le personalità di sinistra intruppate nel Regime ventennale, Maccari viene sacrificato sull’altare politico. Dire che c’è della sinistra che si riconosce nel Fascismo o viceversa non è ammesso. La vulgata marxista (culturalmente e storiograficamente egemone, com’è noto) non ammette sinistra al di fuori di sé e men che meno nelle fila fasciste. La destra neofascista, dei vari Michelini e De Marsanich prima e degli Almirante poi, è dal canto suo perfettamente d’accordo con questa operazione di insabbiamento, funzionale alla costituzione di un blocco reazionario di destra senza sfumature rosse e tracce rivoluzionarie. Ecco quindi che si ricorda esclusivamente il lato artistico di Maccari e la colpa è parimenti della destra e della sinistra.

  Lei scrive (pagg. 53 e 77) che l'idea di Fascismo sostenuta da Maccari, oltre che antiborghese e antimodernista, era cattolica. A pag. 71, inoltre, parla addirittura di "patrimonio religioso ultracattolico". Come va inteso questo aspetto alla luce dell'anticlericalismo presente sulle colonne del Selvaggio?

  La risposta è molto semplice. Gli strapaesani sono ultracattolici ma non per questo servili nei confronti del Papa. Se il Papa si schiera contro il Regime, cosa che fa per esempio nel ’31 e nel ’34, Strapaese reagisce aggredendo le strutture religiose. È appunto del ’31 l’opuscolo di Ottone Rosai, Emilio Settimelli, Remo Chiti, Alberto Maurizio e Bruno Rosai, Svaticanamento – Dichiarazione agli Italiani. La dispensa reagisce a una lettera del Pontefice che ammonisce e sanziona il Fascismo.

  La visione “anticalvinista” di Maccari (cfr. pag. 53) può essere in qualche modo collegata con l'idea, sostenuta da Malaparte, del Fascismo inteso come Antiriforma?

  Sì, sono due facce di una stessa medaglia. È interessante notare come le idee di questi due strapaesani siano tanto più rivoluzionarie quanto più sono tradizionaliste. Mi spiego meglio: a tratti sembra quasi si parli di “rivoluzione conservatrice” sullo stile tedesco, da quanto gli strapaesani appaiono attaccati alle vecchie usanze rurali, alla natura incontaminata e da quanto avversino l’industrialismo e la modernità. D’altra parte, sono i primi a proteggere i lavoratori: sia i braccianti contro gli agrari (i riferimenti sul Selvaggio si sprecano) sia gli operai dai metodi moderni di produzione, osceni e brutalizzanti.

  Maccari non approvò la politica antiebraica adottata dal Regime fascista. Ciononostante nei suoi articoli sul Selvaggio non mancavano attacchi contro i "banchieri ebrei" (cfr. pag.69)…

  Ecco, anche questa volta, come nel caso dell’ultracattolicità e dell’anticlericalismo, l’assenza di antisemitismo e le critiche al capitale finanziario (spesso di segno ebraico) sono concetti che convivono. Questo è indice di grande equilibrio, dote alquanto rara ancora oggi. Gli Ebrei nel mondo sono disuniti, frammentati. Gli ortodossi non vanno d’accordo con gli altri. Gli antisionisti sono una minoranza, ma affatto sparuta. Ciò non toglie che buona parte dei poteri finanziari mondiali sia in mano a gruppi ebraici. Ma gli ebrei in Italia poco c’entrano con gli interessi occulti del grande capitale. Sono perlopiù buoni fascisti ma soprattutto ottimi ex combattenti della Grande Guerra. Prendersela con “cittadini nazionali” a colpi di leggi antiebraiche è per Strapaese (con la significativa eccezione di Soffici) un atto ignobile. La questione è però un’altra e l’accenno brevemente. Maccari e i suoi uomini sono perfettamente consapevoli del rischio che si sta correndo: è in atto un processo che vedrà le multinazionali dominare gli Stati. È soprattutto Pellizzi (fondatore del Fascio locale a Londra e ideologo di Strapaese dopo Soffici) a spiegarlo a chiare lettere e a contrapporvi il “comunismo civile” quale formula capace di restituire autorità allo Stato anche in termini economici. L’espressione “banchieri ebrei” va riportata in questi termini.

  Secondo Paolo Cesarini, Maccari sarebbe stato, già dal 1927, un maestro di "antifascismo oggettivo" (pag. 148)…

  Penso che le espressioni “fascismo oggettivo” e “antifascismo oggettivo” rimandino a significati alquanto elastici. Cesarini è indulgente nei confronti dell’amico Maccari e tenta in tutti i modi di strapparlo dall’abbraccio fascista. Ogni tentativo in questa direzione è vano e lo spiego sin da subito nel primo capitolo del libro.

  Nell'intervista concessa a Nello Ajello nel novembre 1988 e riportata nel Capitolo XV del volume, Maccari affermò: "Avevo accettato l'antifascismo fin dalla sera successiva alla mia iscrizione al Fascio di Colle Val d'Elsa". Come interpreta questa affermazione?

  Probabilmente è un gioco di termini, sapientemente scelti. Maccari si iscrive entusiasta al Fascio ma immediatamente capisce che quanto lo lega al pensiero fascista non si può attuare. Da lì la disillusione che chiama, per l’occasione, antifascismo. Soggettivo, stavolta.

 

12 maggio 2011

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